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L’economia cilena a 50 anni dal golpe militare *

Cinquanta anni dopo il colpo di stato in Cile è possibile fare un consuntivo delle riforme economiche dei Chicago boys. Positive per la competitività del paese, hanno però consolidato la frattura sociale e reso evidenti i rischi del modello tutto-privato.

L’11 settembre in Cile  

Sono passati cinquanta anni dal colpo di stato dell’11 settembre 1973 con cui i militari capeggiati dal generale Augusto Pinochet deposero Salvador Allende, il primo presidente socialista al mondo eletto democraticamente. Un evento di grande impatto globale: in Cile, paese piccolo e periferico, ebbe inizio il processo di liberalizzazione e privatizzazione (in particolare del sistema pensionistico) che nei decenni successivi avrebbe interessato il mondo intero.  

1970-1973: “el pueblo unido jamás sera vencido”, tranne che dai mercati  

Per diversificare l’economia, fortemente dipendente dal rame, e ridurre povertà e diseguaglianze, Allende accelerò la riforma agraria e nazionalizzò grandi aziende minerarie e finanziarie, con voto unanime del Congresso, indennizzando i proprietari: era la “via cilena al socialismo”, nel rispetto formale e sostanziale dei principi democratici. Allo stesso tempo, il governo Allende aumentò spesa pubblica e salari e introdusse controlli dei prezzi, insufficienti a evitare il brusco aumento dell’inflazione nel 1972-1973, la scarsezza di molti alimenti e beni essenziali importati, gli scioperi dei camionisti e la sospensione dei prestiti di Fondo monetario e Banca Mondiale. Nel 1973 il Pil cileno era al livello del 1969.  

1973-1990: il neoliberalismo repressivo  

Il Cile visse 17 anni di dittatura. Dopo un iniziale flirt con politiche economiche nazionalistiche, Pinochet scelse il liberismo radicale del mercato. Per attuare politiche in molti casi mai sperimentate altrove, venne assunto un team di circa 25 economisti cileni con studi a Chicago (i celeberrimi “Chicago boys”). In molti casi erano allievi di Milton Friedman. Lo stesso Friedman visitò Santiago nel 1975 per consegnare personalmente ai generali un rapporto nel quale raccomandava di abolire i controlli dei prezzi, tagliare l’offerta di moneta e la spesa pubblica, privatizzare imprese statali e servizi sociali e smantellare le barriere al commercio estero. Il regime applicò, con un trattamento d’urto, praticamente tutte le raccomandazioni. Lo shock produsse una grave recessione nel 1975, ma l’inflazione si dimostrò persistente e ci vollero diversi anni per riportarla a una cifra. Una seconda crisi si verificò nel 1982-1983 e la giunta rispose alle estese proteste sociali con qualche aggiustamento nelle politiche commerciali e di cambio. Ma lo zoccolo duro del neoliberalismo rimase. Emblematica la riforma pensionistica del 1981, basata su fondi privati a capitalizzazione che hanno sostituito il sistema pubblico a ripartizione, tranne che per i militari e la polizia.  

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1991-2008: la democrazia controllata  

Il ripristino della democrazia nel 1990, dopo la vittoria di stretta misura nel referendum dell’anno precedente, avvenne sotto strette condizioni, tra cui mantenere la Costituzione del 1980 che riservava ampie prerogative ai militari e li proteggeva da ogni giudizio sul loro operato. La priorità per la Concertación – che univa democristiani e socialisti – fu mantenere la stabilità macroeconomica, con una banca centrale indipendente, e limitare le riforme che potessero intaccare l’influenza economica di militari e grandi conglomerati. I presidenti Patricio Aylwin e Ricardo Lagos aumentarono la spesa pubblica in servizi sociali, in particolare nella sanità, e in infrastrutture, ma altrimenti continuarono le politiche di liberalizzazione e apertura commerciale. Una timida e discussa riforma del sistema pensionistico introdusse un terzo pilastro solidale, con forte focalizzazione dell’intervento secondo criteri socio-economici.  

2009-2023: la doppia alternanza  

Gli ultimi quindici anni sono stati quelli dell’alternanza, dalla Concertación di Michelle Bachelet alla destra di Sébastian Piñera, e ritorno, prima del trionfo della sinistra di Gabriel Boric. C’è stata soprattutto continuità nella macroeconomia, con molta cautela nell’usare la politica fiscale in chiave anticiclica. Di fronte alla crescente ineguaglianza del sistema pensionistico, che penalizza chi ha optato per i fondi privati rispetto ai privilegiati che sono potuti restare nel pubblico, è stata creata una riserva per garantire pensioni minime. Senza esaminare gli effetti perniciosi della struttura oligopolistica del settore dei fondi, in mano a conglomerati che possono accedere a quantità ingenti di risparmio in pratica forzato a lungo termine e allocarlo in investimenti produttivi, ma anche a speculazione finanziaria a breve. Da qualche anno le politiche pubbliche sono più ambiziose. Il secondo mandato Bachelet ha cercato di riscrivere la Costituzione, un processo che si sta rivelando estremamente complesso e divisivo. Boric intende riformare il sistema tributario per finanziare ambiziosi programmi di spesa in pensioni (con un sistema misto e un minimo garantito), istruzione e salute.

L’eredità economica di mezzo secolo di neoliberismo  

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Il Cile del 2023 è un paese chiaramente più prospero. Tra i tanti indicatori, dal 1973 il Pil pro capite (in dollari costanti 2017) è aumentato di più di sei volte, l’aspettativa di vita è cresciuta di quindici anni. In termini relativi, il reddito pro capite è passato dal 14 al 49 per cento di quello Usa, il gap nell’aspettativa di vita con l’Italia è diminuito da otto a cinque anni. L’ingresso nell’Ocse, nel 2011, ha suggellato i progressi nel percorso di convergenza. La crescita del Pil è stata particolarmente forte nel 1990-2006, quasi il doppio che nel resto dell’America Latina, ma comunque molto più lenta che nell’Asia dell’Est. La performance della junta non è stata molto più positiva rispetto a quella della regione nel suo complesso, mentre lo è stata quella dei governi di colori differenti negli ultimi quindici anni. Per altri versi, però, la struttura dell’economia non è cambiata molto. Livelli elevati di informalità, disuguaglianza di reddito e ricchezza persistono, anche a causa del fallimento della privatizzazione nel garantire pensioni degne per tutti. L’industria (generatrice di impiego di qualità) è poco competitiva e il peso del rame nell’export continua a crescere (dal 39 per cento nel 1995 al 55 per cento di oggi), malgrado il successo dell’agribusiness. L’imperativo è aumentare e migliorare la spesa sociale e sfruttare le opportunità che l’abbondanza di energie rinnovabili e litio offrono per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile.    

* Le opinioni qui espresse sono unicamente degli autori.  

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  1. Firmin

    I progressi registrati dal Cile possono essere interpretati in due modi opposti. La narrazione prevalente è che la ricetta dei Chicago Boys ha favorito lo sviluppo dell’ economia. Quella alternativa è che si deve dare poco peso alla crescita quantitativa del PIL perché si può ottenere anche grazie (o nonostante) una macelleria sociale. Forse per valutare correttamente lo sviluppo economico dei diversi paesi sarebbe necessario prevedere una specie di antidoping etico.

  2. Gym

    Oggi tutti dovremmo chiederci se e’ giusto continuare a pagare stipendi e premi a chi non produce servizi o ricchezza.

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