Inflazione in discesa e taglio dei tassi comporteranno nella prima parte dell’anno un andamento sincrono di mercati azionario e obbligazionario. Nella seconda parte, invece, sarà meglio diversificare gli asset perché il driver sarà la crescita economica.
Ottimismo giustificato?
Nel 2023 i principali mercati finanziari hanno conseguito rendimenti straordinari: Nasdaq +43 per cento, Ftse Mib +26 per cento, S&P 500 + 24 per cento, Btp +14 per cento, oro +13 per cento e Bitcoin +150 per cento. Alla base di questi risultati sta la repentina caduta dell’inflazione, registrata soprattutto negli ultimi mesi dell’anno, che ha generato aspettative di una accelerata riduzione dei tassi ufficiali delle banche centrali, mentre l’attività economica, almeno negli Stati Uniti, ha mostrato un’inattesa tenuta.
Al di là delle prese di beneficio dei primi giorni dell’anno, molti analisti ritengono che l’ottimismo possa estendersi al 2024, dato che le tendenze osservate lo scorso anno non hanno ancora prodotto tutti i loro effetti.
Siamo sicuri che le cose andranno davvero così? Anche quest’anno la correlazione tra i ritorni azionari e quelli obbligazionari sarà positiva e qualsiasi collocazione dei nostri risparmi porterà a rendimenti più o meno interessanti?
L’andamento di azioni e obbligazioni
Tradizionalmente, nel corso del XXI secolo, i prezzi dei titoli obbligazionari si sono mossi in maniera antitetica a quelli delle azioni, tant’è che la regola d’oro, almeno nel mondo anglosassone, prevede che il portafoglio ottimale sia composto per il 60 per cento da azioni e il 40 per cento da obbligazioni. Tuttavia, negli ultimi due anni. la diversificazione ipotizzata dalla regola non ha funzionato: nel 2022 sia i mercati obbligazionari che quelli azionari hanno generato pesanti perdite, mentre lo scorso anno hanno comportato importanti guadagni. Cosa possiamo allora aspettarci per il futuro?
Un recente lavoro di un gruppo di analisti di AQR Capital Management mostra come nel lungo periodo la correlazione fra mercati azionari e obbligazionari è alquanto instabile. In generale, quando la volatilità dell’inflazione risulta alta, i prezzi delle obbligazioni e delle azioni tendono a muoversi nella stessa direzione, poiché neppure le azioni, che hanno un’attività reale sottostante, riescono a offrire una copertura adeguata ai rischi d’inflazione. Quando, invece, la varianza dell’inflazione è bassa, gli shock reali tendono a prevalere e i prezzi di azioni e obbligazioni si muovono in direzione opposta. In questo caso, infatti, notizie positive sulla crescita aumentano i profitti attesi dalle aziende e quindi le loro quotazioni, mentre il tendenziale inasprimento delle politiche monetarie provoca una caduta dei prezzi delle obbligazioni.
Questo spiega perché tra il 1970 e il 2000, quando gli shock inflazionistici hanno avuto la meglio su quelli legati alla crescita, la correlazione fra prezzi delle obbligazioni e delle azioni è risultata positiva, mentre nei primi vent’anni di questo secolo, con un’inflazione bassa e poco variabile, la correlazione è diventata negativa. A partire dal 2022, invece l’inflazione, e soprattutto la sua volatilità, hanno registrato una inaspettata risalita con le conseguenze viste prima.
Le previsioni per il 2024
Alla luce di questa analisi cosa possiamo prevedere per il 2024? È probabile che, se non ci sarà una recrudescenza della situazione geopolitica, nella prima parte dell’anno l’inflazione confermi la sua discesa e le banche centrali taglino in maniera netta i loro tassi ufficiali. Così, sia il mercato azionario che obbligazionario proseguiranno a muoversi in maniera sincrona. Nella seconda parte dell’anno, invece, la crescita economica diventerà il driver dei mercati e un’attenta diversificazione degli asset diverrà più rilevante.
Tre annotazioni finali meritano l’attenzione degli investitori. In primo luogo, nel lungo periodo il mercato azionario americano ha tendenzialmente dato ritorni ben superiori a quello obbligazionario e soprattutto a quello dei mercati azionari degli altri paesi sviluppati. È quello che gli esperti chiamano l’American equity exceptionalism. Il fenomeno è particolarmente vero nei riguardi della borsa italiana. Infatti, mentre negli ultimi 25 anni il Nasdaq e il New York Stock Exchange sono saliti rispettivamente del 640 per cento e del 310 per cento, la Borsa italiana viaggia poco sopra la pari, nonostante l’eccellente risultato dello scorso anno. In gergo, il mercato azionario milanese è un non drift assets. La maggiore crescita economica degli Usa e una più diffusa cultura finanziaria, sia da parte delle imprese che degli investitori, sarebbe alla base del risultato.
In secondo luogo, lo straordinario ritorno osservato sui mercati azionari americani è in larga parte dipeso da un ristretto numero di grandissime aziende molto innovative che rapidamente conquistano un mercato mondiale dei loro prodotti e servizi. Sono i magnifici otto: Apple, Microsoft, Google Alphabet, Amazon, Nvidia, Tesla e Meta.
Un’ultima parola merita il prezzo dell’oro e delle criptovalute. Qui fare previsioni è molto più complicato. In linea generale, possiamo ricordare che una caduta dei tassi d’interesse tende a favorire queste classi di asset che non generano né dividendi né interessi. Tuttavia, le variabili geopolitiche e regolamentari, difficilmente prevedibili, sono davvero cruciali.
Figura 1 – Andamento del Nasdq, del New York Stock Exchange e della Borsa italiana negli ultimi 25 anni
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