Il numero di disoccupati che in Italia utilizzano Internet per cercare lavoro è raddoppiato negli ultimi anni. L’abitudine si è diffusa in modo omogeneo tra diversi gruppi della popolazione. Ma i vantaggi non sono così forti come si potrebbe pensare.
Un rapido cambio di abitudini
L’arrivo di Internet ha innescato cambiamenti radicali in molte sfere della nostra vita quotidiana, anche in quella lavorativa e, in particolar modo, nella ricerca di un lavoro. Una persona in cerca di una nuova occupazione ha oggi la possibilità di accedere con pochi click (tramite un motore di ricerca o una piattaforma dedicata come Linkedin) a una quantità di informazioni di gran lunga superiore rispetto al passato.
I numeri relativi al fenomeno sono molto eloquenti: come si può vedere dalla figura 1, elaborata per questo articolo a partire dai microdati sulle forze lavoro dell’Istat, dal 2008 al 2018 la percentuale di disoccupati che in Italia dichiara di aver cercato lavoro su Internet è raddoppiata, passando da poco più del 30 per cento a oltre il 60 per cento. La crescita ha portato l’Italia sostanzialmente in linea con la media europea, ma è interessante notare come l’espansione abbia subito una frenata: negli ultimi sei anni la percentuale ha smesso di crescere ed è rimasta sostanzialmente stabile (al netto di un cambio nella metodologia di raccolta dati dell’Istat, dovuto a una diversa formulazione dei quesiti posti nell’indagine), segno di una saturazione nella penetrazione di questa nuova modalità di ricerca di lavoro.
Chi cerca lavoro su Internet
L’utilizzo di Internet è cresciuto in maniera abbastanza omogenea tra le varie fasce della popolazione, ma rimangono ancora differenze sostanziali tra diversi gruppi di lavoratori.
Come si può vedere dalla figura 2, il primo fattore a fare la differenza è il titolo di studio: tra i disoccupati che non possiedono alcun titolo di studio o al massimo la licenza elementare, meno del 20 per cento nel 2023 aveva compiuto azioni di ricerca on line, mentre la percentuale sale a oltre il 60 per cento tra coloro che hanno un titolo di studio universitario o superiore.
L’altro grande gradiente è quello dell’età: tra gli under-30 l’utilizzo di internet per la ricerca del lavoro coinvolge il 56 per cento degli individui, mentre solo il 33 per cento tra gli over-60.
Il terzo fattore più importante è il settore dal quale provengono i disoccupati: nel mondo della finanza e delle assicurazioni si arriva all’87 per cento, in quello dei servizi di informazione e di comunicazione al 74 per cento, mentre non si va oltre il 35 per cento nelle costruzioni e nell’agricoltura. Fattori meno rilevanti sono invece il genere (con le donne che superano di poco gli uomini nell’uso della rete), la cittadinanza (i cittadini italiani più di coloro con cittadinanza estera), la regione di residenza (con un pattern che vede il Nord fare maggiore accesso a Internet, ma in modo non eccessivamente netto).
Ma Internet fa la differenza?
Nonostante la grande espansione, non è ancora del tutto chiaro quanto la rivoluzione digitale abbia modificato la natura profonda della ricerca di un nuovo lavoro e, soprattutto, quanto l’abbia resa più efficace. In poche parole, è davvero più facile trovare lavoro con Internet?
Per aggiungere un tassello alla riflessione guardiamo a quei lavoratori che passano dall’essere disoccupati ad avere un lavoro a distanza di un trimestre, i lavoratori insomma la cui ricerca è andata a buon fine. In media, nel periodo 2013-2019, ogni trimestre il 14 per cento dei disoccupati ha trovato un lavoro. Tra di essi, coloro che dichiarano di aver utilizzato Internet mostrano una probabilità di trovare lavoro superiore in media di 2,4 punti percentuali, un aumento considerevole dato il contesto. L’effetto positivo diminuisce, ma rimane comunque importante (poco meno di 1 punto percentuale) anche quando si tengono in considerazione alcune caratteristiche del lavoratore (genere, età e titolo di studio) e il ricorso contestuale ad altre modalità di ricerca del lavoro (come aver avuto contatti con un centro pubblico per l’impiego, aver sostenuto colloquio o concorsi pubblici, essersi rivolti ad amici o conoscenti).
Cosa dice la ricerca scientifica
La ricerca scientifica in ambito economico ha compiuto proprio in questi ultimi anni importanti progressi nella comprensione dell’impatto di Internet sulla ricerca del lavoro. Fino a poco tempo fa, infatti, erano state raggiunte conclusioni spesso divergenti. Lo studio più recente e rilevante in materia è di un gruppo di ricercatori che hanno studiato a fondo le conseguenze che ha avuto sul mercato del lavoro l’espansione della connessione veloce a Internet in Norvegia. Le conclusioni dello studio sono positive: Internet ha migliorato il processo di reclutamento da parte delle aziende, riducendo del 9 per cento la durata per la quale le posizioni aperte rimangono vacanti e del 10 per cento la frequenza di tentativi di assunzione andati a vuoto. In più, le prospettive dei disoccupati nel mercato del lavoro sono migliorate: i tassi medi di reimpiego sono aumentati del 2 per cento e i guadagni dei lavoratori nel mercato del lavoro sono cresciuti del 6 per cento.
Molte domande rimangono ancora aperte in questo campo, come ad esempio quali siano gli effetti di Internet in altri contesti (non tutto il mondo è come la Norvegia), come questi effetti differiscano tra individui con background socio-economico diverso, quanto Internet faccia la differenza non solo per i disoccupati che cercano un nuovo lavoro, ma anche per gli occupati che vogliono passare da un lavoro all’altro. L’entusiasmo per uno strumento che negli ultimi venti anni si è diffuso in maniera repentina e capillare non deve farci dimenticare che, alla prova dei fatti, sappiamo ancora molto poco sulle sue conseguenze reali.
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