I centri antiviolenza sono cruciali per permettere alle donne di uscire da situazioni di violenza. Il loro numero è basso in tutta Italia e con profonde differenze territoriali. Mancano nelle aree dove le norme di genere tradizionali sono più persistenti.

La violenza di genere, un fenomeno mondiale

La violenza contro le donne è un fenomeno che affonda le sue radici nelle istituzioni economiche, culturali e sociali della nostra società e che non conosce confini geografici o temporali. Negli ultimi anni di fronte alla sua pervasività, la maggioranza degli stati hanno adottato provvedimenti e politiche per contrastarlo, a livello giuridico e socio-culturale. I dati infatti parlano chiaro: nei paesi dell’Ocse, quasi una donna su quattro riporta di aver vissuto o subito casi di violenza fisica o sessuale da un partner. La situazione in Italia non è diversa: combinando i dati Istat sulla popolazione femminile e sui delitti con quelli sull’incidenza per genere contenuti nei rapporti del ministero dell’Interno, nel 2023 registriamo 16 casi di violenza di genere denunciati dalle forze dell’ordine all’autorità giudiziaria ogni 10 mila donne.

L’azione dei centri antiviolenza

In una situazione così drammatica, una risposta fondamentale è rappresentata, nel nostro paese, dai centri antiviolenza (Cav), che svolgono attività di prevenzione e protezione. Da un lato, elaborano percorsi di educazione sessuale e affettiva volti a contrastare la violenza e gli stereotipi di genere. Dall’altro, rappresentano presidi di libertà che accolgono donne vittime di ogni forma di violenza: sono spazi sicuri dedicati all’accompagnamento nel percorso di fuoriuscita dalla violenza, dove le ospiti sono accolte con rispetto per le loro esperienze e differenze culturali e in un’ottica di autodeterminazione.

I dati sui Cav italiani arrivano con un ritardo di quasi due anni: il 25 novembre di ogni anno, in occasione della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, vengono pubblicati quelli dell’anno precedente. Per avere una fotografia più aggiornata, abbiamo perciò creato, con tecniche di web scraping, un dataset a partire dalle fonti del 1522 (il numero antiviolenza e stalking) e delle amministrazioni regionali, come quelle di Campania e Lazio. In questo modo, siamo in grado di analizzare la presenza dei Cav in Italia tra 2023 e 2024, fornendo una chiave di lettura del fenomeno a partire dalle sue radici, ossia gli stereotipi di genere.

Quanti sono i Cav e dove sono

In Italia oggi ci sono 404 centri antiviolenza: 220 in meno di quelli richiesti per raggiungere lo standard minimo di un centro ogni 50mila donne di almeno 14 anni fissato dalla Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia ormai undici anni fa. La loro distribuzione non è uniforme sul territorio: ci sono aree in cui è più facile accedere a un centro o ricevere attività di prevenzione da parte delle sue operatrici, mentre altre zone rimangono più scoperte.

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Tabella 1

La copertura dei comuni varia in modo significativo a seconda della macroregione e della distanza considerata. Se a livello nazionale poco più di un comune su cinque dispone di un Cav entro 5 chilometri, nell’area delle Isole solo il 15,6 per cento dei comuni (120) sono coperti e la densità media è di 1,2 Cav entro la stessa distanza. Il divario persiste anche entro i 10 chilometri: è la distanza entro cui è servito il 48 per cento dei comuni a livello nazionale, ma solo 273 di questi si trovano nelle Isole (il 35,6 per cento della macroregione). Al contrario, il Nord-Ovest e il Sud presentano una maggiore densità di centri entro le distanze più brevi. Nel Sud, invece, la concentrazione di Cav raggiunge livelli particolarmente alti per le distanze maggiori: fino a 11 Cav entro 40 chilometri.

Il raggio dei 15 chilometri

Nella nostra analisi ci concentriamo su quali comuni dispongono di almeno un Cav nel raggio di 15 chilometri. Questa distanza, in media, rappresenta un raggio d’azione sufficientemente ridotto per raggiungere il Cav con mezzi di trasporto pubblico o con mezzi propri e non richiede una lunga assenza da casa, bastano un paio d’ore. Allo stesso tempo, una distanza simile facilita la costruzione di rapporti tra le operatrici e le volontarie dei Cav e le figure di assistenza sul territorio – dagli assistenti sociali, alle amministrazioni locali fino alle forze dell’ordine. Si tratta di sinergie cruciali per accompagnare il percorso di autodeterminazione delle donne e di eventuali figli minori a carico. In più, queste relazioni favoriscono l’avvio di attività di formazione e sensibilizzazione nelle scuole o nelle aziende.

Figura 1

La mancanza di uniformità sul territorio nazionale riflette disparità regionali che rischiano di amplificare le barriere d’accesso per alcune fasce di popolazione femminile. Avviene principalmente nelle aree interne e nelle isole, dove le norme di genere tradizionali sono più persistenti.

Violenza contro le donne e norme di genere

Per poter comprendere e affrontare la radice della violenza contro le donne è fondamentale analizzare proprio le norme di genere. Seguendo le metodologie più recenti in economia di genere, come nella ricerca di Luisa Carrer e Lorenzo De Masi, abbiamo costruito un indice di norme di genere sociali ed economiche, ove le prime esprimono il ruolo della donna e dei rapporti uomo-donna nella società, mentre le seconde il grado di emancipazione economica e le disuguaglianze nei confronti delle controparti maschili. Gli indici sono composti da più variabili a livello provinciale o regionale tramite Principal Component Analysis. Tra le variabili economiche consideriamo la disoccupazione femminile o la percentuale di famiglie monoreddito maschili, mentre tra quelle culturali troviamo la percentuale di divorzi o la rielaborazione delle risposte all’indagine di Istat sugli stereotipi di genere. Un valore basso dell’indice suggerisce uno scarso rischio di adesione alle norme di genere tradizionali, mentre un valore alto indica una forte adesione agli stereotipi vigenti.

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Figura 2

Usiamo le norme di genere non solo per evidenziare alcune tipiche tendenze che caratterizzano il nostro paese, ma anche per rimarcare il loro legame con la violenza contro le donne. Osserviamo una chiara correlazione positiva tra il nostro indice di norme economiche e il numero di denunce presentate da donne per reati di violenza di genere: all’aumentare della disuguaglianza economica tra uomini e donne, si registrano più denunce, suggerendo una maggiore incidenza di tali reati. La relazione positiva tra disuguaglianza di genere e numero di denunce è probabilmente sottostimata, poiché maggiori disuguaglianze tendono a ridurre la propensione alla denuncia. Pertanto, l’impatto delle norme di genere potrebbe essere significativamente più forte rispetto a quanto emerge dai dati. In contesti con maggiore disuguaglianza economica, come Siracusa e Napoli, i tassi di violenza di genere denunciata sono più alti, nonostante una minore inclinazione alla denuncia rispetto a città più emancipate economicamente, come Bologna o Milano. Questo suggerisce che la struttura delle norme economiche e sociali locali gioca un ruolo cruciale nel plasmare sia le dinamiche della violenza di genere sia la sua emersione attraverso le denunce.

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