Ormai le donne lavorano più a lungo degli uomini. Ma continuano ad avere pensioni più basse, perché scontano retribuzioni inferiori, carriere più discontinue e percorsi professionali limitati. Il fenomeno è particolarmente evidente in alcune regioni.
Differenze tra uomini e donne anche nelle pensioni
Negli ultimi venti anni, il mercato del lavoro ha subito un processo di profonda trasformazione che ha avuto nell’incremento della partecipazione delle donne un elemento chiave. La parità è però ancora lontana dall’essere pienamente realizzata. Nel corso degli ultimi trent’anni, la percentuale di donne impiegate nel settore privato non agricolo è aumentata, ma permane una netta disparità salariale a loro sfavore, riconducibile, tra l’altro, alla loro sovra-rappresentazione in settori che pagano salari più bassi, a una scarsa presenza nelle posizioni di vertice, a un numero minore di giorni lavorati e a un maggior impiego part-time.
A salari più bassi e a un minor attaccamento al mercato del lavoro corrispondono minori contributi previdenziali e a ciò si accompagna un divario di genere nei redditi pensionistici, calcolato come rapporto tra la differenza di genere nei trattamenti medi e il trattamento medio percepito dagli uomini: per le pensioni liquidate nel 2023 è risultato pari al 27 per cento (Inps, XXIII Rapporto annuale, 2024). Se si guarda all’insieme dei trattamenti previdenziali (pensioni di vecchiaia, anticipate, invalidità e superstiti), il divario sale al 30 per cento.
La differenza negli importi è in parte riconducibile al fatto che agli uomini è andato oltre il 65 per cento delle pensioni anticipate i cui importi medi sono i più elevati, oltre i 2mila euro lordi mensili, in quanto generalmente riconducibili a carriere lavorative più lunghe. Le donne, invece, hanno una prevalenza nelle prestazioni di vecchiaia e soprattutto in quelle al superstite. Tuttavia, nel complesso, nell’ambito delle prestazioni previdenziali, se si escludono i trattamenti al superstite, anche a parità di tipologia di pensione, il reddito medio percepito dalle donne è sempre inferiore a quello degli uomini. Il divario per le anticipate è relativamente contenuto, intorno al 18 per cento, in quanto l’anzianità contributiva richiesta per tali prestazioni è elevata e generalmente si accompagna a percorsi professionali continuativi per entrambi i generi. Il divario supera il 30 per cento per le pensioni di vecchiaia che si caratterizzano per differenze significative anche nell’anzianità contributiva sottostante, oltre che nelle retribuzioni.
D’altro canto, non si registrano differenze di genere negli importi medi delle prestazioni assistenziali (invalidità civile, pensioni e assegni sociali) che sono sotto i 500 euro mensili e di cui quasi il 60 per cento dei beneficiari sono donne.
Non tutti i territori sono uguali
Alle significative differenze di genere si affiancano notevoli divari regionali, sia in termini di tipo di trattamenti liquidati (previdenziali rispetto ad assistenziali) che in termini di importi medi (grafico 1). Le prestazioni previdenziali sono di importo mediamente maggiore: 1.290 euro rispetto a 480 delle prestazioni assistenziali. Le regioni dove, nel 2023, hanno rappresentato la stragrande maggioranza di quelle liquidate sono la Valle d’Aosta e il Trentino Alto-Adige (oltre il 95 per cento), seguite dalle altre regioni del Settentrione (esclusa la Liguria) e dalla Toscana, dove la quota è superiore al 60 per cento delle liquidate. In termini di importi medi, i trattamenti più elevati sono stati corrisposti in Lombardia, Trentino e Lazio (oltre 1.400 euro lordi al mese), seguite da Piemonte, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Liguria e Emilia-Romagna (oltre 1.300 euro). Gli importi più bassi si registrano in Calabria (sotto i 1.100 euro) e nelle regioni del Mezzogiorno, dove i lavoratori hanno carriere lavorative relativamente discontinue, con retribuzioni e anzianità contributive relativamente bassi.
Grafico 1 – Distribuzione delle prestazioni previdenziali e assistenziali e importo lordo medio mensile delle prestazioni previdenziali* liquidate nel 2023, per regione (importi in euro)
Tra le prestazioni previdenziali, le regioni dove prevalgono le pensioni anticipate, generalmente di importo più elevato e associate a carriere lavorative lunghe, sono quelle del Nord (esclusa la Liguria), la Toscana e le Marche.
In Campania, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna oltre la metà delle prestazioni erogate sono trattamenti assistenziali, principalmente invalidità civili. Le pensioni e gli assegni sociali hanno peso minoritario, mai superiore al 7 per cento in tutte le regioni.
In termini di genere dei beneficiari, per gli uomini si registra in tutte le regioni una maggiore incidenza delle prestazioni previdenziali rispetto a quelle assistenziali, mentre in tutte le regioni le donne beneficiano in misura maggiore di pensioni e assegni sociali e trattamenti di invalidità civile.
Il grafico 2 mostra il divario di genere per regione negli importi liquidati nel 2023. I divari più alti si riscontrano nelle regioni dove le prestazioni sono, in media, più elevate, in linea con quanto si osserva a livello nazionale. In Veneto il divario è del 32 per cento, in Trentino, in Lombardia e Friuli è del 31 per cento. I valori più bassi si registrano in Calabria (18 per cento), Sardegna (20 per cento) e Campania (20 per cento), dove è maggiore la diffusione dei trattamenti assistenziali che hanno importi simili a prescindere dal genere.
Grafico 2 – Divario di genere* per regione nel 2023
Le donne lavorano più a lungo degli uomini
In conclusione, il mercato del lavoro e il sistema previdenziale italiani sono ancora lontani dal raggiungere la parità di genere. Politiche mirate a ridurre le disuguaglianze di genere nel mercato del lavoro possono contribuire a migliorare le condizioni previdenziali, specialmente nelle aree meno sviluppate. Non si tratta solo di diminuire i divari retributivi, ma anche di garantire maggiore continuità nei percorsi professionali, in quanto un sistema pensionistico basato sul metodo contributivo valorizza le carriere più lunghe e continuative. Le riforme pensionistiche introdotte dalla metà degli anni Novanta hanno inasprito i requisiti per accedere alla pensione, imponendo un aumento dell’anzianità contributiva a tutti i lavoratori e soprattutto alle donne. Secondo i dati del XXIII Rapporto annuale dell’Inps (2024), l’età media di uscita dal mercato del lavoro delle donne ha superato quella degli uomini, garantendo loro un vantaggio nel tasso di trasformazione del montante contributivo in rendita pensionistica, legato all’età di pensionamento. Ciò nonostante, questo beneficio non è sufficiente a compensare le conseguenze di carriere più discontinue e percorsi rofessionali limitati, oltre che di retribuzioni più basse.
* L’articolo esce in contemporanea su Menabò di Etica ed Economia
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