L’accordo per rendere operativo il fondo Perdite e Danni arriva in avvio di Cop28. È un successo dopo le tensioni che hanno accompagnato il negoziato e in una Conferenza che si preannuncia comunque interlocutoria. Gli altri temi in discussione.
La Cop28 di Dubai
È iniziata con un accordo la Cop28, che si è aperta il 30 novembre a Dubai: il via libera al fondo “Loss and Damage”. L’agenda, tuttavia, non include l’adozione di obiettivi di riduzione dei gas-serra più ambiziosi e dunque la Cop28 è una Conferenza di passaggio, un’occasione per fare il punto sull’azione climatica in tutte e tre le sue declinazioni: mitigazione, adattamento e finanza. Nonostante molti altri eventi, come i meeting del G7 o del G20, abbiano acquisito una rilevanza maggiore sul tema, le Cop sono ancora il luogo dove vengono valutati i risultati raggiunti e vengono concordate le basi per andare avanti. Sono anche le uniche occasioni in cui ogni paese può fare sentire la sua voce. Di seguito, una breve rassegna dei dossier rilevanti per Cop28.
Global Stocktake
Il più importante punto in agenda è il Global Stocktake, il meccanismo di valutazione quinquennale dei progressi collettivi fatti verso gli obiettivi dell’Accordo di Parigi del 2015 sui tre pilastri dell’azione climatica: mitigazione, adattamento e finanza.
L’azione è riassunta nelle Ndcs (Nationally Determined Contributions) che hanno visto un primo round di impegni nel 2015-2016 e un secondo nel periodo 2020-2021. In vista di Cop28 il Segretariato della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (Unfccc) ha pubblicato un rapporto di sintesi da cui si evince che l’attuazione degli Ndcs, senza ulteriori azioni, porterà a emissioni nel 2030 dell’8,8 per cento superiori a quelle del 2010 e a una riduzione solo del 2 per cento rispetto al 2019, contro il 43 per cento necessario per tenere l’aumento della temperatura globale entro l’1,5C° raccomandato a Parigi.
La Cop28 ha il compito di condensare in una decisione un processo lungo due anni e articolato in oltre mille documenti di supporto e tre dialoghi tecnici con centinaia di esperti. Il report di sintesi alla valutazione tecnica pubblicato a settembre, che riassume il lavoro in 17 messaggi principali, offre la base delle negoziazioni. In questo documento, da un lato, si riconosce che gli accordi di Parigi hanno avuto il merito di creare un framework universale intorno a obiettivi comuni. Dall’altro, però, sono necessari ancora numerosi passi avanti. In termini di mitigazione, viene sottolineata l’importanza di una trasformazione attraverso tutti i settori e i contesti, incluso l’aumento delle rinnovabili, l’eliminazione di tutti i combustibili fossili “non abbattuti”, l’arresto della deforestazione e la riduzione le emissioni di gas non CO2. Sul tema dell’adattamento, il report tecnico mette in rilievo che gli sforzi sono ancora frammentati, incrementali, specifici per diversi settori e distribuiti in modo disomogeneo tra le regioni. Sulla finanza, viene rimarcata l’urgenza di rendere coerenti con gli obiettivi climatici tutti i flussi finanziari, pubblici e privati, nazionali o internazionali.
Questa valutazione arriva pochi mesi dopo l’ultimo rapporto di sintesi dell’Ipcc, secondo il quale la finestra per le decisioni politiche e di investimento per limitare il riscaldamento globale a un grado e mezzo si stanno chiudendo rapidamente. Infatti, nel Rapporto (il sesto, AR6) si legge: “Global GHG emissions in 2030 implied by nationally determined contributions (NDCs) announced by October 2021 make it likely that warming will exceed 1,5°C during the 21st century and make it harder to limit warming below 2°C.” (Le emissioni globali di gas serra nel 2030, implicite nei contributi determinati a livello nazionale (Ndcs) annunciati a ottobre 2021, rendono probabile un riscaldamento superiore a 1,5°C nel corso del 21° secolo e più difficile limitarlo al di sotto dei 2°C).
In sostanza, con il Global Stocktake, non saranno più gli scienziati a certificare il gap tra quanto è stato fatto e quanto va fatto, ma saranno gli stati a riconoscerlo ufficialmente e a doversene assumere la relativa responsabilità.
Investimenti
Oggi, gli investimenti in Cina e Occidente rappresentano l’84 per cento dei 1300 miliardi di dollari dedicati alla finanza verde a livello mondiale. Secondo i dati Iea, però, gli investimenti in energia pulita nel paese asiatico e in Occidente devono duplicare entro il 2030 per rimanere sotto la soglia del grado e mezzo. E tuttavia la decarbonizzazione in questi paesi non è sufficiente. I paesi in via di sviluppo sono responsabili di un terzo delle emissioni globali relative all’energia e ospitano due terzi della popolazione mondiale: qui l’investimento necessario entro il 2030 deve essere cinque volte quello attuale.
In questo contesto, arriva l’accordo per rendere operativo il fondo Loss and Damage, che rappresenta una cartina tornasole degli equilibri tra Nord e Sud globale sul tema della finanza.
Concordato durante la Cop27 a Sharm-El-Sheik, il fondo dovrebbe aiutare i paesi poveri e più esposti agli impatti del cambiamento climatico. Le discussioni sulla bozza della sua attuazione, però, non sono state semplici. La quarta riunione, ad Aswan, in Egitto, era fallita A inizio novembre ad Abu Dhabi, durante la quinta riunione del Comitato di transizione incaricato di realizzare il fondo, ne è stata preparata una versione, sulla quale si sono registrate diverse tensioni. I paesi in via di sviluppo spingevano per impegni più concreti e un linguaggio più specifico, mentre i paesi economicamente sviluppati, in primo luogo gli Stati Uniti, hanno tentato di mantenere gli impegni non vincolanti e i contributi volontari.
L’accordo raggiunto ad Abu Dhabi prevede che il fondo sia gestito dalla Banca Mondiale per quattro anni, ma con un consiglio composto da una maggioranza di paesi in via di sviluppo, che avranno la responsabilità di definire i criteri di eleggibilità alle risorse. I paesi economicamente sviluppati sono invece esortati a contribuire al fondo, con spazi lasciati aperti anche ai contributi dei paesi in via di sviluppo in grado di farlo e a quelli di filantropi.
L’accordo annunciato a Dubai può essere visto come un progresso nella diplomazia climatica. Forse vi ha contribuito l’attivismo del nuovo commissario europeo per l’Azione per il clima, Wopke Hoekstra: a sorpresa, il 13 novembre ha annunciato che gli stati membri dell’Ue daranno un contributo sostanziale al fondo perdite e danni.
Il tema degli investimenti nei paesi in via di sviluppo è urgente: si calcola che entro il 2030 serviranno 2.400 miliardi l’anno per decarbonizzare queste economie. E se le previsioni indicano che circa 1.400 miliardi proverranno dagli stessi paesi in via di sviluppo, circa la metà dei rimanenti mille miliardi arriverà da investimenti privati. Tuttavia, questi ultimi dipendono anche dalle scelte di investimento di organismi internazionali come la Banca Mondiale.
In definitiva, in questo ambito, la Cop28 sarà solo un punto di passaggio verso la definizione di un nuovo Obiettivo collettivo quantificato per la finanza che si avrà alla Cop29. Ha però il potenziale di assicurare un progresso sia in termini di portata che di scala.
Mitigazione: eliminazione o riduzione graduale delle fonti fossili? Tutte o solo quelle non abbattute?
In termini di mitigazione, uno dei punti fondamentali di discussione è il phase out o phase down dei combustibili fossili. Numerose critiche sono state rivolte alle conclusioni approvate dal Consiglio dell’Unione europea, che rappresentano la posizione negoziale generale dell’Ue alla Cop28, in particolare quelle relative ai combustibili fossili. Se letta nel dettaglio, però, la posizione europea è molto più articolata per quanto riguarda la decarbonizzazione del sistema energetico.
Durante la Cop27 a Sharm el-Sheikh 80 paesi, compresa l’Unione europea, avevano tentato di adottare una posizione unitaria per “phase down all fossil fuels”, che è stata però bloccata sul finale dagli altri paesi firmatari. La conclusione del Consiglio riporta la stessa frase, ma omette il “tutti”. Similmente, l’UAE, nella sua posizione ufficiale per la Cop28, menziona un “responsible phase down of unabated fossi fuels”, che sia sostenuto dallo sviluppo e utilizzo accelerato di tutte le soluzioni e tecnologie a disposizione, inclusa la cattura e stoccaggio della CO2. Per quanto le due posizioni sembrino simili, l’Unione europea propone un ragionamento sul ruolo delle tecnologie per la cattura del carbonio molto diverso, menzionando il loro ancora scarso sviluppo e l’importanza di utilizzare, in ogni contesto, le soluzioni più efficienti in termini di costi. Inoltre, sottolinea che l’eliminazione delle fonti fossili è una componente integrale (e non opzionale) della più ampia decarbonizzazione.
Non è difficile prevedere che si tratterà della decisione più difficile e ci possiamo aspettare molte battaglie terminologiche tra phase out e phase down e tra all fossil fuels e unabated fossil fuels, così come avverrà nella definizione di unabated e nel ruolo delle tecnologie di sequestro e stoccaggio del carbonio.
Al centro del dibattito saranno anche le emissioni di metano. Questo gas permane molto meno della CO2 nell’atmosfera, ma ha un più alto potere climalterante ed è oggi responsabile di un quarto del riscaldamento atmosferico. Diminuire le emissioni di metano è perciò uno dei modi più veloci per rallentare il riscaldamento climatico. Tra i settori che emettono metano c’è l’industria energetica: in parte, il settore si è già mosso per diminuire le emissioni che derivano dal rilascio in atmosfera e dal flaring. Per questo, esiste una buona probabilità che sul tema si possa raggiungere un accordo. Si muovono già in questa direzione molte compagnie energetiche. E la Cina – il più grande emettitore di metano al mondo – nell’accordo con gli Stati Uniti ha affermato per la prima volta che includerà il metano nel suo piano nazionale per il clima.
Adattamento
Altro tema sul tavolo è il Global Goal on Adaptation, che definirà gli orizzonti entro cui il secondo Global Stocktake, nel 2028, valuterà i progressi raggiunti a livello globale in termini di adattamento. Ci sono però vari punti di disaccordo tra i paesi. Alcuni appaiono riluttanti all’individuazione di target specifici perché questo potrebbe esporli a richieste di ulteriori fondi. Altri paesi, invece, richiedono obiettivi precisi che considerino la condizione particolare dei “paesi particolarmente vulnerabili”. Si fa dipendere la definizione di un target anche dalla disponibilità dei dati, benché molti paesi sottolineino come sia possibile sviluppare una metrica a partire da giudizi di esperti o da altre metodologie.
La Cop28 prevede solo poche ore dedicate alla discussione del Global Goal on Adaptation, portato avanti già a Glasgow e poi a Sharm El Sheik: ci si aspetta l’adozione di un “quadro” per l’adattamento, ancorato nelle varie fasi del ciclo delle politiche (valutazione del rischio, pianificazione, implementazione, valutazione), che però non smarchi le questioni rimaste aperte.
Un momento di verità
Il numero dei temi in gioco, insieme alle tensioni del contesto internazionale che hanno deviato l’attenzione dalla questione climatica e complicato la cooperazione multilaterale, non rendono facile una previsione dei risultati che si potranno ottenere.
In ogni caso, la Cop28 sarà un momento di verità in più sensi: rifletterà i progressi raggiunti e la capacità del sistema degli Accordi di Parigi di dare impulso a una cooperazione climatica; la capacità dei paesi sviluppati di mantenere le promesse finanziarie; una constatazione del ruolo che le tecnologie di cattura e stoccaggio della CO2 giocheranno nel processo globale di decarbonizzazione. Nella migliore delle ipotesi, i risultati negoziali saranno coerenti con l’ambizione di tenere il tetto di un grado e mezzo come un obiettivo ancora raggiungibile.
In ogni caso, al di là dell’accordo sul Loss and Damage, qualsiasi altro progresso, anche limitato, su uno dei tanti temi in gioco e sulle molte questioni aperte permetteranno al paese ospitante e ai rappresentanti dell’Onu di decretare il successo di questa Conferenza. Anche se tutti sanno che vi è successo e successo.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Lantan
La COP28 si limita a certificare l’avanzamento verso la catastrofe ecologica e climatica. E’ attenta solamente a non perturbare gli equilibri economici mondiali. Per essere sicuri di non prendere decisioni troppo “coraggiose”, come riporta l’articolo, “con il Global Stocktake, non saranno più gli scienziati a certificare il gap tra quanto è stato fatto e quanto va fatto, ma saranno gli stati a riconoscerlo ufficialmente e a doversene assumere la relativa responsabilità.” Che equivale a dire: se io sto male non vado dal Medico ma faccio una Commissione Parlamentare per capire quanto sto male e, nel caso, che terapie seguire… Il fatto che poi gli Stati debbano assumersene le responsabilità fa semplicemente sorridere: il loro modo di assumersi al responsabilità consiste semplicemente nel negare il problema o al massimo intraprendere misure palliative. In Italia, addirittura, il governo Meloni affronta il problema climatico semplicemente prevedendo la possibilità di arresto per coloro che fanno blocchi stradali (essenzialmente gli ecoambientalisti), come anticipato nel Pacchetto Sicurezza!
L’articolo è stato scritto prima delle incredibili dichiarazioni del presidente della COP28 Al Jaber che, in evidente conflitto d’interessi, ha negato che il petrolio contribuisca al cambiamento del clima. Siamo in buone mani… Altro che responsabilità degli Stati! Qui siamo al “si salvi chi può!”
Giovanni
La cooperazione con tutte le industrie dei combustibili fossili è fondamentale, anche perchè il miglior utilizzo dei loro prodotti sarà mirato a ridurre e non a produrre emissioni e per fare ciò il modo più strategico è mantenerli “sottoterra” mentre il mercato aggiungerà valore sia a loro, che ai loro beni ( depositi e relative attrezzature). Questi potranno essere investiti per produrre energia verde, guadagnando anche crediti di carbonio certificati (CCC). Così potranno trasformare le loro risorse nere in risorse verdi, aumentando gradualmente i loro profitti, poiché tutti i tipi di carbonio aumenteranno di valore ogni giorno di più.