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Chiuso per ferie: solo un luogo comune per i lavoratori italiani

Nell’immaginario collettivo il periodo estivo è associato alle ferie dal lavoro. Non abbiamo numeri sistematici sull’entità del fenomeno, ma i dati Istat sulle forze lavoro indicano che i lavoratori italiani non vanno così tanto in vacanza.

Ma in ferie da cosa?

In molti ricordano ancora l’iconico “ma in ferie da cosa?” pronunciato da Sergio Marchionne in un intervento del 2013 all’università Bocconi di Milano, parlando della tendenza alle ferie generalizzate nel mese di agosto nell’allora Fiat. Eppure, anche di fronte alla grande rilevanza nell’immaginario collettivo delle “ferie”, specialmente quelle estive, non sembra esserci una precisa quantificazione dal punto di vista statistico dell’entità del fenomeno. Un obiettivo non semplice, dal momento che non esiste una fonte dati univocamente indirizzata a tale scopo.

In questo articolo usiamo allora i dati sulle forze lavoro raccolti ogni trimestre dall’Istat per provare a fare luce sul fenomeno. Agli individui che dichiarano di avere un lavoro ma di non averlo svolto nella settimana precedente l’intervista viene infatti chiesta la motivazione per l’assenza e una delle possibili risposte è appunto “ferie o festività”. Ciò consente di calcolare il numero medio di lavoratori assenti per ferie in una settimana all’interno di un trimestre. Qui ci riferiremo al trimestre luglio-settembre come al “trimestre estivo”, nonostante non coincida perfettamente con l’estate comunemente intesa, ovvero giugno-agosto, dal momento che il dato trimestrale raccolto da Istat non consente flessibilità da questo punto di vista.

La tendenza dopo il Covid

La figura 1a mostra la percentuale di lavoratori italiani in ferie anno per anno, utilizzando una linea diversa per ciascun trimestre dell’anno. Nel 2023, in media, durante una settimana del periodo estivo, l’11,3 per cento dei lavoratori italiani era assente per ferie. La percentuale è notevolmente più bassa per i periodi gennaio-marzo (1,7 per cento), aprile-giugno (1 per cento) e ottobre-dicembre (1,4 per cento). Il dato risulta alquanto stabile rispetto ai due anni precedenti, ma è evidente il calo successivo alla crisi da Covid-19. Nel trimestre estivo si è passati dal 13,1 per cento del 2019 all’11,4 per cento del 2021, e similmente negli altri trimestri (dal 2,6 allo 0,9 per cento nel primo trimestre, dal 2,2 allo 0,9 per cento nel secondo trimestre e dal 2,9 al 2,2 per cento nel quarto trimestre). È interessante notare come, tra l’altro, vi fosse già stato un trend di riduzione, specialmente evidente negli anni delle due recessioni, che avevano ridotto la percentuale per il trimestre estivo dal 15,3 per cento del 2008 al 13,1 per cento del 2019.

La figura 1b prova invece a indagare quanto le ferie siano concentrate in estate, mostrando per ciascun anno il rapporto tra la percentuale media di lavoratori in ferie durante una settimana del trimestre estivo e una in un qualsiasi altro periodo dell’anno. Gli anni prima del Covid hanno mostrato una generale tendenza alla riduzione della concentrazione estiva delle ferie (in conseguenza del calo della percentuale di lavoratori in ferie nel trimestre luglio-settembre visibile nella figura 1a). Gli anni 2021-2023 mostrano invece un rimbalzo, dovuto al fatto che il calo estivo è stato più che compensato da una diminuzione ancora maggiore negli altri periodi dell’anno.

Il confronto con gli altri paesi europei

Gli ultimi dati europei pre-Covid disponibili (2019) permettono un confronto con i paesi a noi vicini. Facendo una classifica rispetto alla percentuale media di lavoratori in ferie durante una settimana estiva si scopre che, a differenza di quanto si possa pensare, gli italiani non sono tra i più vacanzieri, ma si collocano invece a metà della graduatoria, come si può vedere nella figura 2a. Ai primi posti si trovano Svezia, Francia e Finlandia, in cui ogni 100 lavoratori, in media in una settimana d’estate ne sono assenti per ferie rispettivamente 21, 19 e 17. In fondo alla classifica invece Grecia, Polonia e Regno Unito, con percentuali inferiori al 9 per cento.

Ciò che invece caratterizza l’Italia e altri paesi mediterranei è la maggiore concentrazione delle ferie nel periodo estivo. La figura 2b mostra che nel nostro paese, così come in Portogallo e in Grecia, la percentuale media di lavoratori in ferie nel periodo estivo è oltre cinque volte quella in un qualsiasi altro periodo dell’anno. Come evidenziato dall’Employment Outlook 2021 dell’Ocse, queste differenze possono derivare non solo da motivazioni semplicemente culturali nell’approccio al lavoro, ma anche dal diverso risultato della contrattazione tra le parti sociali in materia di ferie.

Una analisi utile, ma preliminare

L’esercizio di analisi dati compiuto in questo articolo ha alcuni limiti metodologici. In primo luogo, data la natura trimestrale dei dati Istat, non consente di indagare il fenomeno a un dettaglio temporale superiore. L’aggiornamento del questionario Istat dell’indagine delle forze lavoro nel 2021, proprio in corrispondenza con il periodo post-Covid, pone delle difficoltà nel confronto tra anni diversi che qui sono state affrontate al meglio possibile, ma che lasciano comunque spazio a scelte differenti. Soprattutto, il dato Istat non consente di misurare i giorni effettivi di ferie, ma solo il numero medio di lavoratori in ferie in una settimana: quindi non è possibile indagare eventuali cambiamenti del margine “estensivo” e di quello “intensivo”, ovvero non si può capire se la diminuzione della quantità totale di settimane di ferie sia dovuta a un minor numero di italiani che vanno in ferie oppure a ferie più brevi a parità di lavoratori che si assentano dal lavoro. Nonostante ciò, i numeri qui riportati rappresentano un primo esercizio di quantificazione, utile intanto a smentire alcune credenze diffuse rispetto all’ordine di grandezza del fenomeno e al suo andamento nel tempo. E mentre lentamente il paese riprende le sue attività dopo la fatidica pausa ferragostana, possono essere anche uno spunto in più per la comprensione e il miglioramento delle dinamiche del mercato del lavoro italiano.

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Il Punto

  1. Savino

    Le armi di distrazione di massa dei social network e della televisione ormai vanno ben oltre la dura realtà. Le problematiche economico-sociali, che fanno crescere le disuguaglianze, non mancano: l’assenza di politica industriale e di reddito da lavoro dipendente, la rassegnazione che regna tra i consumatori per l’incremento di ogni merce, di ogni materia, di ogni bene o servizio, di un affitto per uno studente o un lavoratore, di un mutuo per giovani coppie o per nuovi tentativi di impresa, di un biglietto aereo per tornare a casa; il mancato riconoscimento di diritti e servizi essenziali, a cominciare dall’assistenza sanitaria, a quella per l’invecchiamento, a quella per ottenere la crescita demografica, con l’assenza di strutture di cura o asili nido; lo status quo sempre eternamente uguale a sè stesso, che vede occupare posizioni rilevanti in modo immeritato sempre alle stesse persone, con i nostri giovani laureati che restano al palo, con l’ascensore sociale rotto, e sono costretti ad espatriare. Per i mass-media, invece, soltanto mare, spiaggia, sole, belle donne, calciatori, divi e apericena 365 giorni all’anno (quest’anno persino 366).

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