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Redditi da lavoro: la bassa occupazione aumenta la disparità*

Rispetto a Francia e Germania, in Italia si registra una più alta diseguaglianza dei redditi da lavoro annuali. Che non dipende però da particolari disparità nelle retribuzioni, quanto dal numero di persone che non lavorano e non hanno alcun reddito.

Una prospettiva più ampia

La diseguaglianza dipende in larga parte dalla distribuzione del reddito da lavoro: è quest’ultimo, infatti, la principale fonte di entrate per le famiglie in cui non sono presenti pensionati. Un altro contributo su questo sito esamina le tendenze delle retribuzioni dei lavoratori dipendenti del settore privato. Tuttavia, la distribuzione dei salari tra i dipendenti è solo una delle componenti della diseguaglianza nel reddito complessivo da lavoro. Esistono infatti sia una quota rilevante di lavoratori autonomi sia, soprattutto, una larga fascia della popolazione che – sebbene in età lavorativa – non percepisce alcun reddito da lavoro. 

Per una prospettiva completa sulla diseguaglianza, è quindi necessario considerare l’intera popolazione in età lavorativa (15-64 anni, occupati e non) e le loro famiglie. A questo fine, un nostro recente studio (si veda qui) ha utilizzato i dati dell’indagine EU-Silc nel periodo 2008-2018, il più lungo senza interruzioni nella serie storica. Oltre a esaminare le tendenze nella dispersione dei redditi da lavoro in Italia, la ricerca le confronta con quelle dei principali paesi dell’area dell’euro: Francia, Germania e Spagna. Sebbene vi siano importanti differenze istituzionali, politiche e di contesto economico, il confronto è utile per mettere in rilievo il ruolo del margine estensivo – l’occupazione – nel nostro paese.

Dall’analisi emerge come la diseguaglianza dei redditi da lavoro annuali tra gli individui di età tra 15 e 64 anni sia significativamente più alta in Italia rispetto a Francia e Germania (figura 1, colonne blu). Il differenziale non dipende però dall’esistenza di maggiori disparità nelle retribuzioni: seppure in aumento negli ultimi anni, la disuguaglianza salariale è infatti simile a quella della Germania e solo marginalmente superiore a quella francese (figura 1, colonne grigie). E nel sottoinsieme dei lavoratori dipendenti – categoria con redditi tendenzialmente più stabili – è la più bassa tra i quattro paesi, al pari della Francia.

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La maggior diseguaglianza in Italia è invece principalmente dovuta all’elevato numero di individui che non hanno lavorato né percepito alcun reddito da lavoro nel corso dell’anno. Prima della pandemia, rappresentavano il 29 per cento degli individui in età da lavoro, circa 5 punti percentuali in più rispetto alla media dei tre paesi.           

Figura 1 – Diseguaglianza del reddito da lavoro annuale (indice di Gini, individui tra 15 e 64 anni (valori percentuali) 

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Il basso tasso di occupazione influisce più generalmente sulla diseguaglianza misurata a livello familiare, anch’essa più elevata in Italia rispetto a Francia e Germania (figura 1, colonne rosse). Nel nostro paese la disparità tra nuclei è infatti accentuata dalla maggior diffusione di quelli con un basso livello di occupazione medio, spesso con un solo percettore di reddito e con partner o figli adulti non occupati (figura 2).

Figura 2 – Distribuzione delle famiglie con almeno due adulti in età lavorativa, per numero di percettori di reddito (valori percentuali)

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Il lavoro povero

I dati EU-Silc mostrano poi che in Italia la quota di lavoratori a bassa retribuzione (convenzionalmente definiti come quelli con guadagni annuali inferiori al 60 per cento della mediana) è piuttosto bassa nel confronto internazionale (24 per cento, figura 3). Anche questo dato va tuttavia letto alla luce della probabilità di occupazione. Quando il tasso di occupazione è più elevato si registra, di norma, una maggior partecipazione al mercato del lavoro di individui a basso reddito. A confronto con la Germania, ad esempio, l’Italia ha una quota minore di lavoratori a bassa retribuzione, ma anche un tasso di occupazione notevolmente più basso. Il peso della non occupazione nel computo della diseguaglianza dei redditi da lavoro implica che essa risulti più alta nel nostro paese. 

Inoltre, se l’indicatore di povertà lavorativa viene calcolato sul reddito familiare complessivo (tenendo quindi conto dei redditi da lavoro degli altri componenti e dei trasferimenti) piuttosto che sulla retribuzione del singolo, il confronto internazionale risulta molto diverso. Il numero di lavoratori poveri, cioè con un reddito disponibile familiare equivalente inferiore al 60 per cento della mediana, è più alto nel nostro paese rispetto a Francia e Germania (12 per cento contro 8 per cento, figura 3). L’elevata quota di famiglie monoreddito in Italia implica infatti che i lavoratori vivano con maggior probabilità in famiglie senza altri componenti che contribuiscono al reddito familiare e siano quindi più facilmente in condizioni di povertà. 

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Figura 3 – Quota di lavoratori poveri e a bassa retribuzione (valori percentuali)

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* Le opinioni espresse sono personali e non impegnano in alcun modo la Banca d’Italia o il Sistema europeo di banche centrali.

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Nadef e Patto di stabilità: il diavolo è nei dettagli

  1. Savino

    Il problema delle opportunità è di tutta evidenza. Per alcune persone, anche con impegno, con titoli, con merito, ciò che passa è il treno del lavoro povero. Altre persone, senza far nulla e senza meritare hanno ricchezze persino senza lavorare.

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