Senza procedure standardizzate, non avremmo uniformità nei servizi offerti dai centri per l’impiego. Con il rischio di non erogarne affatto in alcune aree. I Lep si possono migliorare, ma non eliminare. E bisogna sviluppare modelli regionali efficaci.
Le critiche ai Lep
Nell’articolo Perché i Lep non aiutano i servizi per il lavoro, Simone Cerlini sostiene che la standardizzazione introdotta dai livelli essenziali di prestazione ha trasformato i servizi per l’impiego in un insieme di procedure troppo burocratiche. Il processo avrebbe ridotto la discrezionalità degli operatori, svuotando l’inserimento lavorativo della sua componente umana e relazionale.
Secondo Cerlini, i Lep, finalmente applicati a livello nazionale grazie al programma Gol, hanno reso più omogenei i servizi pubblici per l’impiego, ma ne avrebbero anche diminuito l’efficacia. La suddivisione dei compiti degli operatori in attività elementari e frammentate ha portato, ad esempio, a trasformare il processo di erogazione dei servizi di orientamento in una successione di compiti estremamente parcellizzati che hanno destrutturato il lavoro dell’operatore, riducendolo a mera compilazione di modelli predefiniti.
Il rischio evidenziato da Cerlini non è nuovo: era già stato discusso su lavoce.info nel 2012, con l’introduzione dei Lep da parte della riforma Fornero. Già allora si temeva che i Lep si riducessero a un semplice “marchio di qualità” senza impatto concreto sull’effettivo collocamento dei disoccupati.
Il modello standardizzato dei servizi di orientamento previsto dai Lep fondato su compiti parcellizzati può essere molto utile ai nuovi operatori dei centri per l’impiego, spesso senza una preparazione specifica nell’erogazione dei servizi di orientamento e provenienti da percorsi universitari giuridici. Tuttavia, il rischio evidenziato da Cerlini, che i servizi si rivelino inutili ai fini del miglioramento dell’occupabilità e della reale ricollocazione dell’utente, rimane concreto.
Perché i livelli essenziali sono fondamentali
Dalla riforma Fornero in poi, vari governi si sono sforzati di introdurre i Lep per un motivo preciso: senza procedure standardizzate, ogni operatore avrebbe potuto lavorare in modo totalmente autonomo e difforme dai propri colleghi. Peggio ancora, in molte aree del Mezzogiorno, l’assenza dei Lep comportava che i servizi nemmeno venissero erogati.
Questa è la ragione del perché, secondo il nostro punto di vista, i Lep sono indispensabili. Servono per garantire uniformità dei servizi su tutto il territorio nazionale e per sapere esattamente cosa viene fatto in ogni centro per l’impiego. Se uno dei Lep attuali relativo all’orientamento è maldestramente descritto o troppo frammentato, si può correggere. Ma non per questo bisogna rinunciarvi.
Anche la descrizione delle competenze, intese come attività, è fondamentale: identificare i compiti degli operatori permette di valorizzare il lavoro svolto, migliorare le attività formative e certificare le competenze acquisite. Se alcuni compiti risultano troppo parcellizzati, è sufficiente modificarli. Per esempio, la descrizione delle diverse attività tipiche nell’erogazione dei servizi di orientamento ha permesso di distinguere tra servizi base (gestibili da operatori junior) e servizi specialistici (da affidare a operatori esperti).
Dal nostro punto di vista, i limiti della fase di orientamento nel programma Gol derivano invece da altri fattori: ad esempio, i tempi troppo ridotti assegnati a ogni operatore per lo svolgimento dei colloqui per la stesura del patto di servizio personalizzato, così da raggiungere gli ambiziosi obiettivi numerici relativi al programma Gol fissati da ogni regione. Se in alcuni casi il colloquio si riduce, come denunciato da Cerlini, solo alla compilazione dei documenti, non è colpa dei Lep, ma della mancanza di tempo o delle limitate competenze degli operatori.
Anche il rischio di un “abbassamento” delle competenze non è causato dai Lep, ma dalla carenza di preparazione professionale di molti operatori. In Germania, ad esempio, è obbligatorio un percorso di abilitazione specifico per chi lavora nell’orientamento. Senza un’adeguata formazione, lasciare agli operatori piena discrezionalità, come proposto da Cerlini con il modello della “black box” (obiettivi fissati, libertà totale nei mezzi), aumenterebbe il rischio di scelte sbagliate. Senza dimenticare che il modello black box, tipico del mondo anglosassone, non è privo di rischi: lasciare libertà senza controlli favorisce comportamenti opportunistici e manipolazione dei risultati da parte in particolare dei soggetti terzi (agenzie formative, agenzie per il lavoro e anche attori del terzo-settore) che erogano servizi in convenzione.
L’efficacia delle politiche dipende dai modelli regionali
I Lep hanno un impatto limitato sull’efficacia delle politiche del lavoro: servono a stabilire le basi comuni, ma poi tutto dipende dai modelli regionali. La loro “balcanizzazione” porta a enormi differenze: alcune regioni si fermano ai servizi minimi, mentre altre, come il Veneto, hanno sviluppato modelli avanzati ed efficaci.
Veneto Lavoro, l’ente che gestisce le politiche del lavoro nella regione, rappresenta un esempio virtuoso: grazie a un’Academy interna, alla distinzione nei centri per l’impiego tra case manager (utenti) e account manager (aziende) e a un modello consolidato, offre servizi molto più sofisticati di quelli previsti normalmente dai Lep e soprattutto con tempi non paragonabili con altri contesti nazionali.
In sintesi, pur condividendo alcune critiche di Cerlini, riteniamo che i Lep siano fondamentali per migliorare i servizi per l’impiego e le politiche attive. Se sono scritti male, vanno migliorati, non eliminati. È altrettanto urgente, però, portare tutte le regioni a livelli di efficienza simili a quelli di Veneto Lavoro e rivedere nei prossimi programmi di politica attiva del lavoro alcuni obiettivi quantitativi, spesso irrealistici, imposti da programmi come Gol.
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bob
il degrado economico, culturale di questo Paese è stato causato proprio da un ” regionalismo” fallimentare a tutte le latitudini.
Il regionalismo è solo servito per soddisfare l’avidità di piccoli politici. basta leggersi e analizzare la storia dal dopoguerra per avere chiaro il disastro. Ha generato una folle burocrazia maggiormente deleteria perché localistica di stampo clientelare del ” compare o del parente”.
Quali sarebbero questi servizi avanzati ed efficaci in Veneto?
frank
Lavoro in un Centro per l’Impiego (Emilia romagna). Dal mio punto di vista i LEP attualmente hanno portato ad un aumento spropositato dei tempi necessari per espletare le procedure, sottraendo tempo e risorse a tutto quello che era il reale orientamento. Se a questo aggiungiamo la riduzione drastica del personale, va da sé che il tempo per erogare un orientamento degno di questo nome, ad essere generosi, scarseggia. Per cui, a malincuore, devo dire che nel mio caso la situazione descritta da Cerlini è molto conforme alla mia esperienza
Savino
Le Regioni non possono pretendere le competenze se non hanno le risorse economiche ed il personale per garantire meglio dello Stato determinati servizi.
Alfredo Pisano
Lavorando in un cpi da tre anni non posso che concordare col contenuto dell’articolo, come anche del precedente al quale si richiama. Se il ricorso ai Lep ha lo scopo di garantire un obbiettivo minimo e possibilmente omogeneo a livello nazionale il rischio è però anche quello di fossilizzarsi troppo su tali priorità finendo per ridurre l’operato dei servizi per il lavoro a una mera certificazione delle prestazioni erogate, utilizzando in sostanza criteri puramente quantitativi a discapito della qualità dell’azione svolta in favore degli utenti.
Marco
I Lep sono utili se misurati sulla qualità del servizio e non sulla quantità. Quindi non quanti BdC prodotti, ma quante persone che hanno fatto un percorso di BdC hanno realizzato il loro progetto professionale. Inoltre, non un BdC “nominale” dove anche 3 ore passate con l’ utente posso essere definite come BdC, ma processi standardizzati e riconosciuti da chi lo fa per mestiere. Il fallimento dei Lep è proprio questo: si sono basati sui numeri e non sulla qualità del servizio. Quindi è vero che andrebbero migliorati per mantenere una linea comune a livello nazionale, ma basandosi sulla qualità del servizio e non sulla quantità. Occorrono in tal senso linee guida e non imposizioni procedurali. Imho