Nelle aste, nelle gallerie e nelle fiere più prestigiose le artiste sono poche. E i prezzi delle loro opere sono mediamente più bassi rispetto alle quotazioni dei colleghi uomini. Ma sul mercato dell’arte si affaccia una nuova generazione di collezionisti.
A proposito della disparità di genere nell’arte
La disparità di genere è un tema controverso che si estende a numerosi ambiti, incluso quello artistico. Nel mondo dell’arte, si manifesta nel fatto che le artiste risultano sottorappresentate (in asta, nelle gallerie e nelle fiere più prestigiose) e sottovalutate (i prezzi delle loro opere sono mediamente inferiori rispetto alle quotazioni dei colleghi uomini).
L’evidenza aneddotica del “gap di genere” è ampia. I dati aggiornati al 2023 di Art Market Basel and Ubs Art Market Report 2024 mostrano che nella classifica dei cinquanta lotti più costosi venduti in asta figuravano solo tre artiste: Joan Mitchell, Georgia O’Keeffe e Louise Bourgeois. Prendendo a esempio due superstar dell’espressionismo astratto, il prezzo più alto raggiunto in asta dall’artista più quotata, Joan Mitchell, è la metà del massimo raggiunto da Jackson Pollock: 29 milioni di dollari per la prima, 61 milioni per il secondo. Il divario si amplia considerando le transazioni private: nel 2015, l’opera Number 17A di Pollock ha superato i 200 milioni di dollari.
L’effetto del pregiudizio
Interpretare questi dati non è semplice. Qual è la causa e quale l’effetto? La sottorappresentazione delle donne potrebbe dipendere dal fatto che il numero di coloro che scelgono di intraprendere la carriera artistica sia minore rispetto a quello degli uomini. Il divario nei prezzi potrebbe riflettere la qualità percepita dell’opera o dell’artista sul mercato: se quelle delle artiste vengono valutate meno, in fin dei conti potrebbero valere meno. D’altronde, Georg Baselitz ha affermato: “Women do not paint very well. It’s a fact”.
Un’analisi più approfondita arriva da Renée Adams e coautori, secondo cui anche i prezzi delle opere d’arte hanno un genere. E non perché le donne siano meno talentuose, ma per un pregiudizio intrinseco di chi osserva e valuta l’opera. Uno degli esperimenti condotti mostra che la stessa opera viene valutata in modo diverso a seconda che l’osservatore creda sia stata realizzata da un uomo o da una donna. Sistematicamente, il prezzo risulta più alto nel primo caso. Un altro risultato interessante è che il differenziale di prezzo aumenta nei paesi con livelli di istruzione e indicatori di equità di genere più bassi.
Gli ostacoli storici
Nell’ecosistema dell’arte, la strada per arrivare al successo dipende da un intreccio di fattori. Storicamente, le donne che volevano diventare artiste non trovavano modelli femminili da imitare, nemmeno nei libri scolastici; risultava più difficile l’accesso alla formazione nelle accademie e avevano meno risorse per acquistare materiali e attrezzature, per pagare modelli e assistenti o per allestire un atelier – la “stanza per sé” di Virginia Woolf – in cui lavorare indisturbate. L’artista Marcella Campagnano racconta che non aveva i soldi per acquistare uno sfondo per i suoi ritratti fotografici: ha dovuto appendere sul muro il tappeto di casa. Phyllida Barlow (Padiglione Inghilterra, Biennale di Venezia 2017) ha descritto le sue difficoltà di lavorare, con cinque figli a cui badare.
La fatica di penetrare gli spazi maschili – dalle fonderie, ai movimenti artistici, alle gallerie, ai musei – ha portato la storica dell’arte Linda Nochlin a scrivere, nel 1971, il famoso saggio “Why Have There Been No Great Women Artists?”. In Italia, l’Arte Povera ne è un esempio: una sola donna, Marisa Merz, è stata (da poco) inclusa nella mostra alla Bourse de Commerce di François Pinault.
Il divario persiste anche con riferimento al numero di citazioni nei libri d’arte. In uno studio di Yale, si parla di pregiudizio istituzionale come fattore collegato al minore riconoscimento e alla sottorappresentazione delle donne in gallerie, musei ed esposizioni.
Segnali di cambiamento
Le tendenze recenti suggeriscono segnali di cambiamento. Cresce la quota di opere realizzate da artiste nei portafogli dei maggiori collezionisti, dal 33 per cento nel 2018 al 44 per cento nel 2023. La quota raggiunge circa il 50 per cento tra gli high-net-worth individuals che hanno speso più di 10 milioni di euro in arte nell’ultimo anno.
Il tasso di apprezzamento delle opere di artiste è pure in crescita, così come la loro partecipazione a eventi di rilievo. L’edizione 2025 di Tefaf, prestigiosa fiera di Maastricht, conta quest’anno un numero cospicuo di stand dedicati ad artiste di epoche diverse. È esposta Camille Claudel (Galerie Malaquais), finalmente uscita dall’ombra di musa, assistente e amante “pazza” di Rodin grazie a due mostre – all’Art Institute of Chicago e al Getty Museum a Los Angeles – e a una vendita in asta di 3,8 milioni di dollari. Sono esposte anche Louise Bourgeois, Sheila Hicks, Sonia Delaunay, Vera Molnar e Marcelle Cahn, oltre all’artista palestinese Juliana Seraphime e a Hilla Rebay, baronessa fondatrice del museo Guggenheim di New York, nonché artista di spessore. Guardando al passato, nelle gallerie specializzate in Old Masters, troviamo opere di Giovanna Garzoni (Colnaghi), Bianca Boni (Walter Padovani) e nell’Ottocento Sarah Bernhardt (Bowman). Al contempo, aumenta anche il numero di galleriste e collezioniste presenti in fiera.
Il futuro del mercato dell’arte
Per il prossimo futuro, vedremo se il ricambio generazionale dei collezionisti, con l’avvento di ultra-ricchi, tra cui molte donne e appartenenti alla Generazione Z (notoriamente meno influenzati dai pregiudizi di genere), modificherà il modo di proporre, esporre e valutare l’arte di artiste e artisti. In merito ai prezzi, se davvero l’arte delle donne è sottovalutata, varrebbe la pena comprarne di più, proprio come accadrebbe sui mercati finanziari nel caso di asset sottostimati.
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