I numeri ci aiutano a capire meglio le questioni irrisolte del lavoro domestico. Tra i problemi principali, spiccano il sommerso e le retribuzioni basse. Solo con le regolarizzazioni degli stranieri si interrompe la perdita di lavoratori nel settore.

I numeri del lavoro domestico in Italia

All’inizio degli anni Duemila i lavoratori domestici regolari nelle liste dell’Inps non raggiungevano le 300mila unità e la quota di stranieri era di poco superiore al 50 per cento. Da allora, grazie soprattutto all’impulso fornito da alcuni provvedimenti di regolarizzazione (legge 189 del 2002, legge 102 del 2009, decreto legislativo 109 del 2012), si è avuta una crescita progressiva che ha portato a superare la storica quota di un milione di lavoratori nel 2012. Poi è iniziato un trend negativo che, al netto degli effetti temporanei registrati nel periodo 2020-2021 con l’ultima sanatoria (legge 77 del 2020), prosegue ancora oggi ed è andato di pari passo con un aumento della quota di italiani.

Il lavoro domestico degli ultimi anni, infatti, risente in maniera evidente dell’impatto del provvedimento di regolarizzazione varato nel 2020: entro la scadenza prefissata del 15 agosto 2020, erano state presentate 177mila domande di emersione relative al lavoro domestico (122mila collaboratori familiari generici e 55mila assistenti a non autosufficienti). L’emersione è stata la causa primaria della crescita significativa registrata nel 2020 (+90mila lavoratori rispetto al 2019), che ha avuto una coda anche nel 2021 (+23mila lavoratori rispetto al 2020). Alla crescita ha concorso anche una causa secondaria, la pandemia da Covid-19, perché la regolarizzazione – non solo di stranieri – è stata implicitamente incentivata dalla necessità di giustificare gli spostamenti durante il lockdown.

Seguendo le analisi del XXIII Rapporto annuale dell’Inps, sia nel 2022 (-71mila rispetto al 2021) sia nel 2023 (-68mila rispetto al 2022), si registrano nuovamente segnali di contrazione. La quota di italiani, che era sotto il 20 per cento quindici anni fa, oggi è sopra il 30 per cento. Per gli stranieri, si verificano picchi in occasione delle sanatorie, il che mostra che il lavoro domestico è per alcuni solo la porta di ingresso (prevalentemente maschile) verso altri lavori.

Figura 1 – Lavoro domestico. Numero totale di lavoratori e incidenza % degli stranieri. Dati annuali dal 2000 al 2023.

Chi sono i lavoratori domestici

Il mondo del lavoro domestico è variegato. Vi rientrano coloro che prestano un’attività lavorativa continuativa per le necessità della vita familiare del datore di lavoro – come ad esempio assistenti familiari, baby-sitter, collaboratori domestici, governanti, camerieri, cuochi – così come i lavoratori che prestano l’attività presso comunità religiose (conventi, seminari), presso caserme e comandi militari, nonché presso le comunità senza fini di lucro, come orfanotrofi e ricoveri per anziani, il cui fine è prevalentemente assistenziale. Le statistiche si basano sulle principali variabili anagrafiche e sulle classificazioni adottate.

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Tabella 1 – Lavoro domestico. Principali indicatori. Dati annuali dal 2019 al 2023 (valori in migliaia).

Le donne rappresentano quasi il 90 per cento, incidenza che però diminuisce in corrispondenza delle sanatorie. Molto modesta la quota di giovani sotto i 30 anni, pari al 3 per cento tra le donne e all’1 per cento tra gli uomini. Attorno all’80 per cento l’incidenza di lavoratori con un unico datore di lavoro, mentre il restante 20 per cento svolge la propria attività presso due o più committenti o famiglie. A prescindere dal numero di datori di lavoro, circa l’83 per cento svolge esclusivamente lavoro domestico, mentre per il 17 per cento quest’attività concorre, in via principale o secondaria, al reddito annuo complessivo, insieme ad altre e differenti prestazioni lavorative.

Un’altra tendenza di lungo periodo è rappresentata dalla continua diminuzione della quota di collaboratori e collaboratrici familiari (colf): dieci anni fa rappresentavano il 60 per cento del lavoro domestico e oggi sono attorno al 50 per cento. Il calo della tipologia “colf” può riflettere sia un minore ricorso da parte delle famiglie italiane, sia una ricomposizione interna alla quota di lavoro domestico irregolare, molto ampia per collaboratori e collaboratrici familiari. Nei conti nazionali Istat, il tasso di irregolarità degli occupati per il 2022 è pari al 9,7 per cento per il totale delle attività economiche, ma raggiunge il 47,1 per cento per le attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico, produzione di beni e servizi indifferenziati per uso proprio da parte di famiglie e convivenze.

In un recente rapporto dell’Associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico, si stima che la componente irregolare per il 2022 sia di 961mila unità, superiore quindi a quella della componente regolare. A prescindere da queste e altre stime che si possono prendere a riferimento, il lavoro domestico è caratterizzato da una rilevante presenza di sommerso, al di fuori del perimetro dei dati amministrativi dell’Inps, nel cui ambito potrebbero verificarsi andamenti differenti.

La componente straniera

La componente straniera è complessivamente di poco inferiore al 70 per cento. Il primo paese di provenienza è la Romania, con quasi 123mila lavoratori domestici nel 2023 (-25 per cento rispetto al 2019), seguita dall’Ucraina con poco meno di 90mila (+2 per cento rispetto al 2019), quindi Filippine (63mila, -7 per cento), Moldavia (33mila, -13 per cento) e Perù (36mila, +28 per cento). L’incidenza delle donne sul dato complessivo è di poco inferiore al 90 per cento, mentre è pari al 50 per cento per l’India e inferiore al 20 per cento per paesi come Egitto, Pakistan, Bangladesh.

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L’incrocio tra anno di riferimento, paese di origine e incidenza della componente femminile permette di rappresentare in un unico grafico molte delle considerazioni fatte fin qui, inclusi gli effetti della regolarizzazione del 2020.

Figura 2 – Lavoro domestico. Incidenza % delle donne sul totale dei lavoratori, per alcuni Paesi di origine. Dati annuali dal 2019 al 2023

Le retribuzioni

La retribuzione media settimanale da lavoro domestico è pari a 185 euro nel 2023 (colf 151 euro, badanti 224 euro). Nell’ambito delle classificazioni adottate, la retribuzione media settimanale minima, 104 euro, si ha tra i lavoratori domestici con orario settimanale fino a 24 ore e con un numero di settimane retribuite nell’anno tra 25 e 49, mentre il valore massimo, pari a 334 euro, si ha tra chi ha un orario settimanale superiore alle 45 ore e meno di 25 settimane retribuite nell’anno. Per il 17 per cento dei soggetti per i quali l’attività concorre insieme ad altre, in via principale o secondaria, al reddito annuo complessivo, queste ultime permettono di arrivare a una retribuzione media settimanale complessiva di 258 euro. I dati evidenziano una criticità dei livelli salariali dei lavoratori domestici: a livello di retribuzione annua, solo il 17 per cento percepisce da 13mila euro in su, mentre ben il 44 per cento resta al di sotto di 6mila euro annui.

Il lavoro domestico è da molti considerato un pilastro del welfare. L’evidenza numerica sottolinea però che ci sono diverse questioni ancora non pienamente risolte: un trend negativo di lungo periodo interrotto solo dagli effetti dei provvedimenti normativi di regolarizzazione; una quota di sommerso che è sostanzialmente pari alla quota di lavoro regolare e livelli di retribuzione, determinati anche dalla continuità e intensità lavorativa, largamente insufficienti.

* Le opinioni qui espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente agli autori e non impegnano in alcun modo la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.

Questo articolo viene pubblicato in contemporanea su Menabò di Etica ed Economia.

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