Da Istat, Eurostat e Commissione europea sono arrivate decisioni che agevolano temporaneamente la gestione dei conti pubblici italiani. Si tratta però di tre regali legati a condizioni. Sarebbe stato più prudente non utilizzarli per aumentare la spesa.
Le nuove regole contabili
La Nadef 2023 presenta un quadro di finanza pubblica che ha aspetti sorprendenti: l’indebitamento netto tendenziale è superiore rispetto al Documento di economia e finanza e quello programmatico peggiora ulteriormente per finanziare la manovra in deficit (in particolare per circa 15,7 miliardi per il 2024), ma il debito migliora rispetto al Def, nonostante nel frattempo la situazione si sia aggravata: le previsioni di crescita sono più basse, le entrate attese sono di conseguenza ridotte, la spesa per il superbonus e la spesa per interessi sono entrambe molto più alte rispetto alle previsioni del Def. Come si spiega?
Tra i vari fattori che concorrono a un simile risultato – tutti debitamente illustrati sia nel documento governativo sia nelle relative audizioni parlamentari – è opportuno tenere a mente tre “regali contabili” ricevuti dal nostro paese da tre istituzioni: l’Istat, l’Eurostat e la Commissione europea. Agendo in ottemperanza ai rispettivi mandati e senza nessuna intenzione di favorire l’Italia, hanno adottato decisioni che agevolano temporaneamente la gestione dei nostri conti.
Il primo regalo ce lo ha fatto l’Istat, con una sensibile revisione al rialzo del livello del Pil 2021-2022. I dati relativi all’universo delle imprese hanno infatti evidenziato una ristrutturazione del settore a seguito della crisi Covid-19, con riduzione dei costi operativi, aumento dell’efficienza produttiva e nascita di nuove imprese in numero superiore rispetto a quanto stimato in precedenza. La revisione ex post del Pil produce un effetto di trascinamento anche nel futuro, per cui, benché le previsioni di crescita per l’anno in corso e per il prossimo si siano ridotte, ci ritroviamo in eredità un livello nominale del Pil più elevato rispetto al Def, con un conseguente effetto positivo sul debito per tutto l’orizzonte di previsione.
Il secondo regalo lo dobbiamo a Eurostat, che ha accettato la proposta dell’Istat di classificare i crediti d’imposta per il superbonus come “esigibili” per il periodo 2020-2023 e come “non esigibili” dal 2024 in poi (qui la nuova pronuncia di Eurostat). Ciò consente di imputare al passato i crediti d’imposta richiesti fino a tutto il 2023: per quanto elevate si siano rivelate le richieste, saranno irrilevanti ai fini del deficit degli anni futuri. Inoltre, per il periodo residuo di vigenza dell’agevolazione, ovvero il biennio 2024-2025, l’imputazione sul deficit avverrà secondo il criterio di cassa, quindi molto gradualmente.
Un grafico può essere utile per illustrare l’effetto del nuovo criterio di contabilizzazione.
Figura 1 – Stima degli effetti sul deficit dei crediti d’imposta per superbonus e bonus facciate
La spesa per il superbonus
Il grafico evidenzia che la spesa per il superbonus è magicamente sparita nel 2024 e nel 2025 è molto contenuta. Per il 2024, infatti, non incidono né le richieste formulate fino al 2023, imputate al passato, né quelle attese per il 2024, la cui prima rata per cassa ricadrà sul deficit 2025 (si veda l’articolo di Leonzio Rizzo). Quindi, come evidenziato nella stessa Nadef, lungi dal comprimere lo spazio per il finanziamento della prossima manovra di bilancio, il superbonus libera spazio fiscale per 3 decimi di Pil nel 2024 e 2 decimi nel 2025 rispetto al Def, consentendo una più agevole copertura di altre spese di bilancio (come peraltro già accaduto ad aprile scorso).
Per quanto riguarda il debito, le agevolazioni del superbonus hanno effetti notevoli, in base al loro utilizzo per cassa. Ma qui interviene il terzo regalo, per il quale dobbiamo ringraziare la Commissione europea e la sua nuova regola per la riduzione del debito, proposta nell’ambito del processo di riforma della governance economica. Benché il debito sia una variabile di cassa, la nuova regola per i paesi che hanno un elevato rapporto debito/Pil non si basa sulla cassa, ma sull’andamento di un aggregato di spesa netta espresso in competenza economica. Quindi anche per la regola del debito, lungi dal comprimere le nostre capacità di spesa, il superbonus le espande: peggiorando la spesa per competenza economica degli anni 2021-2023, il superbonus ne innalza la base di partenza a cui si applicherà il tasso massimo di crescita consentito (fissato transitoriamente per l’Italia all’1,3 per cento per il 2024). Di conseguenza, nel quadro programmatico, il debito si riduce di soli 0,6 punti complessivi dal 2024 al 2026, ma seppur contenuto il calo è comunque coerente con il testo attuale della proposta di riforma dalla Commissione, che non fissa un requisito minimo di diminuzione del debito.
I problemi
Il quadro ha evidenti problematiche. In primo luogo, due dei tre regali contabili sono soggetti a condizioni.
Eurostat ha chiarito che la classificazione dei crediti d’imposta come “esigibili” per il periodo 2020-2023 potrebbe essere revocata entro la metà del 2024 se non si risolve il problema dei crediti “incagliati”. Se la quota di beneficiari impossibilitati a utilizzare i crediti risulterà non trascurabile, Eurostat potrebbe ritenere che, fin dall’inizio, i crediti concessi fossero soggetti a rischi di inesigibilità. L’impatto sulla spesa futura sarebbe rilevante: nel grafico, ciascun istogramma relativo al periodo 2020-2023 verrebbe diviso in 4 segmenti da ripartire sui 4 anni successivi (la relativa imputazione inciderebbe sul lato delle entrate, ma l’aggregato di spesa netta ne terrebbe comunque conto).
Anche la proposta della Commissione è lontana dall’essere definitiva: i paesi dell’Europa del nord, Germania in testa, chiedono che la clausola di riduzione del debito sia corredata da un’indicazione quantitativa non inferiore a un punto di Pil all’anno.
Al di là delle ipoteche che gravano sui “regali contabili” su cui poggia la Nadef, va comunque sottolineato – come evidenziato nelle audizioni istituzionali – che lo sfruttamento per finalità di maggiore spesa di ogni margine concesso dalle regole fiscali appare poco prudenziale. Le nuove regole non prevedono infatti forme di flessibilità per eventuali eventi imprevisti, ciclici o calamitosi, salvo che questi assumano le dimensioni dell’eccezionalità, richiedendo che i paesi mantengano riserve di bilancio per farvi fronte.
Una riduzione del debito più ambiziosa rispetto al minimo previsto dalle nuove regole di governance, oltre a essere coerente con l’attuale fase positiva del ciclo, sarebbe il segnale di un impegno politico (ownership) verso un obiettivo finalizzato non a ottemperare a regole fiscali imposte dall’esterno, bensì a riacquistare, almeno in parte, la sovranità finanziaria del paese rispetto agli investitori istituzionali, liberando al tempo stesso una parte degli ingenti spazi occupati dalla spesa per interessi.
* Le opinioni espresse in questo articolo riflettono unicamente la posizione personale dell’autrice, senza nessun coinvolgimento dell’amministrazione di appartenenza.
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Firmin
Questo episodio mostra ancora una volta che le politiche economiche ormai sono fondate su convenzioni contabili e discrepanze statistiche più che su cose serie come lo sviluppo di lungo periodo e le necessità dei cittadini. I governi passano più tempo a sfruttare tutti i cavilli della contabilità che a fare il proprio mestiere. Per esempio, i paesi “virtuosi” hanno dimezzato il proprio debito pubblico scaricandolo fuori dal perimetro della PA, come ha stigmatizzato anche la corte suprema tedesca. Non sarebbe il caso di cambiare approccio?