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Figli a casa o al nido: le ragioni di una scelta

L’Italia è indietro negli obiettivi sui servizi alla prima infanzia. Mancano le strutture, ma incide anche l’idea che il nido non sia una tappa fondamentale per la crescita. Un’indagine su caratteristiche e motivi dei genitori che tengono a casa i figli.

L’Italia e gli obiettivi europei di copertura dei posti nido

Nel 2002 il Consiglio europeo di Barcellona ha fissato l’obiettivo di garantire ad almeno il 33 per cento dei bambini dai 3 ai 36 mesi un posto all’asilo nido; il target è stato poi innalzato al 45 per cento alla fine del 2022.

In Italia, i bambini sotto i tre anni accolti nei servizi educativi specifici per la prima infanzia sono meno del 35 per cento, contro il 37,5 per cento della media europea. Se questa è la media, alcuni paesi fanno molto meglio: la Francia e la Spagna, per esempio, sono ben al di sopra del 50 per cento e altri ancora, come l’Olanda e la Danimarca, si attestano al 73 e al 70 per cento rispettivamente.

Il dato italiano riflette sì la carenza di offerta di strutture adeguate. Ma riflette anche alcune rigidità dal lato della domanda, con una percezione più o meno diffusa che l’asilo nido non sia una tappa fondamentale per la crescita del bambino.

Le caratteristiche delle famiglie che non mandano i bimbi al nido

Per comprendere meglio le scelte e le motivazioni delle famiglie rispetto alla frequenza al nido dei bambini sotto i tre anni, il Collegio Carlo Alberto in collaborazione con la Fondazione Ufficio Pio e la città di Torino ha svolto una ricerca su un campione di famiglie torinesi che hanno deciso di non avvalersi dei servizi educativi per la prima infanzia.

Come base dello studio sono stati utilizzati i dati di quasi 7mila famiglie che hanno fatto domanda di iscrizione del proprio figlio o figlia a una scuola materna situata nel comune di Torino nel 2023 e per le quali, retrospettivamente, è stato possibile avere informazioni sulla frequenza o meno all’asilo nido.

Il 60 per cento dei bambini di 3 anni che si iscrivono alla materna nel 2020 non ha frequentato in passato l’asilo nido. Confrontando le caratteristiche delle famiglie di questi bambini con quelle delle famiglie che invece hanno fatto frequentare il nido ai propri figli, è stato possibile stimare quali fattori sono associati a una maggiore o minore probabilità che un bambino o una bambina vada al nido.

Un primo elemento importante è la nazionalità dei genitori: avere entrambi i genitori provenienti da paesi dell’Africa o dell’Asia si associa a una diminuzione nella probabilità che il figlio o la figlia frequenti il nido. In particolare, la probabilità è più bassa di 7,8 punti percentuali se il bambino o la bambina ha entrambi i genitori africani e più bassa di ben 26,5 punti se i genitori sono asiatici. Al contrario, avere entrambi i genitori stranieri ma provenienti da paesi dell’Europa dell’Est si associa a una probabilità più alta di 5 punti percentuali, mentre tutte le altre combinazioni non mostrano variazioni nella probabilità.

Un secondo aspetto rilevante è la composizione del nucleo familiare:la probabilità di frequentare il nido si riduce drasticamente (-26 punti percentuali) nei nuclei composti dal solo padre (indipendentemente dalla sua nazionalità), mentre aumenta (+4 punti percentuali) nei nuclei composti dalla sola madre, ma solamente se proveniente da un paese extra-Ue.

Anche la dimensione complessiva del nucleo familiare conta: un aumento del numero di adulti si traduce in una riduzione della probabilità di frequentare il nido leggera, ma significativa, del 4 punti percentuali per ciascun componente familiare aggiuntivo. Lo stesso succede all’aumentare del numero di minori tra i 10 e i 18 anni all’interno dello stesso nucleo familiare. Non si rilevano invece variazioni significative al crescere del numero di bambini sotto i 10 anni.

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L’occupazione della madre svolge un ruolo rilevante nella scelta se mandare i bambini al nido oppure no: nel caso delle mamme inattive o disoccupate la probabilità che i loro figli frequentino il nido è più bassa rispettivamente di 27 e di 11 punti percentuali. La presenza di un padre inattivo è associata a una diminuzione del 6,5 punti della probabilità di frequenza al nido.

Anche l’età dei genitori gioca un ruolo, seppur marginale: al suo crescere, la probabilità che i figli vadano al nido è leggermente più alta di 0,4 punti percentuali per ciascun anno di età dei genitori.

Quanto all’offerta di posti nido, l’aumento di un punto percentuale nella quota di quelli disponibili nella circoscrizione è associato a un aumento dello 0,38 punti della probabilità che il bambino che vi risiede frequenti il nido.

L’asilo nido, poco conosciuto ma non osteggiato

Un approfondimento qualitativo, attraverso un questionario telefonico su un campione di poco meno di mille famiglie, ha permesso di evidenziare alcuni aspetti poco noti che stanno dietro la mancata frequenza dell’asilo nido.

In primo luogo, la maggior parte delle famiglie che non ha usufruito degli asili nido ha una scarsa conoscenza dei servizi disponibili, in modo particolare se si tratta di famiglie straniere. Solo una quota ristretta di loro, ad esempio, ha raccolto informazioni o visitato le strutture del territorio e in media solo il 31 per cento conosce il nome o l’ubicazione di un nido specifico della propria zona. La ragione principale è la percezione di non avere bisogno di raccogliere informazioni in quanto già a conoscenza delle caratteristiche del servizio nido (82 per cento degli italiani e 44 per cento degli stranieri), a cui si aggiunge il 26 per cento degli stranieri e il 4 per cento degli italiani che dicono di non aver bisogno del nido. Tra le famiglie straniere, tuttavia, vi è anche una quota significativa che non si è informata sui nidi a causa di difficoltà linguistiche (19 per cento), mentre il 7 per cento di entrambi i gruppi di famiglie, italiane e straniere, riferisce ostacoli di tipo burocratico (“non sono riuscito/a a contattare il servizio”).

La scarsa conoscenza si estende anche agli aspetti economici. Le considerazioni sui costi del servizio incidono sulla scelta, ma solo una famiglia su cinque è in grado di indicare il valore della retta che pagherebbe in caso di frequenza. E la maggior parte delle famiglie non sa dell’esistenza del bonus nido (il 52 per cento delle famiglie di bambini italiani e oltre il 90 per cento delle famiglie di bambini stranieri).

Benché abbiano una ridotta conoscenza diretta di cosa offre l’asilo nido, le famiglie non partono da un pregiudizio negativo. Il 69 per cento delle famiglie italiane e il 62 per cento di quelle straniere lo considera infatti un importante servizio educativo, mentre sono poche quelle che riferiscono di conoscenti che non si sono trovati bene all’asilo nido (solo un terzo delle famiglie italiane e un quarto delle straniere).

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C’è però un aspetto su cui le famiglie intervistate hanno posto l’accento: sono tante quelle che ritengono che al nido d’infanzia i bambini si ammalino troppo spesso. E una percentuale non alta, ma comunque degna di attenzione, riporta che a sconsigliare la frequenza al nido è stato il pediatra del bambino: lo indica il 30 per cento degli italiani e il 22 per cento degli stranieri.

Da chi sono stati accuditi i bambini che non hanno frequentato l’asilo nido?

Dato lo stretto legame tra occupazione della mamma e frequenza al nido, non stupisce che due terzi dei bambini che non lo hanno frequentato siano stati accuditi dalla propria madre; un quinto da entrambi i genitori. Solo del 12 per cento dei bambini si sono occupati i nonni. Il 77 per cento dei genitori che hanno curato in misura esclusiva il bambino lo ha potuto fare perché non lavorava, mentre appena il 7 per cento ha dovuto ridurre il proprio orario di lavoro e solo il 2 per cento ha dovuto rinunciarvi del tutto.

Anche nell’analisi qualitativa si conferma la stretta relazione tra (non) occupazione della mamma e (non) frequenza dell’asilo nido già evidenziata sulla base dei dati relativi alle iscrizioni.

A rafforzare la relazione contribuisce un’altra considerazione: un numero significativo di famiglie ritiene infatti che la cura in famiglia e la frequenza dell’asilo nido siano scelte alternative e sullo stesso piano, convinzione radicata soprattutto tra le famiglie straniere. Il 47 per cento delle famiglie italiane e il 64 per cento delle famiglie straniere afferma infatti che il nido non è utile se uno dei genitori è disponibile ad occuparsi del bambino.

L’analisi suggerisce che la mancata frequenza del nido è associata a un insieme di fattori culturali, di conoscenza ed economici. Per avvicinare le famiglie al nido d’infanzia come servizio capace di assolvere a diverse funzioni – educative, di conciliazione, di opportunità di crescita e sviluppo del bambino/a – è cruciale facilitare l’accesso alle informazioni sui servizi disponibili, sui costi reali, sulla metodologia educativa e sulle opportunità di conciliazione, ma anche l’accesso all’esperienza di cosa vuol dire fruire di questo servizio e al suo ruolo positivo nello sviluppo generale del bambino. È ormai ampiamente riconosciuto che dare ai neo-genitori, soprattutto a quelli provenienti da contesti socio-economici svantaggiati, informazioni, indicazioni e percorsi formativi specifici sulla cura dei bambini nei primi anni di vita è fondamentale per promuovere il loro benessere e prevenire la povertà educativa.

Parallelamente, il rafforzamento dei servizi di mediazione culturale e linguistica potrebbe ridurre parte degli ostacoli che le famiglie, soprattutto quelle straniere, incontrano. A un livello più generale, politiche di sostegno all’occupazione femminile e una maggiore diffusione delle agevolazioni economiche potrebbero favorire una più ampia partecipazione ai servizi per l’infanzia, avvicinando l’Italia agli standard europei.

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  1. Savino

    “Nido” significa tutto e non significa niente. E’ percorso pedagogico o un gruppo di baby sitter? Uno Stato serio, da un lato, anticiperebbe l’età di accesso alla scuola materna e, dall’altro, incentiverebbe le attività di puericura e ludiche (con primi inevitabili approcci pedagogici), pubbliche e private.

  2. Iuliana

    Io lavoro, il nido è stato talmente un grattacapo che ho iniziato a cercare un posto prima ancora che il bambino nascesse!
    E si parla molto di servizi ma tanti nidi comunali soesso non garantiscono il posticipo!!!!!!!!! Ti dicono che si attiva in base alle richieste – e se un anno non si attiva io con il lavoro cosa faccio? A quel punto pagare jna babysitter mi costa più che rivolgermi a un nido privato che il posticipo lo garantisca.
    Per via di questo, sono dovuta ripiegare a asili del comune vicino per il grande e su un nido privato per il piccolo – ovviamente mi tocca pagare la retta piena senza nessun sconto su base isee.
    Il nido comunale fascia massima perché non residente mi viene 880€/mese!!!
    Ma se la gente lavora 8h e ha bisogno di tempo per spostarsi, perché i nidi, gli asili e i grest fanno orario 8-16?????? Come fa questo a essere compatibile con un orario lavorativo tra i più comuni in Italia 8-17?

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