Le eredità valgono ormai quasi un quinto del Pil italiano, più che in molti altri paesi avanzati. Molto dipende dal valore degli immobili delle famiglie italiane. La via maestra per riequilibrare ricchezza accumulata e salari è la crescita economica.
L’ereditocrazia, un fenomeno globale
L’Economist del 1° marzo ha dedicato la sua copertina alla cosiddetta “ereditocrazia”, ovvero l’aumento del peso delle ricchezze ereditate registrato in molte economie avanzate. Il fenomeno sta ridefinendo il rapporto tra lavoro e ricchezza, con implicazioni politiche e sociali considerevoli.
Nella maggior parte dei paesi sviluppati, il valore dei trasferimenti di ricchezza da una generazione all’altra è aumentato significativamente negli ultimi anni. Solamente nel 2025, si prevede che verranno ereditati nei paesi avanzati circa 6 trilioni di dollari, pari al 10 per cento del Pil e più del doppio della media del secondo dopoguerra. La letteratura economica ha identificato numerosi meccanismi alla base del fenomeno, destinato a continuare nei prossimi anni. In particolare, l’apprezzamento significativo di asset immobiliari e finanziari ha incrementato la ricchezza accumulata, la riduzione del numero di eredi, dovuta al calo della natalità tra i baby boomer, ha limitato la dispersione dei patrimoni, la riduzione o l’eliminazione delle imposte di successione ha favorito il consolidamento delle ricchezze ereditate, mentre la crescita dei salari è rimasta inferiore rispetto a quella dei rendimenti immobiliari e finanziari.
In questo contesto globale, in che misura possiamo parlare di “ereditocrazia” anche in Italia?
Ogni anno viene ereditato quasi un quinto del Pil italiano
Il valore totale delle eredità e delle donazioni in rapporto al Pil è cresciuto dall’8,4 per cento nel 1995 al 15,1 per cento nel 2016 e oggi sfiora il 20 per cento: più che in molti paesi avanzati. Per dare un ordine di grandezza, la cifra rappresenta più del doppio della spesa sanitaria pubblica e privata in Italia.
Negli ultimi quindici anni, il numero di miliardari in Italia è aumentato da 10 a 71, ma il fenomeno non è limitato a pochi ultra-ricchi. Si stima infatti che un erede italiano su quattro abbia ricevuto più di 200 mila euro nel 2016: un ammontare che la maggior parte delle famiglie italiane impiegherebbe più di otto anni ad accumulare (il reddito della famiglia mediana nel 2024 era di circa 26 mila euro).
Quanto conta l’apprezzamento degli immobili
Il valore totale degli immobili detenuti dalle famiglie italiane è aumentato meno che in altri paesi avanzati (da 4,2 trilioni nel 2005 a quasi 6 trilioni nel 2022). Tuttavia, gli aumenti sono stati molto più marcati in alcuni centri urbani come Milano, dove i prezzi medi di vendita (una misura diversa dal valore totale degli immobili) sono aumentati quasi del 40 per cento in dieci anni, con picchi sopra al 50 per cento in alcune zone della città.
Dato che l’Italia cresce da decenni ai tassi più anemici del continente, anche aumenti non troppo elevati dei valori immobiliari possono creare un’importante divergenza rispetto ai redditi. Sempre a Milano, si stima che i prezzi delle case e degli affitti siano cresciuti tre volte più rapidamente dei salari dei milanesi, dal 2015 a oggi. E non si tratta di un fenomeno soltanto meneghino: sono sei le città dove il rapporto tra costo della casa e redditi è più alto che nel capoluogo lombardo: Venezia, Firenze, Napoli, Bologna e Roma.
Le possibili soluzioni sono alquanto impopolari
Secondo l’Economist, l’ereditocrazia si può combattere attraverso quattro meccanismi: (1) aumentare (o re-introdurre) le tasse di successione, (2) costruire case dove c’è eccesso di domanda, (3) tassare adeguatamente le proprietà, e (4) stimolare la crescita economica, per ridurre il rapporto tra ricchezza e Pil. Che potenziale potrebbero avere queste soluzioni in Italia?
Per quanto riguarda le tasse di successione, le aliquote italiane sono molto basse, le franchigie alte e le esenzioni significative. Fu un governo di centro-destra ad abolire l’imposta totalmente nel 2001, ma furono due governi di centro-sinistra ad abbassarla drasticamente (Amato, 2000) e a reintrodurla nella sua forma attuale (Prodi, 2006). Si tratta di una tassa percepita da molti come ingiusta (si dice che la stessa ricchezza sia tassata due volte: quando viene generata e quando la si trasmette alle generazioni successive). Tuttavia, aumentando le aliquote, e riducendo franchigie ed esenzioni, si potrebbe ridurre l’incidenza dei trasferimenti di ricchezza sul Pil e aumentare le risorse a disposizione per politiche redistributive. Per esempio, con un sistema simile a quello francese o belga (entrate pari a ~0.7 per cento del Pil), si genererebbero quasi 15 miliardi l’anno nel breve periodo, destinati a crescere nei decenni a venire: quanto basta per aumentare immediatamente la spesa nella sanità pubblica del 10 per cento.
Relativamente ai patrimoni, checché se ne dica, questi sono tassati in maniera abbastanza consistente: meno che in Regno Unito, Francia e Belgio, ma più che in Germania e Olanda. Più della metà del gettito viene dagli immobili: circa 1,25 punti di Pil. Tuttavia, se la percentuale aumentasse al livello di Francia (2 per cento del Pil) o Regno Unito (3 per cento), l’erario potrebbe incassare fino a ulteriori risorse da investire in politiche redistributive.
A differenza di altri paesi avanzati, la popolazione italiana è destinata a diminuire nei prossimi anni. Di conseguenza, stimolare eccessivamente la costruzione di nuove case potrebbe rivelarsi poco lungimirante. È senz’altro utile costruire di più in alcune specifiche aree critiche, ma misure come incentivi fiscali per la riqualificazione di immobili sfitti e sottoutilizzati, oltre a politiche mirate sugli affitti, potrebbero avere un impatto più efficace nel riequilibrare il mercato immobiliare rispetto ai redditi.
Ad ogni modo, come ci ricorda l’Economist, la soluzione più efficace è anche la più difficile da realizzare, soprattutto in Italia: una crescita economica sostenuta e sostenibile che faccia aumentare i salari e che incentivi le nuove generazioni a raggiungere l’indipendenza economica attraverso il lavoro.
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Mahmoud
Un grande problema dell’Italia (ai fini ereditari oppure no) è l’imputazione di un corretto valore d’ufficio al patrimonio immobiliare. I valori di mercato degli immobili residenziali sono incredibilmente difficili da inquadrare correttamente ai fini fiscali. Si finisce sempre per valutare meno un bilocale che in alcune zone turistiche è di fatto un assegno circolare da mezzo milione di euro o più rispetto ad un quadrilocale che in alcune zone è solo un debito o comunque vale decine di volte meno.
Savino
E’ assurdo come si intenda questo fenomeno a stregua di un valore per chi cede ricchezza, per chi incrementa ricchezza e per l’intero “movimento” del mercato immobiliare, mentre si omette di vedere ciò come non un disvalore per la collettività, che crea ulteriori disuguaglianze e categorie più uguali delle altre. In posti del mondo normali queste modalità passano per un’imposizione patrimoniale o per una base imponibile patrimoniale.
Robi
A me pare che ancora una volta si perda l’occasione per dire chiaramente che il problema sta lato impresa, nel modello di impresa che si è difeso strenuamente nei decenni (e che ancora viene difeso, probabilmente in nome di una qualche pace sociale, tutta da dimostrare, visto il sempre maggior distacco delle masse dalla vita pubblica, la progressiva anestetizzazione e il trasferimento della “vita” sui social…) che non ha permesso la crescita negli ultimi 30 anni, e ha anzi creato unicamente posizioni di rendita costringendo centinaia di migliaia di giovani a emigrare.
Come si può, quindi, pensare che l’unica cosa da fare sia tassare i patrimoni ereditati?
Come non pensare che sono invece l’unica assicurazione, l’unica rete di protezione per evitare di finire in un tritacarne quale il mercato del lavoro italiano attuale, una giungla per qualità di contratti e di ruoli che vi si trovano, e che è tutto fuorché efficiente nell’allocazione delle risorse e nell’effettuare quell’ “igiene” delle realtà meno performanti, da tempo più che mai necessaria?
Non si può non pensare che, se si vuole uscire da un contesto “ereditocratico”, sia necessario tornare a dare al lavoro una sua convenienza, disincentivare un maggior ritorno delle rendite e partecipazioni finanziarie (uno studio de La Sapienza del novembre 2024 dimostra come neppure il piccolo imprenditore ha convenienza ad investire nella propria impresa, rispetto a partecipazioni finanziarie nel business altrui… e ci deve quindi investire il lavoratore?!?).
Di certo, se l’unica soluzione per spingere nuovamente la gente nel mercato è quella di affamarla, per costringerla a lavorare a qualunque costo, a qualunque condizione contrattuale, senza guardare dalla qualità del lavoro, siamo proprio alla frutta.
Sono queste ultime le leve su cui operare.
Se le imprese hanno bisogno di manodopera e di lavoratori e oggi non li trovano, è per l’assenza di motivi oggettivi che spingano l’offerta ad incontrare la domanda.
È la dimostrazione – vivaddio! – che sono finiti i tempi in cui il lavoro era un “valore”, e che servono condizioni oggettive forti per portare i candidati nel mercato (ad es. rinunciando alla condizione di Neet, che non sono altro – inutile stupirsi – che l’outcome inevitabile ed economicamente logico delle condizioni strutturali di cui sopra).
paolo
“Si stima infatti che un erede italiano su quattro abbia ricevuto più di 200 mila euro”. Questi 200 Mila euro però sono in gran parte controvalore di immobili in cui spesso si finisce ad abitare, o che vengono venduti per comprare la casa di abitazione. Dall’articolo sembra emergere un quadro di “ereditieri” ingiustamente poco tassati che non è reale.
Quello che però mi fa riflettere di più è l’allusione alle risorse aggiuntive che un inasprimento della tassazione sulla successione e anche sui patrimoni metterebbe a disposizione. La visione dell’autore è quindi quella di un aumento importante, nell’ordine di decine di miliardi all’anno, della pressione fiscale? Non si parla di spostare la tassazione dai redditi alle proprietà, ma di aumentare le tasse tout court. Che questa cosa abbia effetti espansivi, dopo quello che abbiamo visto negli anni, non è nemmeno discutibile, è fantascienza.
Savino
Concordo con paolo e sono in disaccordo almeno sulle conclusioni cui arriva Robi. Ma come, è ritenuto un valore quello delle rendite facili rispetto al lavoro e noi continuiamo a far fare la dichiarazione dei redditi e non abbiamo come imponibile IRPEF prevalente il patrimonio? Ma come educhiamo le generazioni future, facendo capire loro (anche per certe situazioni nei contratti) che il fattore lavoro non è importante, che nella vita bisogna fare solo i “signori” che vengono serviti al tavolo e non i camerieri o i baristi o i cuochi o i lavapiatti?
Enrico
Il fatto che un quinto degli spermatozoi fecondi sempre l’ovulo giusto, a prescindere dal proprio patrimonio genetico, frena la selezione naturale e può generare mostri, come tra i membri della vecchia aristocrazia. Ricordo uno studio sulle famiglie fiorentine in cui si mostrava che i ricchi di oggi hanno gli stessi cognomi di 600 anni fa. Questo significa che l’innovazione e i talenti emergono troppo lentamente e, in un mondo molto dinamico, questo è devastante. Inutile rispolverare la retorica della doppia tassazione contro le imposte patrimoniali, che attenuerebbero questo fenomeno. Anche i consumi, come accadrebbe per la ricchezza, sono tassati più volte (quando sono solo reddito e quando sono soggetti all’Iva) eppure nessuno se ne preoccupa.
Emanuele
La soluzione per una redistribuzione della ricchezza sta nel tassare in maniera proporzionale i profitti, non i patrimoni.
Un immobile di per se non produce denaro, anzi produce spese. Chi eredita non sta generando profitto anzi dovrà pagare le tasse su ciò che eredita. Solo nel momento in cui l’immobile verra affittato o venduto si avrà effettivamente un guadagno, che infatti viene tassato. La media degli stipendi in italia si aggira a 30000 euro all’anno, ma c’è chi ne guadagna meno di 10000. La ricchezza è concentrata nelle mani di una piccola percentuale che scappa alle aliquote progressive, in un sistema si tassazione che sopra certe soglie diventa regressivo. Mentre i redditi bassi dovrebbero esser lasciati tranquilli, i redditi effettivi oltre il milione di euro andrebbero tassati in maniera consistente in modo da non permettere mai che esistano cittadini con ricchezze tali da poter dominare in maniera sproporzionata sugli altri. Non credo sia giusto obbligare la classe medio bassa già precaria a rinunciare a quel poco di eredita a volte costruita con sacrificio dalla famiglia.