La Bank Recovery and Resolution Directive cerca di delineare un quadro comune per disciplinare le crisi delle banche. Ed è il tassello che mancava all’unione bancaria. Sicuramente è un ingranaggio complesso e non mancheranno ostacoli al suo funzionamento. Ma difficilmente si potrà tornare indietro.
LA PERFEZIONE NON ESISTE
Lo storico Tony Judt, in un bellissimo libro del 2010 scriveva: “Almeno una cosa dovremmo averla imparata dal Novecento: più una risposta è perfetta, più le conseguenze sono terrificanti. Miglioramenti graduali rispetto a circostanze insoddisfacenti sono il massimo che possiamo sperare, e probabilmente tutto quello che vale la pena di perseguire”. (1)
La lezione del Novecento vale anche per i primi dieci anni del nuovo secolo ed è utile per comprendere il senso e la portata di una vicenda, quella dell’unione bancaria europea, fatta di nobili intenzioni e bassi compromessi, ma ricca di grandi potenzialità.
L’unione bancaria sembrava ormai cosa fatta con l’accordo sul regolamento delegato che stabilisce i controlli della Bce sulle banche europee di maggiori dimensioni, e i rapporti con le singole autorità degli Stati membri che conservano la giurisdizione sulle banche nazionali, ma in un quadro di coordinamento con la stessa Bce, che fra l’altro può anche avocare a sé la vigilanza su quegli intermediari ritenuti particolarmente significativi ai fini del rischio di instabilità. Un accordo non certo perfetto e con più di una zona d’ombra (ad esempio un meccanismo fin troppo complesso per disciplinare i rapporti con i paesi non-euro), ma pur sempre il primo significativo passo verso la ormai irrinunciabile centralizzazione della vigilanza. Ma non c’è stato il tempo di un sospiro di sollievo e subito i paesi “rigoristi” (Germania in prima fila) hanno tirato il freno a mano, non rinnegando ovviamente l’accordo, ma sostenendo la sua totale inutilità in assenza di certezze sugli altri due pilastri dell’Unione, e cioè l’operatività del fondo “salva Stati” per salvare anche le banche e la direttiva sulle situazioni di crisi. Infinite le discussioni se viene prima l’uovo della gallina (meglio partire con l’armonizzazione dei controlli per poi arrivare alla disciplina della patologia o bisogna invertire l’ordine?) e sempre più dominante l’antico (se ne parla ormai dal 2008) e irrisolto nodo da sciogliere del burden sharing e cioè chi paga se una banca diventa insolvente.
Era un nodo con effetti potenzialmente paralizzanti, ma bisogna dare atto di un grande sforzo per raggiungere, con tutta la ritualità delle “maratone notturne”, un risultato che in certi momenti è apparso decisamente in bilico.
SALVA STATI E SALVA BANCHE
Il fondo “salva Stati” (Esm) potrà ora ricapitalizzare direttamente le banche, ma con un meccanismo graduale che comunque, per evitare le classiche ipotesi di moral hazard, prevede sempre il coinvolgimento degli Stati membri. (2) Soprattutto, altro elemento di deterrenza per comportamenti avventati, l’Esm potrà riservarsi ampi, estesi e penetranti poteri per intervenire sulla governance delle banche salvate. (3) Le risorse non sono certo di grandi dimensioni, ma come spesso si dice in questi casi è importante l’affermazione di un principio. (4)
Nell’accordo sull’Esm c’è un esplicito richiamo alla gerarchia degli interventi in caso di crisi: prima delle ricapitalizzazioni pubbliche bisogna sperimentare tutte le soluzioni possibili per fare pagare i privati: gli azionisti, ovviamente, ma anche i creditori, salvaguardando sempre i piccoli depositanti. Ed è stato questo l’oggetto della più recente delle citate “maratone notturne” per varare la Bank Recovery and Resolution Directive, l’ultimo tassello che mancava all’Unione bancaria.
IL COMPROMESSO SULLE CRISI
È un testo decisamente complesso che richiede lettori molto pazienti, ma che cerca di delineare un quadro comune per disciplinare le crisi. (5) E non è poco se si pensa alla grande eterogeneità dei diversi ordinamenti e, questo lo si dice più sottovoce ma è un aspetto essenziale per capire la portata della direttiva, alla non sempre elevata capacità mostrata da alcune autorità nazionali nel governare fasi di difficoltà. In un grande e necessario sforzo di sintesi, potremmo riassumere il filo conduttore in due espressioni: “preparatevi prima” e “fate presto”.
“Preparatevi prima” perché alle banche è imposta la definizione di piani di risanamento in caso di deterioramento delle loro condizioni, piani verificati ed eventualmente corretti dalle autorità, le quali a loro volta dovranno predisporre piani di risoluzione delle crisi. “Fate presto” perché alle autorità sono offerti strumenti preventivi (semplificando sul modello della nostra amministrazione straordinaria) e risolutivi (la vendita della banca, l’ente-ponte, la separazione delle attività) nel caso non ci sia più niente da fare. Fra questi strumenti, c’è anche la possibilità di definire la gerarchia dei soggetti privati che dovranno, dopo gli azionisti, farsi carico in prima battuta dei costi della crisi. Ed è stato appunto questo l’oggetto dell’ultimo negoziato, tra chi voleva definire una gerarchia fissa che valesse per tutti e chi, invece, chiedeva una certa flessibilità. La soluzione finale è una via di mezzo: le autorità potranno coinvolgere i creditori (convertendo i crediti in capitale) ma con alcune esclusioni (prima di tutto naturalmente i depositanti) e con la ulteriore discrezionalità di estendere le esclusioni qualora ricorrano determinate condizioni (ad esempio, se la conversione in azioni non può avvenire in tempi ragionevoli, se corre il rischio generare effetti di contagio). (6)
Naturalmente c’è chi ha visto il bicchiere mezzo vuoto, come la Federazione delle banche europee, che, con un comunicato del 27 giugno, ha subito espresso preoccupazione per un sistema troppo flessibile che escludendo dal bail in classi di creditori in base a valutazioni discrezionali delle singole autorità può avere un grave effetto distorsivo sugli investitori nel valutare ex ante gli effetti della crisi. (7)
Il bicchiere mezzo pieno è invece rappresentato da chi invoca l’esigenza di non trovarsi ingabbiati in criteri troppo rigidi che potrebbero pregiudicare l’efficace soluzione della crisi e non sarebbero in grado di riflettere le specificità nazionali.
NON SI TORNA PIÙ INDIETRO
Tutte argomentazioni con un innegabile fondamento, ma qui appunto vale il richiamo di Tony Judt. La direttiva è un compromesso con mille zone d’ombra: per fare altri esempi basti pensare alla palese asimmetria tra una vigilanza sulla fisiologia concentrata in capo alla Bce e una sulla patologia dispersa nei mille rivoli delle autorità nazionali, o anche al fatto che nella ipotesi di coinvolgimento di banche transfrontaliere bisognerà ricorrere ai meccanismi di coordinamento tra le diverse autorità, meccanismi notoriamente troppo lenti rispetto ai tempi rapidissimi imposti dalle crisi e soprattutto dall’esigenza di evitare il contagio.
Sicuramente è un ingranaggio complesso, con il pericolo che non pochi granelli ne ostacolino il funzionamento, ma è un ingranaggio che una volta partito difficilmente potrà tornare indietro. (8) Senza illusioni e con molto pragmatismo: il cammino è ancora lungo, ma è iniziato.
(1) Tony Judt, Guasto è il mondo, Laterza, 2010
(2) In particolare, se la banca ha una soglia inferiore al 4,5 del Common equity Tier 1 lo Stato dovrà ricapitalizzare fino al raggiungimento della soglia. Oltre questa soglia il singolo Stato membro dovrà comunque contribuire alla ricapitalizzazione per un 20 per cento per i primi due anni dall’entrata in vigore del’Esm e del 10 per cento successivamente.
(3) Fra i quali la nomina di un nuovo management e il rinnovo del consiglio di amministrazione
(4) Le risorse ammontano a 60 miliardi. Per comprendere la proporzione, basti pensare che l’Esm ne ha appena stanziato 1 per Cipro.
(5) Solo l’art. 1 è di circa 15 pagine e contiene, nell’ultima versione, ben 91 definizioni
(6) Si veda il comunicato dell’Ecofin del 26-27 giugno 2013, p. 5
(7) European Banking Federation, comunicato del 27 giugno 2013
(8) Il commissario Barnier ha già preannunciato nelle prossime settimane un progetto sul Single Resolution Mechanism
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Alessandro Leipold
Pienamente d’accordo. Sostengo argomenti simili in http://bit.ly/12AZhTw
Alessandro Leipold (su Twitter: @ALeipold)
Federico B
Buongiorno. Una direttiva complessa (che non ho ancora finito di esaminare, peraltro). Tra i vari punti toccati, si menziona la necessità di evitare incentivi distorsivi, moral hazard e si elabora un principio di ‘early intervention’ per scongiurare rischi sistemici. Colpisce subito, per contrasto, quanto viceversa incompleto e farraginoso, proprio alla luce del principio suddetto, sia risultato il ‘bailout’ degli stati sovrani. In simili casi l’evidenza empirica dimostra che ‘the sooner, the better’. Nel merito, le fondamenta dell’edificio sono state poste; si agisca con pragmatismo, anche a livello di Stati dell’Unione europea, di arbitraggio normativo/regolamentare (US/EU), e di vera libertà di scambio. “salvate” le banche, rimane sullo sfondo irrisolto il problema fondamentale del ‘credit crunch’. The ‘new normal’?
Piero
Il problema bancario e’ emerso per la crisi del debito pubblico, le banche sono piene di titoli di stato, la perdita di valore del debito ha causato la diminuzione del patrimonio delle banche, ha ridotto la loro capacità di credito all’economia reale, conseguenza che ha ridotto notevolmente la qualità dei loro attivi, ecc., tale circolo vizioso oramai e’ noto a tutti, meno che a chi governa in Europa la politica monetaria.
Si vuole con l’unione bancaria risolvere il circolo vizioso banche/debito statale, non è così che si risolve il problema, la crisi del debito pubblico statale e nelle mani della Bce e non degli stati, ciò a tutti e’ noto, per l’unione bancaria si dovrà prevedere prima delle regole anche la patologia, non si può fare lo stesso errore della moneta unica, si sono messe le regole e non è’ stata prevista la patologia, quindi si deve scegliere il modello Cipro se a tutti va bene, ma il modello deve essere unico, per il fondo unico va bene il fondo Esm, tanto lo stesso non verrà mai utilizzato per gli stati, personalmente aggiungerei l’obbligo per la statalizzazione delle banche nel caso di interventi del fondo importanti, da vedere la soglia, se pagano i cittadini la banca deve essere loro.