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Combattere la violenza contro le donne è un impegno culturale

Nonostante i tanti passi avanti nel contrasto alla violenza sulle donne, dai dati emerge il ritratto di una società italiana ancora permeata di pregiudizi di genere. Per determinare un vero cambiamento culturale bisogna puntare sull’educazione.

Un impegno di tutti i giorni

Siamo di fronte a un 25 novembre – Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne – caratterizzato da un ennesimo femminicidio, che attira l’attenzione dei media per la giovane età della vittima e dell’autore, per la banalità della relazione tossica, per la capacità mediatica dei parenti della ragazza uccisa. Ma il contrasto alla violenza sulle donne dovrebbe essere un impegno da rispettare quotidianamente, da condurre con determinazione e soprattutto da osservare con rigore. La legge n. 53 di maggio 2022 ha ulteriormente rafforzato l’importanza della conoscenza statistica dei dati. Ha chiesto alle istituzioni di farsi carico della conoscenza, proprio per permettere di affrontare nel giusto modo la prevenzione della violenza di genere, la protezione delle donne che ne sono vittime, monitorare l’accesso ai servizi sanitari e il percorso giudiziario da queste compiuto. Una legge che richiede dati utili per le politiche: ovvero dati periodicamente aggiornati e di qualità. Ma purtroppo di questa legge, che ci invidiano a livello internazionale, ancora non abbiamo i decreti attuativi.

I dati italiani

Di passi avanti, questo paese, ne ha fatti moltissimi (basta pensare che il delitto di onore è stato abolito solo nel 1981), ma molto resta ancora da fare soprattutto sul piano culturale.

La prevenzione della violenza di genere è sicuramente l’unica strada percorribile per ridurre la portata del fenomeno che Istat rileva come pervasivo nella vita delle donne (una donna su tre ha subito, nel corso della sua vita, una forma di violenza), confermando un dato che si registra anche a livello internazionale.

La violenza cresce su radici culturali e sociali precise che sono basate sulla pervasiva e inconscia persistenza di stereotipi di genere che vanno prima di tutto riconosciuti per poi essere eradicati. Lo stereotipo di genere è radicato nel nostro senso comune, nel nostro linguaggio e nelle nuove forme di comunicazione. Lo è talmente tanto che rischia di essere riprodotto inconsapevolmente. Basti osservare tutto il dibattito che oggi è generato dalla riproduzione del gender bias nell’Intelligenza artificiale.

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Istat ha rilasciato, sebbene in forma provvisoria, i dati dell’ultima rilevazione sugli stereotipi di genere (2023), da cui emerge il ritratto di una società ancora fortemente permeata di pregiudizi e con livello di accettabilità sociale della violenza sulle donne diffuso paradossalmente proprio tra i giovani.

Dal grafico 1 si osserva infatti come siano soprattutto i giovani in età compresa tra 18 e 29 anni che molto più delle altre generazioni ritengono “accettabile sempre o in alcune circostanze” controllare abitualmente il cellulare o le attività sui social della propria moglie/compagna.

Nel preambolo della Convenzione di Istanbul appare evidente come la violenza contro le donne sia dovuta a una situazione culturale, che viene così descritta: “(…) la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione”. Notevole importanza è inoltre data alla considerazione degli stereotipi di genere, al punto che all’articolo 12 si richiede che “Le parti adottino le misure necessarie per promuovere i cambiamenti nei comportamenti socioculturali delle donne e degli uomini, al fine di eliminare pregiudizi, costumi, tradizioni e qualsiasi altra pratica basata sull’idea dell’inferiorità della donna o su modelli stereotipati dei ruoli delle donne e degli uomini”.

I dati raccolti fanno emergere i segni di miglioramento rispetto agli stereotipi sui ruoli sociali delle donne e degli uomini: il 21,4 per cento (uomini e donne) pensa che “gli uomini sono meno adatti ad occuparsi delle faccende domestiche”, che il 20,9 per cento ritiene che “una donna per essere completa deve avere dei figli” oppure che il 20,4 per cento considera che “per l’uomo, più che per la donna, è molto importante avere successo nel lavoro”. Ma le opinioni espresse in merito all’immagine sociale della violenza confermano un quadro molto preoccupante. Sebbene si tratti ancora di stime, occorre osservare la persistenza (anche tra le donne, sebbene con minore incidenza) dell’opinione sulla “corresponsabilità” delle vittime di violenza: infatti gli uomini (39,3 per cento) molto più che le donne (29,7 per cento) ritengono che una donna sia in grado di sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo vuole; l’uomo più che la donna (19,7 per cento contro il 14,6 per cento) pensa che le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire.

Lavorare sull’educazione

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Questi dati lasciano intravedere la necessità di lavorare molto sull’educazione. Il ministero dell’Istruzione e del merito ha messo a punto una serie di iniziative e attività specifiche, come le Linee guida per la parità di genere del 6 ottobre 2022 (sottoscritte da ministero della Pubblica amministrazione, Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri e ministero delle Pari opportunità, Dipartimento per le pari opportunità della Presidenza del Consiglio), la campagna di comunicazione #rispetta le differenze: una campagna di sensibilizzazione che afferma con forza la parità tra tutte le studentesse e gli studenti nel rispetto delle loro differenze. Ma per far sì che tali iniziative si concretizzino servono risorse e serve impegno da parte del personale docente e non docente: non sempre un quadro di policy favorevole ne garantisce la piena attuazione.

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Il Punto

  1. Savino

    La società altolocata è ignorante e legata solo alla competizione esagerata, alla sopraffazione, all’arrivismo, al consumismo sfrenato. I baby boomers e i sessantottini dai facili costumi hanno rovinato il mondo preesistente dei diritti e dei doveri. La punta dell’iceberg è stata la tecnologia negli ultimi 2-3 decenni.

  2. Simone Culla

    Le statistiche ufficiali (Viminale, ISTAT) si basano su una definizione di femminicidio puramente relazionale vittima-autore (donne uccise da partner o ex) e non rilevano il movente: quindi, potrebbero non essere conteggiati alcuni omicidi sicuramente derivanti da mentalità maschilista (es.Saman Abbas), mentre vengono conteggiati molti omicidi di donne in cui il movente è diverso o non certo. Altre rilevazioni attente ad altri elementi (https://femminicidioitalia.info/ , ma anche consultando l’Atlante del femminicidio e selezionando diversi criteri) danno cifre inferiori alla metà delle rilevazioni ufficiali: c’è quindi un mondo di femminicidi secondo la definizione ISTAT/Viminale che sfugge alla tipologia di omicidi cui pensiamo immediatamente quando sentiamo “femminicidio” , pur mantenendo una correlazione stretta tra sesso dell’autore e sesso della vittima . Sicuramente ho scritto imprecisioni e se potete confermare/smentire quanto da me scritto. Vorrei sapere cosa ne pensate di questa tipologia di reati e quali potrebbero essere le cause (una correlazione con il sesso dell’autore e della vittima , non vuol dire necessariamente una rapporto di causa effetto con una mentalità sessista).

  3. giuseppe

    Spiace leggere che proprio tra i giovanissimi ci possa essere questa violenza contro le ragazze. Accade che quando sono in gruppo si possono manifestare questi episodi di violenza contro le donne (i famosi bulletti) che presi singolarmente valgono il nulla. Sarebbe utile sentire anche il parere di altri lettori.
    Giuseppe

  4. giuseppe

    Ricominciare dalla cultura e molto dall’esempio in famiglia, dalla scuola, dalla società senza dimenticare la religione. Insieme hanno formato molte generazioni di giovani per bene. Richiede più impegno ma e’ sempre stata la strada giusta.
    Giuseppe

  5. giuseppe brunetti

    Concordo con le autrici dell’articolo. Lavorare molto sull’educazione è sulla cultura.

  6. Linea 0,00

    Quante banalità del male ci sono?
    La sinistra italiana, a corto di proposte, non potendo dichiarare la vera identità comunista di nemici della persona e della democrazia, cavalca oggi come 55 – 100 anni fa eventi , terribili e scoraggianti per inculcare, nelle persone piu’ fragili e meno attrezzate, l’ideologia della menzogna.
    La manifestazione a favore di Giulia è stata rivoltata contro Israele, contro il governo, contro l’occidente. Di Giulia non gliene importa niente.
    Provate a verificare nelle dittature del fascismo rosso, nella Cina Comunista oppure con l’Islam quanta libertà hanno le donne e gli uomini.

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