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Perché va difeso il bonus senza condizioni

L’eccezionalità della situazione determinata dal lockdown rendeva probabili gravi perdite di reddito per autonomi e altre tipologie di lavoratori. Che però avrebbero avuto difficoltà a dimostrarle. Ecco perché il bonus da 600 euro non prevedeva condizioni.

Lavoratori in tempi di lockdown

La polemica sul bonus richiesto ed erogato ad alcuni parlamentari e consiglieri regionali rischia di lasciare un duplice messaggio: il primo è la condanna sul piano etico di chi ha approfittato della misura pur non avendone bisogno, aggravata dal ruolo istituzionale ricoperto. Il secondo è l’eccessiva flessibilità delle condizioni imposte per l’erogazione.

Il secondo messaggio assolve dal punto di vista legale i “furbetti”, facendo ricadere le colpe sui politici e i tecnici che hanno disegnato la misura. E infatti, nei giorni successivi allo scandalo, sui principali quotidiani si leggevano commenti sintetizzabili nella frase “sarebbe stato sufficiente imporre un limite di reddito”. Nessuno è entrato nel merito delle ragioni sottostanti la scelta di non vincolare il trasferimento a requisiti reddituali o patrimoniali: quella flessibilità era necessaria alla luce delle condizioni eccezionali dei mesi di marzo e aprile 2020.

A marzo, per la prima volta nella storia della Repubblica, un provvedimento del governo proibisce ai cittadini di uscire di casa, se non per bisogni essenziali, perché l’aumento vertiginoso dei casi di coronavirus impone una riduzione drastica dei contatti tra le persone, realizzabile solo tramite il lockdown.

Il provvedimento ha significato che le persone i cui redditi dipendevano direttamente dagli scambi di beni e servizi nell’economia reale si sono viste imporre dall’alto un inevitabile e drastico impoverimento. Il mercato del lavoro può essere infatti diviso lungo due direttrici, il settore pubblico e il settore privato, da un lato, e il lavoro dipendente e il lavoro autonomo, dall’altro. Lungo le direttrici distinguiamo tre categorie che sono state colpite in modo radicalmente diverso dalla pandemia: i lavoratori dipendenti del settore pubblico e del settore privato, che hanno continuato a ricevere il loro stipendio e presumibilmente hanno ridotto i consumi; i lavoratori dipendenti del settore privato che sono stati messi in cassa integrazione; e i lavoratori autonomi, un gruppo eterogeneo in cui sono inclusi professionisti e giovani precari che si barcamenano tra progetti e consulenze, il cui unico tratto in comune è non avere un reddito garantito a fine mese.

Il bonus di 600 euro serviva a tamponare le conseguenze economiche del lockdown per quest’ultima categoria, di difficile identificazione eppure molto presente in un mercato del lavoro dove forme di impiego flessibili sono sempre più richieste. Secondo le ultime stime, le partite Iva rappresentano più del 20 per cento degli occupati e sono aumentate nel 2019 di 545.700 unità. Le domande per il bonus di 600 euro accolte dall’Inps sono 4.060.941 e a gennaio 2020, secondo l’Istat, il numero totale di occupati in Italia era di 23.312.000: sono numeri che dovrebbero farci capire che gli interessati al bonus sono una componente non trascurabile della forza lavoro in Italia.

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Il bonus aveva quindi un fine risarcitorio e, in questa ottica, l’importo di 600 euro risulta anche ridotto. A essere criticata è l’estrema facilità di accesso alla misura anche da parte di persone che potrebbero non aver subito riduzioni del reddito in quel periodo o che, pur avendola subita, non erano in condizioni di difficoltà talmente gravi da giustificare un aiuto pubblico. L’eccezionale incisività dei provvedimenti imposti sull’attività economica rende ragionevole pensare che gran parte dei lavoratori autonomi abbiano subito una riduzione del reddito, ma doverla dimostrare avrebbe comportato una serie di adempimenti burocratici in un momento in cui la maggior parte degli uffici erano chiusi e avrebbe precluso la tempestività dell’intervento. Sulla meritorietà del bonus anche per chi avrebbe potuto usare i propri risparmi per coprire le perdite la discussione è aperta.

Come si dimostra la perdita di reddito?

Ma ammettiamo pure che sarebbe stato più opportuno vincolare il bonus al reddito. Gli indicatori a cui sarebbe stato possibile ricorrere sono: il reddito complessivo Irpef ricavato dall’ultimo modello 730 presentato, quindi relativo ai redditi del 2018, o l’Isee, indicatore della situazione reddituale e patrimoniale usato normalmente per l’accesso alle prestazioni sociali agevolate. La componente reddituale presa in considerazione nell’Isee si riferisce al secondo anno solare precedente la presentazione, quindi a inizio 2020 avrebbe fatto fede l’Isee relativo ai redditi percepiti nel 2017, mentre il patrimonio mobiliare e immobiliare sarebbe stato quello posseduto alla fine del 2018. Per ovviare a questo tipo di problemi esiste l’Isee corrente, che può essere richiesto da chi ha subito rilevanti variazioni del reddito (più del 25 per cento) dovute a eventi avversi come la perdita del posto di lavoro, che permette un aggiornamento basato sui redditi degli ultimi 12 mesi. Solo per i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato i redditi aggiornati sono ottenuti moltiplicando per sei i redditi conseguiti nei due mesi antecedenti la presentazione della dichiarazione sostitutiva unica, ma ciò non è possibile per i lavoratori dipendenti a tempo determinato, gli impiegati con tipologie contrattuali flessibili e i lavoratori autonomi.

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A marzo, l’eccezionalità della situazione rendeva probabile che autonomi, co.co.co, lavoratori stagionali o dello spettacolo non soddisfacessero i requisiti per presentare l’Isee corrente, ma avessero comunque subito gravi perdite a causa del lockdown. In aggiunta, l’Inps avrebbe dovuto sobbarcarsi anche le richieste di aggiornamento dell’Isee.

Vincolare il trasferimento a un qualsiasi indicatore reddituale o sottoporlo a parametri di lucro cessante non avrebbe permesso di raggiungere il fine di risarcimento per cui è stata pensata la misura e avrebbe lasciato molte persone nell’incapacità di dimostrare una contingente e imposta riduzione di reddito. Semmai, sarebbe stato opportuno inserire – contestualmente alla domanda – un’autocertificazione di non ricevere per i mesi di marzo e aprile 2020 redditi da lavoro dipendente o da capitale oltre una certa soglia: la dichiarazione avrebbe evitato iniquità e soprattutto avrebbe permesso di sanzionare i “furbetti del bonus”, che invece oggi possono essere solo biasimati dall’opinione pubblica.

In ogni caso, pochissimi hanno approfittato del bonus senza averne ragione, ma è enorme la sofferenza economica che è stata evitata facilitando l’accesso al bonus. Un intervento pubblico con queste caratteristiche è stato necessario e funzionale alla tenuta sociale durante un blocco dell’attività economica senza precedenti. Invece di leggere lamenti su tre parlamentari – nemmeno così furbi – l’episodio dovrebbe stimolare un dibattito sull’adeguatezza degli indicatori della situazione economica del nostro sistema di welfare. Si dovrebbe discutere sui pregi di un universalismo che concentri le energie amministrative su controlli a posteriori che siano veramente un disincentivo per i “furbetti”, invece di invocare adempimenti burocratici che scoraggiano solo chi non conosce il linguaggio giuridico-burocratico e non può permettersi un commercialista, ossia coloro che dovrebbero essere aiutati dal sistema di welfare.

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Il Punto

  1. Antonio Carbone

    Premesso che io faccio parte proprio di quella categoria di autonomi che vive di progetti, incarichi e consulenze varie che, tuttavia, essendo iscritto ad un ordine professionale con relativa cassa autonoma, avevo una soglia limite di reddito per l’accesso al bonus pari a 50.000 euro. Non ho proprio fatto la richiesta perché non ritenevo di aver avuto danni ma solo qualche disagio. Nel caso della mia categoria, quindi, qualche paletto c’era e non ritengo invece che vada difeso il bonus senza condizioni, anche perché l’autrice cita ella stessa una condizione che non avrebbe aggravato minimamente gli adempimenti burocratici di presentazione della domanda, garantendo, allo stesso tempo, che non fossero commessi abusi (secondo me non limitati a pochi parlamentari, ma anche ad altre categorie) o rendendo possibile almeno la loro sanzione. “Un’autocertificazione di non ricevere per i mesi di marzo e aprile 2020 redditi da lavoro dipendente o da capitale oltre una certa soglia” era una condizione molto semplice e ragionevole e non averla introdotta costituisce un grave errore.

  2. Luca Cigolini

    D’accordo; probabilmente non c’era alternativa, se non la minaccia di un controllo a posteriori. Ma non chiamiamoli “furbetti”! Si son presi soldi destinati a chi era veramente in difficoltà. Purtroppo non si tratta di pochi casi isolati; ho conosciuto personalmente casi di benestanti che – con conti in banca, auto e vacanze che non mi potrò mai permettere – hanno richiesto e ottenuto legalmente questi soldi. Moralmente queste persone sono equiparabili a chi approfitta dei parcheggi per disabili o a chi ruba le elemosine per i poveri, anche se dal punto di vista legale sono a posto!

  3. Dario Gallo

    È vero: il controllo a priori non avrebbe avuto senso. Si sarebbe potuto fare a posteriori, nella dichiarazione dei redditi 2021 ad esempio, e stabilire soglie di reddito oltre le quali il contributo sarebbe dovuto essere restituito parzialmente o integralmente. L’idea di garantire liquidità immediata alle famiglie era sacrosanta. L’idea di regalare soldi a pioggia, anche a chi non ne aveva materialmente bisogno, no. Il messaggio sarebbe dovuto essere “prendi i soldi, se scopri di non averne più bisogno me li restituisci”.

  4. Paolo Gratteri

    Non è vero che il bonus non prevedeva delle condizioni. Per i lavori autonomi stabiliva che avessero una riduzione del fatturato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente ed è noto a tutti che i lavoratori autonomi hanno flussi di cassa disallineati temporalmente rispetto al lavoro svolto. Pertanto prendere a riferimento un periodo ristretto non consente di cogliere gli effetti reali del blocco di lavoro imposto dal lockdown.

  5. Henri Schmit

    Non sono convinto. Bonus si possono dare solo alle persone fisiche, alle famiglie, a condizioni precise, non toppo severe, autocertificate. Alle imprese e ai professionisti bisognava 1. riconoscere rinvii fiscali e 2. concedere crediti agevolati, rapidi, garantiti (direi al 90%, per lasciare qualche rischio e responsabilità nelle valutazione delle condizioni alla banca) dallo stato, a certe condizioni, semplici da verficare. Questi principi sono semplici, metterli in pratica è molto complicato.

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