Il diritto di elettorato passivo di ogni cittadino è garantito dalla Costituzione. Per rispondere in modo equilibrato alle istanze di moralizzazione va attuato l’articolo 49 della Costituzione, senza affidarsi alla categoria di “impresentabile”.
Chi sono gli “impresentabili”
Sull’onda dell’antipolitica, agitata dalle vicende giudiziarie che hanno interessato la giunta del presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, prima e quello della Regione Liguria, Giovanni Toti dopo, le elezioni per il rinnovo dei membri del Parlamento europeo ci consegnano una nuova categoria invalidante del diritto di elettorato passivo previsto dall’articolo 51 della Costituzione.
Alle più note categorie della “incompatibilità”, “ineleggibilità” e “incandidabilità”, la Commissione nazionale antimafia, composta da senatori e deputati, ha infatti elaborato la categoria della “impresentabilità”, sulla base di un Codice di autoregolamentazione delle candidature approvato dalla stessa nel 2019 per tutte le competizioni elettorali. I nominativi diffusi dalla Commissione antimafia, che non hanno superato lo screening del Codice di autoregolamentazione, sono Angelo Antonio D’Agostino (candidato Fi-Noi moderati-Ppe nella circoscrizione Italia Meridionale), Marco Falcone (candidato Fi-Noi Moderati-Ppe per la circoscrizione Italia insulare), Alberico Gambino (candidato Fdi nella circoscrizione Italia Meridionale), Filomena Greco (candidata per Stati Uniti d’Europa nella circoscrizione Italia meridionale), Luigi Grillo (candidato per Fi-Noi moderati-Ppe nella circoscrizione Italia Nord occidentale), Antonio Mazzeo (candidato Pd nella circoscrizione Italia centrale), Giuseppe Milazzo (candidato FdI nella circoscrizione Italia insulare).
I requisiti dell’impresentabilità
Diventa impresentabile l’aspirante candidato alla carica elettiva che, pur possedendo i requisiti soggettivi richiesti dalla legge per proporre la propria candidatura, difetta di quelli ulteriori e più stringenti previsti dal Codice di autoregolamentazione. Si tratta di requisiti che interessano la sfera morale e sociale dell’aspirante candidato e che vengono valutati con il metro della mera “opportunità”. Siamo quindi in presenza non di una “nuova incapacità giuridica speciale” voluta dal legislatore, ma di una forma domestica d’incapacità politica la cui disponibilità rimane salda nelle prerogative e nelle scelte autonome dei rispettivi partiti politici. In pratica, il partito politico si assume la responsabilità di candidare, ovvero di non candidare, un soggetto che risulta inserito nell’elenco degli “impresentabili”.
La riflessione che qui proponiamo mira a comprendere se il nuovo e aggiuntivo filtro utilizzato dalla Commissione nazionale antimafia interferisca con le garanzie costituzionali di elettorato passivo di cui gode ogni cittadino.
Il diritto costituzionale di elettorato passivo
Il diritto di elettorato passivo, il cui esercizio è libero e non condizionato ad alcun intervento autorizzatorio della pubblica amministrazione, è infatti riconosciuto dalla nostra Costituzione all’articolo 51, che così recita: “Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge”. Nell’ambito del potere di fissazione dei “requisiti” di eleggibilità, che l’articolo 51 riserva solamente al legislatore, esistono cause ostative all’esercizio di tale diritto, che trovano espressa disciplina nel nostro ordinamento giuridico e che riguardano tutti i livelli istituzionali in cui è prevista una carica di tipo elettivo.
Proprio il principio di cui all’articolo 51 della Costituzione svolge il ruolo di garanzia generale di un diritto politico fondamentale, riconosciuto a ogni cittadino con i caratteri dell’inviolabilità. La giurisprudenza costituzionale ha, peraltro, più volte tutelato il fondamentale diritto di elettorato passivo, trattandosi “di un diritto che, essendo intangibile nel suo contenuto di valore, può essere unicamente disciplinato da leggi generali, che possono limitarlo soltanto al fine di realizzare altri interessi costituzionali altrettanto fondamentali e generali, senza porre discriminazioni sostanziali tra cittadino e cittadino, qualunque sia la regione o il luogo di appartenenza” (Corte cost., sent. n. 235/1988).
La giurisprudenza costituzionale
Appare pertinente altresì rilevare che, secondo un altro principio sancito dalla Corte costituzionale, “(…) l’eleggibilità è la regola e l’ineleggibilità l’eccezione: le norme che derogano al principio della generalità del diritto elettorale passivo sono di stretta interpretazione e devono contenersi entro i limiti di quanto è necessario a soddisfare le esigenze di pubblico interesse cui sono preordinate (…)” (Corte cost. sent. n. 141/1996). Ancora, simmetricamente, anche la casistica ostativa all’esercizio del diritto di elettorato attivo annoverabile nella “indegnità morale”, alla quale si ispirano le norme contenute nel Codice di autoregolamentazione utilizzato dalla Commissione antimafia, è sottoposta a riserva di legge per espressa previsione costituzionale. L’articolo 48, comma 3°, della Costituzione così recita: “Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”.
In questo quadro normativo, caratterizzato da disposizioni di rango costituzionale, mentre appaiono limitati gli spazi per una disciplina in materia di diritti di elettorato passivo assegnati alla disponibilità e all’autonomia dei partiti politici in assenza di una specifica intermediazione legislativa che ne riconosca tale facoltà, è certamente da escludere che tali limiti al diritto di elettorato passivo possano essere stabiliti dalla Commissione nazionale antimafia.
Corollario di queste argomentazioni è che l’equilibrio tra condivisibili istanze di “moralizzazione” nella selezione della classe politica e insuperabili limiti costituzionali, non può che trovare sede nella (ancora mancata) attuazione legislativa dell’articolo 49 della Costituzione. L’introduzione nel nostro ordinamento di tale equilibrio – che è stato invece trovato nei Codici etici e parlamentari di altri paesi (ad esempio, nel Ministerial Code e nel Code of Conduct della Camera dei Comuni britannica) – impedirebbe a un organismo esterno ai partiti politici, ancorché autorevole come la Commissione nazionale antimafia, di intervenire sull’autonomia loro riconosciuta dalla Costituzione per condizionare, con proprie linee d’indirizzo, il “metodo democratico” della vita interna, determinandone la selezione delle candidature.
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Savino
E’ più vergognoso che un Presidente di Regione stia rispondendo in maniera inqualificabile, arroccandosi rispetto alle indagini della magistratura che lo ha posto ai domiciliari, con zero etica, irriguardoso verso cittadini e giudici nei confronti dei quali ci vuole più rispetto. Stanno deontologicamente sbagliando anche i suoi difensori, siamo fuori dalla difesa penale e siamo all’invocazione di lesa maestà da regime antidemocratico.
Enrico
Spiace che la costituzione non preveda tra i requisiti per esercitare una funzione pubblica la competenza, oltre alla disciplina e l’onore. Credo che possa fare meno danni un ladro conclamato che un eletto o un nominato che non abbiano un adeguato curriculum o manchino delle conoscenze di base per esercitare consapevolmente la propria funzione. Più che il filtro dell’ Anac e l’Antimafia, ciascun candidato dovrebbe superare almeno un quiz sull’ordinamento dello stato e sulle specifiche competenze richieste dalla carica a cui concorre. Se ci vuole la patente per guidare perfino un motorino, non vedo perché si possa guidare un paese o un ente pubblico senza sapere nemmeno da che parte cominciare. Per chi ha tempo da perdere e stomaco forte, invito a scorrere i CV di parecchi rappresentanti del popolo e dei membri del board di parecchie istituzioni pubbliche.
Maria Laura Bufano
E Vittorio Sgarbi è presentabilissimo?