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Dalla Fed una lezione di indipendenza

La Fed non abbassa i tassi di interesse, come invece chiedeva il presidente Usa. Come ha ribadito Powell, l’incertezza e in particolare i rischi di una ripresa dell’inflazione spingono ad agire con prudenza, senza cedere ai desideri del potere politico.

Un processo di riduzione che si è interrotto

Il 6 maggio la Fed ha deciso di lasciare invariato il livello dei tassi mantenendo il tasso target sui federal funds fra il 4,25 per cento e il 4,50 per cento. Per inquadrare la situazione può essere d’aiuto la figura 1: mostra che la Fed aveva iniziato a ridurre i tassi nella riunione del 18 settembre 2024, proseguendo con le riduzioni nelle due successive riunioni. Dalla riunione del 29 gennaio il processo si è arrestato e il tasso target continua a rimanere, appunto, fra il 4,25 per cento e il 4,50 per cento.

Per comprendere le motivazioni di questo atteggiamento di politica monetaria bisogna considerare prima di tutto i comunicati (press release) dell’organo collegiale che gestisce la politica monetaria statunitense (Fomc: Federal Open Market Committe), dove sono illustrate sinteticamente le ragioni delle misure adottate. È poi utile passare poi a considerare le conferenze stampa che il presidente della Fed tiene al termine delle riunioni. Cercheremo di fare una rapida analisi partendo proprio dalla riunione del 29 gennaio 2025, nella quale i tassi hanno smesso di scendere, fino ad arrivare al 6 maggio 2025.

I comunicati e le conferenze stampa

Tutti i comunicati iniziano ricordando che il Congresso ha assegnato alla Fed un “obiettivo duale”: mantenere la massima occupazione e la stabilità dei prezzi. Dal 2012 la banca centrale statunitense ha precisato che per stabilità dei prezzi si deve intendere un tasso di variazione del 2 per cento nel lungo periodo di un particolare indice denominato Pce (“Personal Consumers Expenditures”) considerato al netto delle componenti più volatili, come i prodotti energetici e alimentari (figura 2). Ciò premesso, il comunicato del 29 gennaio 2025 precisa che c’è uno stato di incertezza che induce a considerare l’esistenza di rischi su entrambi i lati del “mandato duale” della banca centrale. In questa situazione, all’unanimità, viene giudicato opportuno mantenere il tasso target fra il 4,25 per cento e il 4,50 per cento. Viene in particolare sottolineata l’incertezza per il tasso di inflazione, che è ancora sensibilmente al di sopra dell’obiettivo di lungo periodo.

In questa occasione, la relazione finale di Jerome Powell non aggiunge molto al comunicato che abbiamo appena visto. È più interessante la parte dedicata alle domande della sala stampa e alle risposte del presidente. Il primo giornalista che interviene chiede a Powell quale è stata la sua reazione alla richiesta avanzata a più riprese da Donald Trump di un intervento della Fed diretto a ridurre immediatamente il livello dei tassi. Il giornalista chiede anche se Trump ha fatto direttamente a Powell questa richiesta. Il capo della Fed precisa immediatamente che lui e Trump non si sono mai sentiti e ribadisce con forza cha la Fed è indipendente dal potere politico.

Nel comunicato del 19 marzo 2025 si ribadisce che si è deciso di confermare la banda di oscillazione del tasso di riferimento fra il 4,25 e il 4,50 per cento sulla base della considerazione che l’incertezza sulle prospettive dell’economia è aumentata e con essa la percezione dei rischi su entrambi i lati del “mandato duale” della banca. Il documento sottolinea anche un secondo aspetto, un po’ più tecnico: nella fase di crisi provocata dal diffondersi del Covid, la Fed, come molte altre banche centrali, ha aumentato le dimensioni del suo bilancio comprando titoli dalle banche e aumentando la loro liquidità. Il fenomeno è particolarmente evidente nella figura 3, che mostra un incremento dell’attivo di bilancio molto intenso nel corso del 2020, quando sono stati varati massicci programmi di quantitative easing. L’attivo di bilancio raggiunge la punta massima nel maggio 2022. Poi inizia una fase di normalizzazione nella quale la Fed vende titoli alle banche diminuendo la loro liquidità e conducendo quindi una politica monetaria di segno restrittivo.

La conferenza stampa avviene prima del “Liberation Day” nel quale il 2 aprile Trump presenta il piano complessivo delle tariffe che la sua amministrazione intende applicare. La discussione è dominata dal tema delle tariffe, che ormai sembrano alle porte e dei loro effetti sul tasso di inflazione. Comincia ad apparire una distinzione fra gli effetti temporanei e quelli permanenti e viene chiarito che questi ultimi destano particolare preoccupazione. Di fronte a varie domande sull’argomento, Powell ribadisce con molta forza che la Fed è indipendente dal potere politico ed è tenuta a rispettare il mandato che le è stato affidato dal Congresso, che è quello di condurre la politica monetaria.

La difesa dell’indipendenza dal potere politico

Ed eccoci al comunicato del 6 maggio 2025 nel quale viene sottolineato che l’incertezza sulle prospettive economiche è aumentata ulteriormente. Sono anche sensibilmente aumentati i rischi su entrambi i lati del “mandato duale” che la Fed è tenuta a perseguire. In questo contesto, il tasso target viene confermato fra il 4,25 e il 4,50 per cento. Viene anche deciso che la banca continuerà a vendere titoli che ha in portafoglio alle banche, diminuendo così la loro liquidità. La conferenza stampa finale è una delle migliori performance di Powell alle quali abbia assistito e consiglierei il lettore di vedere il video e di ascoltare con attenzione quello che il presidente della Fed ha detto, misurando attentamente ogni parola, come ogni banchiere centrale dovrebbe fare. Il presidente ha iniziato facendo presente che c’è purtroppo un altro elemento negativo: le aspettative di inflazione che stanno aumentando. Del confronto con i giornalisti sottolineiamo tre aspetti. L’aumento delle tariffe deciso il 2 aprile e il suo effetto sul tasso di inflazione è stato oggetto di molte domande. Powell ha risposto che è troppo presto per dare una risposta: bisognerà seguire gli eventi per capire se ci sarà un aumento transitorio o permanente. Molti giornalisti hanno poi chiesto se è possibile fare una previsione sull’andamento dei tassi target nei prossimi mesi e Powell ha risposto che l’incertezza che oggi esiste sui mercati impedisce di farlo. Infine, rispondendo a tantissime domande sull’argomento, Powell ha ribadito più volte che a Fed è indipendente dal potere politico. L’ha fatto con una convinzione, una forza (e anche un po’ di ironia) alla quale l’uditorio ha risposto tributandogli un caloroso applauso, cosa non comune nelle asettiche riunioni dei banchieri.

Proviamo a concludere. Sulle banconote emesse dalla Fed sta scritto da tempi immemorabili “In God we Trust”. Oggi sarebbe forse meglio scrivere “In Powell we Trust”.

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Il Punto

  1. alessandro casanova

    La banca centrale dovrebbe rispondere ai bisogni del potere politico che dovrebbe mediare gli interessi del popolo. La sua indipendenza troppo spesso nasconde scelte guidate dai mercati…

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