Una nuova legge stabilisce i limiti alla responsabilità patrimoniale per danni dei membri del collegio sindacale delle società. Ma per trovare un equilibrio tra le diverse componenti della governance societaria, servirebbe una riforma più ampia e ambiziosa.
Per i soli sindaci un limite legato al compenso
Il Parlamento ha di recente approvato la legge che stabilisce un “tetto” alla responsabilità patrimoniale per danni dei componenti del collegio sindacale delle società. In futuro, nello svolgimento dei controlli societari, i sindaci saranno sempre responsabili, esclusi i casi di dolo, ma entro un perimetro rapportato al compenso. Per i compensi fino a 10mila euro annui, il risarcimento massimo potrà arrivare a quindici volte quella cifra, per quelli tra 10mila e 50mila il multiplo sarà dodici volte e per compensi superiori a 50mila euro il limite sarà di dieci volte. La riforma prevede anche un termine di prescrizione più ristretto per l’esercizio dell’azione di responsabilità nei loro confronti: cinque anni, che decorrono dal momento del deposito della relazione, allegata al bilancio relativo all’esercizio in cui si è verificato il danno.
La riforma è stata accolta da un generale consenso, soprattutto da parte degli ordini professionali, perché affronta uno dei nodi più spinosi dell’attività di controllo interno delle società: l’esposizione dei sindaci a un illimitato rischio anche per importi di rilevanti dimensioni. Spesso infatti i sindaci, risultano essere destinatari di azioni di responsabilità, soprattutto nei casi di crisi societaria, vistosamente sproporzionate rispetto agli onorari percepiti, con la conseguenza di altrettanto rilevanti costi assicurativi. Un fenomeno che crea anche una sorta di selezione avversa nel rintracciare professionalità solide e adeguate a ricoprire incarichi considerati troppo rischiosi e non equilibrati nel rapporto costi benefici.
I dubbi sull’ambito di applicazione
Non mancano tuttavia dubbi interpretativi sull’ambito di applicazione della nuova normativa: ad esempio non si fa più riferimento alla responsabilità solidale dei sindaci con gli amministratori, ma è stata intravista anche la possibilità che sia venuta del tutto meno la solidarietà tra sindaci e amministratori nel caso di azioni di responsabilità. Al di là degli aspetti tecnici, ci si è chiesti se in realtà, sotto una pressione lobbistica, si siano volute creare aree di immunità che finiscono con lo svilire e indebolire i compiti di controllo.
Davvero il sistema dei controlli cambierà in meglio o quantomeno non subirà un allentamento della tensione? Davvero le eccellenze dei professionisti potranno finalmente decidersi a svolgere una funzione pure così complessa e proporzionalmente mal retribuita per il solo fatto che diminuirà significativamente il risarcimento da loro esigibile, anche in caso di colpa grave (solo il dolo esime dalla limitazione della responsabilità)?
La posizione degli amministratori non esecutivi e di quelli indipendenti
La discussione è aperta e non si può esaurire in una breve nota, tanto più che anche i due autori di questo articolo hanno opinioni in parte diverse. I dubbi rimangono, ma gli stessi autori – ferme le loro distanze sull’argomento principale – si sono però trovati d’accordo su alcune osservazioni consequenziali.
Quello della governance e delle correlative responsabilità è un tema complesso costruito nella prospettiva di un’armonia di sistema: il collegio sindacale, in questo contesto, svolge una funzione di controllo di legalità, in una dialettica molto articolata con il consiglio di amministrazione.
A sua volta, il consiglio di amministrazione vede al proprio interno figure che la legge distingue – amministratori esecutivi e non esecutivi – affidando ai secondi funzioni che spesso sono di mero controllo sull’operato degli amministratori esecutivi e il cui “agire informati” si svolge per legge solo nell’ambito delle funzioni collegiali, essendo privi di qualunque potere ispettivo, a differenza dei sindaci, e non essendo obbligati a rivestire quelle elevate qualifiche professionali che invece devono possedere i sindaci. La loro remunerazione, spesso, è assai poco significativa, al pari di quella dei sindaci.
Nelle società cooperative, per di più, questi amministratori non esecutivi, scelti obbligatoriamente tra i soci cooperatori, hanno capacità professionali molto ridotte, compensi simbolici e confidano sul controllo dei sindaci per avere maggiori sicurezze sull’operato degli esecutivi. Perché allora gli amministratori non esecutivi debbono poter sopportare di essere trascinati in giudizio con una responsabilità più estesa di quella dei sindaci?
Lo stesso si dica in relazione agli amministratori indipendenti nelle società quotate, figure obbligatorie per legge e la cui presenza in consiglio di amministrazione ha una funzione essenzialmente di controllo, e che pure sono per intero soggetti alla responsabilità. Il nuovo art. 2407 codice civile non si applica neanche ai componenti del consiglio di sorveglianza nel sistema dualistico, ai quali la legge affida larga parte dei compiti di controllo del collegio sindacale, lasciandoli così esposti a una responsabilità senza alcun limite e venendo meno a un fisiologico e costituzionalmente orientato principio di uguaglianza di trattamento.
Nel corso della discussione parlamentare è emersa l’istanza di estendere la portata della nuova disciplina anche ai revisori contabili, tanto che è stato approvato un ordine del giorno che impegna il governo a porre un limite alla responsabilità anche per questa categoria di operatori. È evidente che se realmente si intende muoversi in una logica di sistema alla ricerca di un equilibrio tra le diverse componenti della governance societaria, bisogna affrontare una più ampia e ambiziosa prospettiva di riforma che, detto per inciso, allontanerebbe anche il sospetto di interventi “dedicati” a particolari categorie professionali.
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Savino
Nel sistema dualistico sono tante le occhiate date al bilancio e certi organi non si possono definire di mero controllo.