Le riforme per rendere il sistema pensionistico italiano più equo e sostenibile ci sono state. Ma nello stesso tempo sono stati introdotti strumenti per anticipare la pensione, riservati ad alcune categorie. Come garantire una “giusta” flessibilità in uscita.
I canali di pensionamento anticipato
A partire dalla metà degli anni Novanta il sistema pensionistico italiano è stato sottoposto a una serie di riforme con l’obiettivo di aumentarne la sostenibilità finanziaria e l’equità attuariale attraverso un aumento dei requisiti d’accesso alla pensione e un adeguamento della rendita alla contribuzione versata.
Agli istituti della pensione di vecchiaia e anticipata ordinaria (tabella 1) si sono però aggiunti negli ultimi anni una serie di canali di uscita dal mercato del lavoro che consentono il pensionamento sulla base di requisiti anagrafici e contributivi meno stringenti di quelli standard. Vi rientrano la pensione anticipata per lavoratori precoci, che consente l’uscita con 41 anni di contributi a determinate categorie di lavoratori con contribuzione prima dei 19 anni e anteriore al 31/12/1995; Opzione donna, che consente il pensionamento con 35 anni di contribuzione e un’età tra i 58 e i 60 anni, a seconda della situazione, con un ricalcolo contributivo della pensione; e le “Quote” con requisiti anagrafici e contributivi più vantaggiosi di quelli ordinari, ma che sono diventati via via più stringenti.
La diffusione che questi istituti hanno avuto negli ultimi dieci anni emerge chiaramente dalla figura 1, che riporta i trattamenti liquidati ogni anno per tipologia. Il totale delle prestazioni liquidate, tra il 2019 e il 2022, è quasi raddoppiato rispetto al periodo immediatamente successivo al 2012, anno della riforma Monti-Fornero. Alla crescita hanno contribuito in modo significativo le anticipate, soprattutto fino al 2021, con Quota 100 e Opzione donna. Successivamente, si è registrata una flessione del ricorso agli anticipi legata all’inasprimento dei requisiti di Opzione donna e di Quota 102 e 103 rispetto a Quota 100.
I trattamenti liquidati in regime contributivo puro sono relativamente pochi e non hanno registrato variazioni significative nel decennio.
Chi sono gli “anticipatari”?
Dal punto di vista del genere, se si esclude l’Opzione donna, i principali beneficiari degli strumenti di anticipo sono gli uomini. Le carriere lavorative delle donne tendono a essere più frammentate e ciò rende più difficile il raggiungimento dei requisiti contributivi dei canali d’uscita anticipata che sono relativamente più elevati di quelli per la pensione di vecchiaia. D’altro canto, le lavoratrici hanno potuto ricorrere all’Opzione donna, che, al costo di un calcolo contributivo della rendita, ha consentito loro una maggiore flessibilità, anche perché spesso si trovano a dover conciliare il lavoro con il caregiving familiare. Tuttavia, il ricorso a Opzione donna si è ridotto a partire dal 2023 a causa della limitazione dell’accesso alle sole lavoratrici in condizioni di svantaggio e dell’inasprimento del requisito anagrafico, salito a 60 anni (con anticipo di un anno per ogni figlio, entro un massimo di due).
Sul fronte dell’età, nel 2023, l’età media dei pensionati “anticipati” è stata di circa 62 anni, rispetto ai 67 anni richiesti per la pensione di vecchiaia. Il dato riflette l’utilizzo degli strumenti di anticipo da parte di lavoratori che, pur avendo maturato una lunga carriera contributiva, hanno desiderato uscire dal mercato del lavoro prima del limite di vecchiaia. Per effetto delle uscite anticipate, l’età media effettiva di pensionamento si è mantenuta costantemente inferiore rispetto a quella prevista per i pensionamenti ordinari di vecchiaia. Come è evidente dalla figura 2, a partire dal 2012, l’età media effettiva di pensionamento è comunque aumentata da 62,1 a 64,6 anni. Per le anticipate, è cresciuta da 59,5 a 61,5 anni, trainata tra l’altro dal requisito anagrafico di Quota 100 e 103 (62 anni) e Quota 102 (64 anni). Per le pensioni di vecchiaia l’incremento dell’età è stato particolarmente significativo, da 64,1 a 67,5 anni, e ciò è dovuto agli adeguamenti dei requisiti all’aumento della speranza di vita, come previsto dalla normativa.
Distinguendo per tipologia di calcolo della pensione, tra il 2012 e il 2023, l’età media al pensionamento dei pensionati di vecchiaia in regime retributivo e misto è aumentata di oltre 3,5 anni, ma rimane di un anno e mezzo inferiore a quella dei pensionati di vecchiaia in regime contributivo (67,2 anni per le retributive e miste rispetto a 68,7 anni per le contributive), per i quali è più immediato il nesso tra l’importo del trattamento pensionistico e l’anzianità contributiva. Dalla figura, emerge anche in modo netto come per le anticipate retributive e miste l’innalzamento dell’età media di pensionamento raggiunga un picco (63 anni) nel 2019, probabilmente determinato dalla politica Quota 100, per poi subire una significativa battuta d’arresto.
Qual è l’importo delle pensioni anticipate?
In termini di importo, le pensioni anticipate sono generalmente più ricche delle pensioni di vecchiaia, anche se il dato va contestualizzato. Infatti, i lavoratori che accedono all’anticipata tendono ad avere carriere lavorative più lunghe e continuative, e quindi una maggiore anzianità contributiva, il che si traduce in pensioni di importo maggiore.
Per quanto riguarda, poi, la tipologia di calcolo del trattamento, l’importo medio delle anticipate liquidate in regime retributivo e misto è significativamente più alto rispetto a quello dei trattamenti liquidati oggi in regime contributivo puro. È dovuto al fatto che il calcolo retributivo premia le carriere di successo, ovvero i lavoratori che hanno avuto stipendi elevati soprattutto negli ultimi anni di attività. Tuttavia, la differenza tra gli importi medi delle pensioni retributive e miste e delle contributive si è progressivamente ridotto, per l’aumento del peso della componente contributiva delle pensioni in regime misto.
In base all’ultimo Rapporto annuale dell’Inps, l’importo medio dei trattamenti previdenziali (anticipate, vecchiaia, invalidità e superstite) liquidati nel 2023 è stato di circa 1.300 euro lordi al mese. L’importo medio delle anticipate liquidate in regime misto è stato intorno ai 2mila euro, mentre le pensioni calcolate interamente con il sistema contributivo si fermavano intorno ai 1.500 euro (contro assegni di vecchiaia intorno ai 1.100 euro).
In conclusione, negli ultimi trent’anni si è registrato un significativo inasprimento dei requisiti d’accesso alla pensione e un progressivo ricorso a metodi di calcolo dei trattamenti meno generosi con l’obiettivo di assicurare la sostenibilità del sistema di fronte a una popolazione sempre più anziana. Contemporaneamente, però, il legislatore ha introdotto, negli ultimi dieci anni, una serie di strumenti di flessibilità in uscita per rispondere alle esigenze di un mercato del lavoro in rapida evoluzione e alla crescente richiesta di flessibilità da parte dei lavoratori. Questi strumenti hanno in parte limitato l’efficacia delle riforme il cui obiettivo è quello di attenuare l’incidenza della spesa pensionistica rispetto al Pil, contrastando l’effetto della ormai nota “gobba”.
Il percorso intrapreso negli ultimi anni ci porta verso l’accettazione del principio per cui l’accesso a canali di pensionamento anticipato è condivisibile solo se il metodo di calcolo della pensione tiene conto dell’equilibrio attuariale individuale rispetto ai contributi versati e legato all’aspettativa di vita al momento del pensionamento.
La crescente incidenza della componente contributiva delle pensioni solleva la questione della diversità di trattamento tra i contributivi puri e i misti. Nel primo caso esiste infatti un grado di flessibilità per cui nel regime contributivo puro è previsto un canale strutturale di pensionamento anticipato all’età di 64 anni con 20 anni di anzianità contributiva (con una pensione che deve essere comunque superiore a un importo soglia). Viene spontaneo chiedersi se non potrebbe essere assicurata una medesima possibilità di anticipo nel caso in cui il lavoratore accetti un sistema di calcolo interamente contributivo, rinunciando interamente alle prerogative del sistema retributivo (sull’argomento si veda anche questo contributo di Michele Raitano).
* Le opinioni qui espresse e le conclusioni sono attribuibili esclusivamente agli autori e non impegnano in alcun modo la responsabilità dell’Istituto di appartenenza. L’articolo viene pubblicato in contemporanea su Menabò di Etica ed Economia.
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