Il monitoraggio sul Piano di potenziamento dei centri per l’impiego permette di tracciare un nuovo identikit della figura dell’operatore Cpi. Emerge la necessità di percorsi di formazione adeguati e di una definizione del ruolo all’interno del Ccnl.
Il monitoraggio sul Piano di potenziamento
Il processo di potenziamento e rinnovamento del personale impiegato nei centri per l’impiego (Cpi) è iniziato nel 2017 e ha assunto forma stabile dal 2019. Il processo ha coinciso con la necessità di gestire a livello locale importanti politiche attive nazionali ed europee e ha contribuito a superare il gap strutturale, che di fatto si trascinava dal 1997, quando si decise di decentrare a livello locale la gestione dei servizi al lavoro.
A fine 2024, mediante una serie di interviste ai suoi principali attori (tra cui, direttori generali degli assessorati al lavoro o delle agenzie regionali del lavoro; dirigenti delle agenzie private del lavoro; psicologi del lavoro), l’Inapp ha realizzato un primo monitoraggio dedicato proprio al Piano straordinario di potenziamento dei Cpi, affrontando svariati temi, dalla ricostruzione del contesto istituzionale alla comparazione internazionale in tema di spesa dedicata alle politiche del lavoro, all’evoluzione della figura dell’operatore dei servizi al lavoro.
Il Piano straordinario di potenziamento dei Cpi, avviato dal governo Gentiloni, ampliato con il primo esecutivo Conte e proseguito con i governi successivi, ha l’ambizioso obiettivo di assumere circa 10mila dipendenti per i centri per l’impiego. In sostanza, l’intento originario era – ed è tuttora – quello di raddoppiare il numero di operatori.
La ricerca dell’Inapp, cui comunque si rinvia per gli approfondimenti, rappresenta un primo monitoraggio in itinere, posto che il potenziamento è ancora in fase di realizzazione. Non è quindi possibile formulare considerazioni in merito ai suoi esiti in termini di efficacia dei servizi offerti oppure occupazionali, ma si possono comunque ricavare una prima serie di considerazioni relative al ruolo e alla figura dell’operatore dei servizi al lavoro di oggi e in futuro.
Il ruolo dei dipendenti dei Cpi nel realizzare le politiche attive
A proposito del ruolo dei dipendenti dei Cpi nel realizzare le politiche attive, la maggior parte degli intervistati ha richiamato i livelli essenziali di prestazione dei servizi pubblici per l’impiego, definiti dal decreto ministeriale n. 4 del 2018, a partire dall’assesment,che viene svolto ordinariamente, affiancato dalla possibilità di erogare altre attività specifiche quali l’orientamento specialistico, il bilancio delle competenze e l’accompagnamento.
In generale, i referenti regionali ritengono che il nuovo organico, integrato grazie al Piano, debba essere in grado di concentrarsi su servizi ulteriori rispetto alle attività di natura “amministrativa” (raccolta delle dichiarazioni di disponibilità (Did) e stipula del patto di servizio). Alcuni intervistati hanno richiamato in proposito la figura “ibrida” del case manager, considerandola una sorta di via di mezzo tra l’operatore del mercato del lavoro e l’assistente sociale.
Rispondendo alla domanda sul ruolo del dipendente dei Cpi, tra gli intervistati, è emersa un’ampia convergenza sull’idea di considerarlo come in continua evoluzione, al passo con i cambiamenti del mercato del lavoro, un operatore “polivalente”, ovvero un operatore in possesso di un mix di competenze amministrative, psicologiche e di orientamento al lavoro, in grado di prendere in carico l’utente, analizzarne i bisogni e stabilire una strategia per soddisfarli attraverso i servizi offerti.
In linea con questo approccio è ad esempio il caso di Veneto Lavoro, agenzia del lavoro di Regione Veneto, ove si prevede che le attività siano svolte all’interno di team di specialisti, e non da un unico operatore, distinguendo, nell’ambito della figura dell’operatore dei centri per l’impiego, tra case manager e account manager, opportunamente formati attraverso un Academy interna all’agenzia. La figura dell’account manager dei servizi alle imprese è presente in molte regioni e ha il compito di rispondere ai fabbisogni espressi dalle aziende. Il servizio è affidato a personale con solide abilità relazionali e spiccata capacità di lavorare in autonomia. Di regola, a queste figure viene erogata una formazione specifica, mentre non è previsto un percorso di selezione specifico.
I bandi di selezione e le competenze dei neoassunti
Il processo di attuazione del Piano si è rilevato a volte difficoltoso: nostre elaborazioni degli ultimi dati amministrativi disponibili e relativi alla fine del 2023, evidenziavano in particolare il ritardo accumulato dal Mezzogiorno, spinto anche dalla quota maggiore di assunzioni previste, pari al 46 per cento del totale complessivo. L’indagine si è concentrata sulle competenze richieste nei bandi di selezione regionali: poiché nel Ccnl di comparto non è prevista la figura di operatore del centro per l’impiego, nei bandi si è dovuto far riferimento a profili professionali generici della pubblica amministrazione.
Anche se non è possibile fare generalizzazioni, è tuttavia emersa la questione della sovra-rappresentazione di candidati in possesso di competenze giuridiche. Secondo gli intervistati, nonostante la preponderanza di candidati laureati in giurisprudenza, però, in tutte le regioni si sono create graduatorie miste, costituite da professionalità di vario genere. Analizzando i profili degli assunti, per tutti i livelli, accanto ai laureati in legge troviamo quelli in psicologia (per una quota che si aggira intorno al 10-15 per cento), i laureati in scienze politiche e quelli in materie umanistiche. In generale, una quota rilevante dei neoassunti ha una pregressa esperienza di lavoro presso le agenzie private del lavoro e in diverse occasioni si tratta di ex navigator di Anpal Servizi. D’altro canto, il possesso di nozioni di base di diritto amministrativo risulta rilevante anche per quegli operatori privati (come le grandi agenzie di somministrazione al lavoro) che, oramai da anni, erogano le politiche attive in regime di accreditamento.
Va segnalato ancora una volta il caso della Regione Veneto, dove, attraverso una complessa attività di relazioni sindacali, si è costruita una figura “ibrida”, “pluri-specialistica” con elevate competenze in materia di politiche attive del lavoro, senza che venisse meno il diritto di mobilità all’interno della pubblica amministrazione.
Dal contratto nazionale al percorso universitario, fino all’abilitazione
Dall’indagine emerge una problematica polverizzazione territoriale della figura dell’operatore Cpi, ben rappresentata dal repertorio regionale delle figure professionali oggi raccolte nell’Atlante del lavoro Inapp. Una “babele” di linguaggi per descrivere, in realtà, la stessa figura.
Sarebbe perciò opportuno fissare una soglia di aggregazione comune e non è un caso se sono state già avanzate diverse proposte, discusse in sede di intervista. Una prima ipotesi prevede di definire una specifica figura nel Ccnl di comparto, ad esempio attraverso un ruolo attivo del Cnel, proposta che incontra il favore della maggior parte degli intervistati, sebbene alcuni abbiano espresso il timore che ciò possa generare alcune criticità, prima fra tutte quella di ostacolare poi la mobilità all’interno della Pa.
Una seconda proposta riguarda la possibilità di sviluppare un percorso universitario ad hoc,dedicato alla figura dell’operatore del centro per l’impiego (o case manager), come avviene in Germania. Collegare il titolo accademico al contratto nazionale di comparto ha raccolto un consenso unanime da parte delle regioni intervistate. A ciò si aggiunge, all’interno di quello che possiamo immaginare come un percorso di costruzione della figura professionale del case manager/operatore dei Cpi, anche l’ipotesi di prevedere anche un periodo di tutoraggio, analogamente a quanto avviene in Francia.
Ultima, ma non per importanza, la proposta di prevedere, a conclusione del percorso di istruzione. il conseguimento di un’abilitazione sulla scia di quanto già avviene oggi per i docenti nelle scuole medie e superiori.
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