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Il rinvio delle multe rallenta l’innovazione nel settore auto

L’Europarlamento ha alleggerito il sistema di penalità per il superamento dei limiti CO2 previsto per il 2025, come chiesto dai produttori. Certi gli effetti sulle emissioni. Ma la mossa influirà anche sullo sviluppo dell’industria europea dell’auto.

Le regole dell’Europa per l’auto

Nell’industria automobilistica europea, tra problemi di competitività in un mercato globale che cambia e necessità di sviluppare tecnologia pulita per migliorare la qualità dell’aria e non perdere posizione in innovazione, gli argomenti da affrontare sono molti, e interconnessi. Non è un caso che in Europa la regolamentazione del settore sia forte, all’incrocio tra innovazione e obiettivi ambientali.

A partire dal 2007, l’Unione europea ha portato avanti un programma di regolamentazione per la riduzione delle emissioni inquinanti. Il ruolo normativo dell’Ue ha avvantaggiato in passato i produttori auto europei in settori in cui avevano un vantaggio tecnologico rispetto ai produttori stranieri.

Oggi, però, sembra essersi diffusa l’idea che l’origine della crisi di competitività del settore auto europeo sia proprio da ricercare nell’attività politica europea. Con questa narrativa, interventi legislativi supportati dal Green Deal e dalla stessa industria automobilistica vengono rimessi in discussione e attaccati.

L’ultimo esempio si è avuto con il voto al Parlamento europeo dell’8 maggio sulla normativa CO2. Su pressione dei costruttori, il regolatore europeo ha modificato il sistema di penalità per il superamento dei limiti CO2 nel 2025. Se prima i produttori erano tenuti a pagare multe nel caso in cui superassero i limiti alle emissioni CO2 previste dalla normativa europea a partire dal 2025, ora l’osservanza di tali limiti è “spalmata” sul triennio 2025-2027 – con posticipo delle eventuali multe al dopo 2027 e rinuncia ai target di miglioramento della qualità dell’aria per il 2025 e 2026.

Le multe erano di 95 euro per ogni g/km oltre l’obiettivo per ogni auto venduta in Europa in un anno: se per esempio, una casa automobilistica avesse mancato il suo obiettivo di 5 g/km e avesse venduto 100mila auto nel 2025, avrebbe dovuto pagare una multa di 47,5 milioni di euro.

Questi numeri, che dovevano servire da incentivo al rispetto dei limiti alle emissioni, sono stati invece usati per presentare come assolutamente necessario l’annullamento delle multe, altrimenti il settore auto europeo sarebbe andato in crisi in un periodo già teso, tra aumento del costo delle materie prime e dell’energia e gli smottamenti economici che potrebbero seguire ai provvedimenti dell’amministrazione Usa.

Ma c’era veramente il rischio che si dovessero pagare multe insostenibili? Si tratta davvero di un emendamento che sostiene il settore automobilistico europeo o invece alla lunga lo rallenta nella corsa all’innovazione?

Le insidie nascoste nel rinvio

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La misura, che a molti è parsa di buon senso, nasconde diverse insidie. La prima deriva da una osservazione di metodo: l’effetto dell’applicazione dei nuovi limiti previsti per il 2025, e le conseguenti multe, sarebbe stato noto solo nel 2026. L’emendamento al regolamento, quindi, è stato proposto e approvato in base alle vendite dell’elettrico negli anni scorsi (soprattutto il 2024) e alle proiezioni di vendita del 2025, prima che si sappiano quelle effettive. Sostanzialmente, intervenendo prima che gli eventuali effetti negativi delle multe ci fossero stati, l’emendamento altera le regole del gioco a partita in corso.

La seconda osservazione riguarda le ragioni di questo intervento “anomalo”: la quota di mercato dell’elettrico si è assestata in Europa intorno al 15 per cento nel 2024, un dato ritenuto da alcuni produttori insufficiente per garantire la compliance al 2025.

Di fatto, però, il mercato elettrico europeo ha visto un aumento del 45 per cento delle vendite nei primi mesi del 2025 rispetto allo stesso periodo del 2024. La dinamica è del tutto fisiologica perché è nel Dna dell’industria dell’auto adeguarsi molto velocemente agli obblighi di legge sulle emissioni a ridosso delle date in cui entrano in vigore. Lo studio delle dinamiche dell’industria mostra che i produttori auto hanno spesso preferito sfruttare al massimo gli investimenti fatti e privilegiare le vendite di auto sulle quali hanno maggiore marginalità (in questo caso le linee di produzione di veicoli con motori endotermici rispetto a quelli elettrici) fino a quando un cambio non diventa obbligatorio per legge. Nel 2024 l’interesse a introdurre nuovi modelli full-electric era ancora basso per i produttori, che hanno pianificato uno sviluppo della gamma per lanciare nuovi prodotti nel 2025, in modo da poter raggiungere i target previsti per la fine dell’anno. Nel +45 per cento di vendite elettriche del 2025 la crescita più forte è arrivata dal Gruppo Volkswagen (+128 per cento) e dal Gruppo Renault (+60 per cento).

In sintesi, a inizio 2025, non potevano esserci evidenze conclusive che suggerissero la necessità di modificare la tabella di marcia nel 2025, compreso il rinvio o l’esenzione dalle sanzioni per i produttori auto che non raggiungono gli obiettivi emissioni del 2025.

I probabili effetti della scelta

Gli studi e l’esperienza pregressa mostrano che il rinvio delle sanzioni rischia di innescare conseguenze estremamente gravi senza che ci sia un reale beneficio né per i produttori, né per i cittadini, né per i lavoratori europei.

Un primo effetto è la distorsione delle attuali dinamiche competitive del settore. L’emendamento favorisce il rallentamento della vendita di veicoli innovativi penalizzando i produttori europei più all’avanguardia e, così facendo, indebolisce la competitività dell’Ue in Europa e nel mercato globale. A dispetto di un fronte dell’industria che è stato presentato come omogeneo e compatto nel richiedere il provvedimento, la realtà è ben diversa. L’effetto delle sanzioni sui costruttori di automobili sarebbe stato molto eterogeneo perché c’è già chi ottempera agli obiettivi 2025, come Volvo, e chi nel 2025 ha lanciato nuovi veicoli elettrici piccoli ed economici per rispettare gli obiettivi entro la fine dell’anno, come Stellantis e Renault che con molta probabilità avrebbero rispettato i limiti. Quindi, la misura dell’8 maggio semplicemente si configura come una concessione economica ai produttori auto negligenti. Ciò che sorprende è che il provvedimento arriva senza condizioni che riguardino l’impegno al mantenimento dei livelli occupazionali e a effettuare gli investimenti in innovazione che permettano di colmare il gap di innovazione sulle tecnologie green e di competitività con i paesi asiatici.

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Un secondo effetto è l’erosione della fiducia dei consumatori nella tecnologia auto europea, potenzialmente influenzando le decisioni di acquisto. Il dibattito attuale e le speculazioni su eventuali modifiche normative creano incertezze per i potenziali acquirenti, rallentando ulteriormente il mercato dei veicoli elettrici e la riduzione delle emissioni clima alteranti. La misura non va a favore né del mercato auto europeo, né della qualità dell’aria in Europa.

Infine, la modifica in corsa delle regole non può che produrre una ulteriore erosione della fiducia dei consumatori nel Green Deal dell’Ue. I cittadini che avevano compreso l’importanza del piano e fatto scelte di acquisto coerenti, così come le imprese della filiera auto che hanno realizzato ingenti investimenti per la decarbonizzazione, hanno buone ragioni per sentirsi traditi dal comportamento dei produttori auto insieme all’Ue. Nel complesso, il rischio è che i continui “stop&go” calati dall’alto contribuiscano a evidenziare la fragilità della democrazia in Europa di fronte a interessi economici di parte e di pochi.

In conclusione, un provvedimento che a molti pare di minore conto, il rinvio delle sanzioni, in realtà rischia di far saltare l’impianto del Green Deal e rinforzare le dinamiche che stanno mettendo in difficoltà l’industria europea dell’auto. In un altro articolo ci occupiamo dei possibili scenari futuri che la scelta dell’Europarlamento apre.

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Giorgia Meloni forse non sa cos’è lo spread

  1. Gentili Autori,
    l’innovazione dell’automotive occidentale fu cancellata per scelta economica decenni fa, si stava sperimentando l’elettrico già negli anni ’60, negli anni ’90 era chiaro a tutti che il termico aveva dato tutto quel che poteva, ma l’ordine era “basta spese in ricerca sviluppo sostanziali, siamo in migliori, non abbiamo concorrenti, dobbiamo massimizzare i profitti tagliando costi inutili” e beh, col tempo e con la paglia un concorrente è emerso e non si recuperano decenni di ritardo in qualche anno, con o senza multe.

    Oggi noi abbiamo ancora un traballante primato tecnologico ma non abbiamo più tecnici perché gli ultimi che fecero vera ricerca e sviluppo han più di 80 anni o sono sottoterra, chi è venuto dopo anche se ha della teoria non ha la pratica, gli OEM non han strutture per far vera ricerca, non sanno da che parte cominciare. Oggi facciamo solo “ingegnerizzazione” ovvero “miglioramenti incrementali” nessuno attivo sa davvero come partire dal foglio bianco.

    Per questo l’automotive spera in una conversione bellica “salvifica” sulla nostra pelle di Cittadini, già rapinati dai dazi alla Cina per ritardare il fallimento. Ma è speranza vana perché se anche si convince il popolino a farsi massacrare in guerra non si convinceranno gli ufficiali, che girerebbero le armi contro i loro nemici, quelli che gli ordinano la guerra, e comunque senza energia non si produce. L’UE per aver industria deve unirsi all’EEU. Non sarà spostando in Africa qualche fabbrica una soluzione.

    Per evolvere serve Distributismo (teoria economica d’antan) ovvero deurbanizzazione che faccia costruire nuovi PICCOLI immobili semi-autonomi con fotovoltaico e stoccaggio importati dalla Cina per ora, con cui si elettrifica senza aumentare il consumo elettrico da rete nazionale, si rilancia l’economia spicciola con attività non delocalizzabili e si gettano le basi tecniche di un nuovo mondo perché il New Deal funziona SOLO nel piccolo e distribuito ad oggi e funziona giusto a latitudini italiche, più a nord sono già finiti ed il grosso del mondo abitato, guardate il planisfero, è più a sud.

    Questa è la realtà tecnica delle cose, ed è lei che comanda, a prescindere dalla volontà politica/economica.

    • dino

      concordo sull’unirsi all’ EEU, il problema è come farlo ora dopo aver provato a metterci le mani su e non a unirsi , con la politica portata avanti fin ora . Forse il minimo sindacale è smettere di sostenere la continuazione della guerra in ucraina.

  2. Fabio

    Qualcuno suppone che il legislatore europeo con il green deal stia regalando il mercato dell’auto alla Cina. Come a dire “se non possiamo produrre veicoli endotermici siamo falliti”. Questo messaggio fuorviante e fatto passare dai costruttori, con la complicità di una stampa amica, altro non fa che giustificare la massimizzazione dei loro profitti ottenibile con produzioni ormai consolidate che non possono portate a miglioramenti in termini di emissioni e rendimento. Una scelta che, accompagnata dai ridotti investimenti in ricerca e sviluppo sull’elettrico, sia sui propulsori che sugli accumulatori, in realtà, e al contrario, ha aperto le porte dei nostri mercati proprio a quell’industria straniera che si pone in maniera antagonistica. Anziché investire in prodotti innovativi, in una rete di distribuzione elettrica efficiente (che comunque sta incrementandosi notevolmente) e informazione su funzionamento e benefici dell’elettrico, i costruttori di auto europei (soprattutto i brand premium) hanno pensato solamente a ridisegnare e “agghindare” le produzioni correnti e aumentarne il prezzo di mercato. Risultato? la temibile industria cinese è penetrata nel mercato europeo con prodotti analoghi a prezzi nettamente più abbordabili (vedi BYD, DR, Omoda, Jaekoo, MG etc.) aprendo così la strada per la sua proposta elettrica, tecnologia nel quale hanno mostrato di essersi portati nettamente più avanti degli europei sia nello sviluppo di propulsori sia nello stoccaggio dell’energia.

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