I dati della violenza sulle donne sono sconfortanti e disegnano la stessa situazione di dieci anni fa. Qualche segnale positivo c’è stato. Ma ora il fenomeno ha assunto anche forme virtuali, non meno dolorose e forse ancora non adeguatamente comprese.
I numeri della violenza sulle donne
Una donna su tre in Europa ha avuto esperienza di violenza fisica o sessuale nel corso della propria vita; una donna su otto è stata vittima di violenza sessuale, incluso lo stupro, da parte di qualcuno diverso dal proprio partner; una donna su tre è stata vittima di molestia sessuale al lavoro, che diventano due su cinque se si tratta di giovani donne. Sono solo alcuni dati che emergono dal recente rapporto Eige – Fra e fotografano una quadro desolante, soprattutto un quadro immutato rispetto a dieci anni fa.
I dati da indagine del 2014, per l’Italia, disegnavano infatti una situazione molto simile. Il 31, 5 per cento delle donne intervistate (pari a 6 milioni 788 mila) hanno subito violenza fisica o sessuale, il 20,2 per cento (pari a 4 milioni 353 mila donne) hanno subito violenza fisica, il 21 per cento (pari a 4 milioni 520 mila donne) hanno subito violenza sessuale, e, con una percentuale che ripete i risultati dell’indagine del 2004, ben il 5,4 per cento (pari a 1 milione 157 mila donne) hanno subito stupri o tentati stupri.
I numeri saranno aggiornati con la nuova indagine sulla sicurezza delle donne del 2025 (tuttora in corso), che vede l’Istat impegnato a intervistare un campione rappresentativo di 25mila donne, di cui 5mila straniere.
Più consapevolezza tra le vittime
Le misure di prevenzione, protezione e contrasto alla violenza maschile sulle donne contenute nei Piani nazionali messi a punto dal Dipartimento Pari opportunità della presidenza del Consiglio dei ministri, come l’ampliamento dei finanziamenti dedicati alle attività di prevenzione, la crescita della presenza a livello territoriale dei centri antiviolenza accreditati, l’inasprimento delle pene per gli autori hanno certamente prodotto effetti positivi, agendo non solo sul rafforzamento del sistema di protezione delle vittime, ma anche sulla lotta ai fondamenti culturali e sociali della violenza che si alimentano di stereotipi di genere e di visioni patriarcali della società.
Il primo va certamente rintracciato nella crescita del numero delle donne che si rivolge ai servizi di supporto e di protezione. È proprio del 7 marzo 2025 l’aggiornamento dell’Istat sulle chiamate al 1522, il servizio di pubblica utilità messo a disposizione dal Dipartimento Pari opportunità per le vittime di violenza e di stalking. Ne emerge un aumento del 25,8 per cento del numero di segnalazioni chat e via telefono pervenute all’helpline nel corso del 2024 rispetto all’anno precedente. Ciò evidenzia come il servizio (sia per effetto mediatico delle campagne promozionali sia per i ben conosciuti eventi di cronaca) abbia ampliato il proprio bacino di utenza, rispondendo alle richieste di supporto e informazione sul tema della violenza e dello stalking.
Se si mette in relazione questa tendenza con la crescita del numero delle donne che si rivolgono ai centri antiviolenza si può affermare che la consapevolezza di essere vittime di violenza è certamente cresciuta. Le donne che si sono rivolte ai Cav nel 2023 sono state infatti 61.514 (+1,4 per cento rispetto al 2022 e +41,5 per cento rispetto al 2017). In media una donna ogni due giorni per ogni Cav, che oggi sono 404 a livello nazionale.
La crescita si spiega anche con un aumento dei servizi sul territorio. Sempre i dati Istat ci dicono che nel 2023 i centri antiviolenza sono cresciuti del 4,9 per cento rispetto al 2022 e del 43,8 per cento rispetto al 2017, soprattutto nel Centro Italia (+102,4 per cento).
Quando i figli assistono alle violenze
Nella maggior parte dei casi si tratta di violenza all’interno delle mure domestiche. Violenze domestiche sono riportate dall’80 per cento delle vittime che si rivolgono ai Cav. I casi segnalati al numero 1522 sono il 68 per cento (dato invariato nel tempo).
Quando la casa è lo scenario della violenza cresce anche la probabilità che i minori vi assistano. Oltre la metà delle vittime che chiamano il 1522 (55,1 per cento) ha figli, e di queste, il 57 per cento dichiara di avere figli minori. Inoltre, il 27,2 per cento delle vittime riporta che i propri figli hanno assistito e subito la violenza, mentre nel 35,2 per cento dei casi i figli hanno assistito alla violenza. Un dato che si conferma anche da fonte Indagine Cav: il 77,6 per cento delle vittime che vi si rivolgono hanno figli e dichiara che sono testimoni della violenza subita (nel 23 per cento dei casi sono coinvolti essi stessi come vittime). La trasmissione generazionale della violenza è un fatto ben noto alla letteratura come fattore di rischio altissimo al reiterarsi del fenomeno.
Dall’ultima indagine Istat disponibile (2014) emerge, a questo proposito, che i tassi di vittimizzazione si quintuplicano se le donne hanno assistito o subito violenza da bambine. Allo stesso modo, la violenza domestica aumenta se i partner hanno assistito alla violenza tra i genitori (dal 5,2 al 22 per cento) o se hanno subito violenza fisica da bambini, soprattutto dalla madre (dal 5,2 al 35,9 per cento).
Nuovi strumenti di contrasto alla violenza
Dunque, se da un lato si registrano segnali positivi sulla capacità delle donne di chiedere aiuto ed eventualmente di denunciare l’autore, dall’altro, nei casi di violenza domestica, rimane cruciale il tema della dipendenza economica. Il 4 marzo 2025 è stata messa a punto la procedura di accesso al reddito di libertà. Con un assegno di 500 euro mensili, si vuole sostenere l’emancipazione economica delle donne che si trovano in situazioni di violenza e che intendono uscirne. L’entità, ma soprattutto la copertura della misura è ben al di sotto delle necessità. Considerando infatti che l’ammontare annuo destinato al finanziamento del reddito di libertà è di 10 milioni di euro, la copertura è pari al 36 per cento circa delle aventi diritto.
Vanno comunque evidenziati i passi avanti fatti sul fronte della capacità istituzionale di affrontare in maniera più efficace i casi di violenza. C’è ora un robusto sistema legislativo (primo fra tutti la legge n. 69/2019, cosiddetto “Codice rosso”) che ha progressivamente inasprito le pene per gli autori e dotato il sistema giudiziario di strumenti di contrasto sempre più efficaci. Il 7 marzo 2025 il Consiglio dei ministri ha poi approvato lo schema di disegno di legge per l’“Introduzione del delitto di femminicidio e altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime”. Passi avanti sono stati fatti anche nelle iniziative di supporto agli operatori che rappresentano il “front-office” (forze dell’ordine, ospedali, servizi sociali) a cui le vittime si rivolgono nei casi di maltrattamento, violenza fisica e sessuale. Nel Libro bianco per la formazione sulla violenza contro le donne, messo a punto dal Dipartimento per le Pari opportunità, si forniscono elementi chiave per l’identificazione, il riconoscimento e la individuazione dei fattori di rischio al momento del primo contatto con le potenziali vittime di violenza.
I rischi del web
La strada da percorrere è comunque ancora lunga, in salita e piena di ostacoli. Primo fra tutti la crescita del rischio di violenza online, che appare ancora più nascosta anche per le potenziali vittime. Una recente indagine, sempre dell’Istat, evidenziava che il 6,4 per cento delle donne dai 14 ai 70 anni e il 2,7 per cento gli uomini della stessa età ha subito nella vita una forma di molestia e poco più della metà di queste molestie avviene tramite l’uso della tecnologia. Si tratta di una percentuale che non spiega l’esplosione della violenza facilitata dalla tecnologia (Technology Facilitate Gender Based Violence) se non con un basso livello di percezione di questa forma di violenza dovuta a una sorta di “assuefazione al linguaggio di odio” che pervade la nostra società.
Questi dati, infatti, sono molto più bassi di quelli stimati dalle Nazioni Unite: sulla base della ricognizione effettuata da UN Women-WHO Joint Programme on Violence Against Women Data, il fenomeno riguarderebbe dal 16 al 58 per cento delle donne a livello mondiale.
Parallelamente ai cambiamenti dei comportamenti sociali, che sempre di più si allargano dal reale al virtuale, anche il fenomeno della violenza sulle donne si amplia e si estende a forme nuove e forse non ancora adeguatamente comprese.
Tali nuove forme di violenza sulle donne strettamente connesse a quelle tradizionali richiedono dunque il ricorso a fonti diverse di dati, inclusi i big data. Ciò è fondamentale non solo per conoscere l’entità e l’incidenza delle vecchie e delle nuove forme di violenza di genere, ma anche per far emergere quella parte ancora troppo nascosta dell’iceberg che vive silente nelle nostre comunità.
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