La transizione cinese verso un nuovo modello di crescita è segnata dall’incoerenza tra obiettivi economici e fiscali. Il governo non affronta il problema centrale della debolezza della domanda interna, cosicché la crescita dipende ancora dall’export.

Lo sviluppo di forze produttive di qualità

Si è appena concluso a Pechino il Terzo Plenum del Partico comunista, da sempre evento fondamentale per capire i principali cambiamenti politici e le riforme economiche in Cina. A differenza di altre occasioni, questa volta vi è stata più incertezza e quindi attesa riguardo le misure annunciate. Infatti, al di là dei dettagli, la transizione cinese verso un nuovo modello di crescita è caratterizzata da un’incoerenza tra gli obiettivi economici e quelli fiscali.

Per quanto riguarda gli obiettivi economici, il passaggio a un’industria manifatturiera altamente qualificata richiede infatti una grande attenzione (attraverso sostegni e sussidi) al lato dell’offerta – da cui la forte enfasi sulle “nuove forze produttive di qualità”. Lo slogan è stato introdotto dal presidente cinese Xi Jinping nel settembre dello scorso anno, durante una visita nella Cina nord-orientale, una regione che un tempo svolgeva un ruolo vitale per l’industria pesante cinese, ma che ora, dopo la riforma e l’apertura, è molto indietro rispetto ad altre aree. Lì Xi ha ribadito la necessità di potenziare l’industria manifatturiera tradizionale per raggiungere lo sviluppo regionale e per la prima volta ha proposto pubblicamente il concetto di nuove forze produttive di qualità. Successivamente, nel marzo 2024, durante il discorso di apertura delle “Due sessioni”, un evento politico annuale dove si annunciano le politiche importanti e gli emendamenti legislativi, il premier Li Qiang ha dichiarato che “l’accelerazione dello sviluppo di nuove forze produttive di qualità” sarebbe stata la priorità principale tra i dieci compiti economici del governo per il 2024.

Per capire il nuovo concetto, dobbiamo tornare all’inizio del 2023, pochi mesi dopo che il governo cinese aveva inaspettatamente posto fine alle sue politiche di zero Covid durate tre anni, dopo le quali molti si aspettavano un forte rimbalzo dell’economia cinese. Da allora, tuttavia, la Cina è stata colpita dalle preoccupazioni per la deflazione, l’aggravarsi della crisi immobiliare e l’aumento della disoccupazione giovanile.

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Il dato più importante riguarda il settore manifatturiero e le molteplici sfide che da allora sta affrontando. Dal lato dell’offerta, si è registrata una significativa riduzione dei tassi di utilizzo della capacità industriale, oltre a livelli storicamente elevati di scorte. Dal punto di vista della domanda, il consumo interno non accelera e le esportazioni sono diminuite, perché la domanda estera di prodotti fabbricati in Cina, in particolare nei settori in rapida crescita delle nuove energie, come i pannelli solari, le batterie e i veicoli elettrici, incontra difficoltà soprattutto – ma non solo – nei paesi europei e negli Stati Uniti, dove sono state introdotte nuove misure per sostenere le industrie nazionali contro la concorrenza cinese.

Gli obiettivi fiscali

Gli obiettivi fiscali non sono meno ambiziosi di quelli economici. La situazione da questo punto di vista è in pieno deterioramento, in particolare quella dei governi locali alle prese con il calo delle entrate derivanti dalla vendita dei terreni. Data la mancanza di entrate alternative, un’opzione sarebbe aumentare l’allocazione delle tasse ai governi locali, attraverso l’imposta sui consumi. Che però è in totale contraddizione con la necessità di sostenere la domanda. È la debolezza di quest’ultima, infatti, la responsabile della deflazione in corso. La crescita del Pil reale della Cina nel secondo trimestre del 2024 è stata inferiore alle aspettative, il 4,7 per cento su base annua. Tuttavia, ciò che preoccupa di più è la crescita ancora più lenta del Pil nominale (4 per cento), a indicare che una persistente pressione deflazionistica (dal momento che il deflatore del PIL, una misura di inflazione, è stato del -0,7%). Anche le previsioni delineano una continua pressione deflazionistica, a meno che non vengano adottate misure forti a sostegno della domanda. Invece, quello che al più può succedere è l’introduzione di sconti moderati alle famiglie a basso e medio reddito per sostenere i loro consumi, ma è improbabile che questo cambi l’andamento del consumo aggregato, che è debole. Nel secondo trimestre del 2024, la spesa delle famiglie è rallentata al 5 per cento annuo, mentre il loro reddito è sceso al 4,5 per cento annuo. In particolare, la domanda di beni di consumo è stata piuttosto debole, con le vendite al dettaglio del settore dei beni che a giugno sono scese all’1,5 per cento annuo. Nel secondo trimestre del 2024, la spesa delle famiglie è cresciuta solo del 5,0% annuo, mentre il loro reddito del 4,5% annuo.

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In un contesto del genere, anche gli investimenti non decollano. Sono ancora frenati dalla crisi del settore immobiliare. Gli investimenti immobiliari sono scesi del 10,1% su base annua a giugno, spingendo il totale degli investimenti fissi a rallentare del 3,9% su base annua.

Data la difficoltà di raggiungere contemporaneamente gli obiettivi economici e fiscali, non ci si poteva certo aspettare che il Terzo Plenum potesse prendere misure decisive. Il problema centrale del nuovo modello di sviluppo cinese è la debolezza della domanda interna, cui il governo in realtà non vuole porre rimedio attraverso l’introduzione di un sistema di welfare adeguato a un paese in rapido invecchiamento e a bassa natalità.

Se non si affronta il problema della mancanza di domanda, la dipendenza della Cina dal mercato esterno aumenterà e ciò porterà a una ulteriore deriva verso il protezionismo nei paesi importatori, che pretendono nuove regole a favore di una concorrenza più leale. Queste ultime sono il tassello mancante di un sistema di governance internazionale, che invece oggi sta comportando sfide geopolitiche sempre più grandi.

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