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Europa ancora incerta sulla difesa

Liberarsi dalla tutela americana pare una necessità per l’Europa, vista la crescente inaffidabilità dell’alleato. Il Piano proposto dalla Commissione è forse un primo passo, ma appare inadeguato. Più promettente l’ipotesi di un gruppo di volenterosi.

Più autonomia dagli Usa

Le conclusioni del Consiglio europeo del 20 marzo – di fatto il rinvio a giugno delle decisioni operative – mostrano quanto sia difficile il percorso verso una difesa comune europea.

Il problema che gli europei devono affrontare è duplice. Da un lato, c’è il tema di come continuare a sostenere l’Ucraina, in una situazione in cui gli americani sembrano interessati soprattutto a chiudere al più presto la guerra, senza preoccuparsi eccessivamente del fatto se questo lasci spazi a ulteriori future minacce russe. Ovvio, che la prospettiva preoccupi soprattutto nordici e baltici.

Dall’altro lato, e questo invece riguarda tutti, c’è il tema di come rendere l’Europa più indipendente dall’organizzazione, l’intelligence e i macchinari bellici statunitensi, visto la percezione crescente di inaffidabilità dell’alleato americano.

Naturalmente, un’Europa più autonoma dagli Usa sul piano della sicurezza sarebbe anche in grado di difendere meglio non solo i propri interessi, ma anche i propri valori. Lo stato di diritto, il multilateralismo, il rifiuto della forza come strumento di risoluzione dei conflitti internazionali, cioè tutti quegli elementi che l’attuale presidenza Trump sembra decisa ad abbandonare a favore di una politica di potenza, rappresentando una cesura radicale nel tradizionale sistema di alleanze occidentale. Ma fare passi in questa direzione per gli europei è difficile, sia perché ogni paese è tradizionalmente andato per la propria strada in termini di armamenti, con la conseguenza di una frammentazione che rende la difesa europea particolarmente inefficiente, sia perché l’industria militare europea è troppo limitata e indietro tecnologicamente in molti campi rispetto a quella americana per poterla sostituire in breve tempo. 

Il piano ReArm EU

Di fronte a problemi di tale rilevanza, la Commissione europea fa quello che può, cioè poco. La Ue non ha né le competenze né le risorse per fare molto di più, in più è vincolata dai propri complessi meccanismi decisionali interni.

I fantomatici 800 miliardi del piano ReArm EU si spiegano più con la necessità di dare un segnale di esistenza in vita a fronte degli schiaffoni di Donald Trump e J.D. Vance all’Unione più che rappresentare una stima realistica dell’impegno europeo futuro.

In pratica, il Piano si compone di due elementi. Il primo è la possibilità concessa ai paesi di sottrarre dalle nuove regole europee le spese nazionali per la difesa fino un punto e mezzo di Pil all’anno per i prossimi quattro anni: se tutti lo facessero davvero, si potrebbero generare alla fine del periodo 650 miliardi di maggior spesa per la difesa.

Il secondo è un nuovo fondo europeo, ora nominato Safe, (Security and Action for Europe) che potrebbe arrivare fino a 150 miliardi: i paesi vi potrebbero attingere per prestiti a favore di investimenti in progetti comuni sulla difesa.

Nessuno dei due strumenti pare particolarmente risolutivo. La sottrazione delle spese per la difesa dai vincoli europei è utile per i paesi con ampio spazio fiscale (a cominciare dalla Germania, ora che si è liberata del suo vincolo costituzionale sul debito), non per quelli mediterranei, tutti fortemente indebitati e che hanno bisogno, al contrario, di ridurre il debito. Non a caso, tutti questi paesi hanno finora risposto picche alla Commissione, anche se può darsi che alla fine anch’essi qualcosa saranno costretti a fare, soprattutto se – come probabile – a giugno si deciderà un ulteriore aumento dell’investimento minimo in difesa per i paesi Nato, il famoso 2 per cento del Pil che, per esempio, l’Italia ancora non raggiunge.

Ma anche il secondo strumento non pare granché. Da quello che si capisce, poiché la Ue non ha risorse proprie, il Safe verrebbe finanziato con lo stesso meccanismo del Sure (che richiede solo la maggioranza qualificata dei paesi e non l’unanimità, come invece è stato necessario per il Next Generation Eu), con (alcuni) paesi che offrono ulteriori garanzie al bilancio europeo, l’Unione europea che, a fronte di queste ulteriori garanzie, tramite la Commissione si indebita sui mercati ai tassi bassi garantiti dal suo alto merito di credito e i paesi che chiedono prestiti alla Ue a questi stessi tassi. Per paesi fortemente indebitati come l’Italia, tuttavia, si tratterebbe comunque di nuovo debito, vanificando gli obiettivi di rientro, mentre per quelli con spazio fiscale il fondo è del tutto inutile, visto che sono già in grado di finanziarsi sul mercato a tassi più bassi della Commissione. Nonostante il suo merito di credito, la Ue non è infatti considerata uno stato sovrano da parte dei mercati (giustamente, visto che non ha basi imponibili proprie) e di conseguenza il suo debito è prezzato più sfavorevolmente. Se alla fine sarà approvato, il Safe potrà casomai rafforzare l’industria europea della difesa, visto che il Libro bianco della Commissione chiarisce che potrebbe finanziare solo acquisti comuni che coinvolgono l’industria in almeno due paesi, di cui uno obbligatoriamente stato membro Ue e l’altro comunque appartenente allo spazio economico europeo (Eea-European Economic Area Agreement, Efta-European Free Trade Association, oltre all’Ucraina). Visto l’attuale ritardo dell’industria europea della difesa si tratta chiaramente di una scommessa sul futuro.

I “volenterosi”

Pare dunque difficile sfuggire alla conclusione che, se davvero si vuole trovare una soluzione al problema della difesa europea comune, si dovrà andare al di là di questi interventi. 

Si potrebbe pensare a un gruppo di paesi europei rilevanti che prendono l’iniziativa, mettono assieme le risorse, emettendo anche debito comune se necessario, e che si impegnano collettivamente sulla difesa sviluppando forti investimenti congiunti, allo scopo di sfruttare rendimenti di scala e ricadute tecnologiche. Oltretutto, come chiarisce bene il Libro bianco, gli interventi più necessari a livello europeo nel campo della difesa lo sono solo in senso lato. Coinvolgono infatti soprattutto investimenti in cyber-security, intelligenza artificiale, satelliti, comunicazioni, che hanno la possibilità di avere forti ritorni anche sul settore privato, così giustificando pienamente anche l’uso del debito come meccanismo di finanziamento.

Sicuramente, si dovrebbe trattare in prima battuta di uno sviluppo interno alla Nato, anche perché qui esiste già un forte coordinamento operativo tra paesi, ma preparandosi a sostituire gli americani se questi decidessero di sfilarsi, de jure o de facto, dall’alleanza. E siccome fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio, l’ideale sarebbe che i paesi Ue che si mettono su questa strada facciano anche passi avanti seri su una maggiore integrazione politica per essere sicuri che l’accresciuta capacità militare rimanga sottoposta al controllo democratico congiunto.

L’impressione è che tra Francia, Germania, Polonia, forse Regno Unito, sia pure con le difficoltà per la sua collocazione attuale fuori dall’Ue, qualcosa del genere stia già bollendo in pentola. Bisognerà vedere se anche l’Italia, visto gli orientamenti attuali della sua classe politica e dell’opinione pubblica, farà o meno parte di questo gruppo.

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Il Punto

  1. Savino

    Arriva tutto troppo tardi, quando le priorità dei cittadini europei sono altre, a cominciare dalle sicurezze economiche perdute e dal progressivo invecchiamento della popolazione. L’Italia, in particolare, per una questione di credibilità, a prescindere persino dal colore politico del Governo, ha la necessità di fare molta politica interna, di riformare la propria macchina burocratica in maniera radicale in aspetti quali la sanità, la scuola, la ricerca, la giustizia, i trasporti, l’ordine pubblico ed altri, anzichè dedicare inutilmente energie alla politica estera.

    • sergio trabattoni

      Ritengo che mai come ora le scelte di politica estera siano fondamentali per l’Europa e per il nostro Paese. Penso, quindi, sia indispensabile che il governo italiano si impegni in una corretta riforma fiscale che, senza scaricare i costi sul welfare, consenta di reperire i fondi per fare si che l’Italia possa partecipare in un ruolo non marginale al processo di recupero dell’attuale gap tecnologico dell’Europa rispetto agli USA.

      • Savino

        Gli intellettuali non diano il destro per escamotage, tramite la politica estera, di non occuparsi di politica interna. La credibilità internazionale dell’Italia e dell’Europa è nel saper risolvere i propri problemi interni.

  2. Antonio

    Non comprendo perchè ogni volta che si parla di sicurezza ci si dimentica che in Europa esiste l’Agenzia per la Difesa Europea (EDA) che ha per missione : EU can help its members buy, develop and operate new assets together. This helps save money, allows militaries to work closely together and reinforces NATO. The European Defence Agency (EDA) was created in 2004 to promote defence collaboration in the EU. Help our armed forces spend better work together. From priorities to projects. Train together. Finanziata dagli stati membri.
    Tutti i militari europei già lavorano e collaborano insieme. Perchè non sfruttare questo patrimonio?

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