Il referendum abrogativo dell’8 e 9 giugno propone di dimezzare da dieci a cinque anni il periodo di residenza richiesto agli stranieri extra-Ue maggiorenni per ottenere la cittadinanza italiana. Perché avrebbe riflessi anche sulle seconde generazioni.
Il quadro normativo e i numeri di oggi
Il referendum in programma l’8 e 9 giugno ha riacceso il dibattito sulla normativa sulla cittadinanza, che fa capo principalmente alla legge n. 91/1992.
Il nostro ordinamento risale a un momento storico in cui l’Italia si percepiva ancora come paese di “emigrazione” più che di “immigrazione” (benché la transizione fosse già in corso) e si basa principalmente sullo ius sanguinis: acquista la cittadinanza italiana di diritto, alla nascita, chi ha almeno un genitore italiano.
Lo ius soli, invece, è previsto solo in via residuale e per alcuni casi specifici. In particolare, chi è nato in Italia da genitori stranieri può richiedere la cittadinanza italiana al compimento della maggiore età, a determinate condizioni.
Tra le altre modalità di acquisizione della cittadinanza, la principale è quella per concessione, dopo quattro anni di residenza per i cittadini di paesi Ue e dieci anni per i non Ue.
Secondo i dati Istat, negli ultimi anni le acquisizioni di cittadinanza italiana hanno registrato un significativo aumento, superando nel 2022 e nel 2023 la soglia delle 200mila. Nel 2023 il 39,9 per cento delle acquisizioni è avvenuto per residenza. L’11,6 per cento per matrimonio e il 48,5 per cento per altri motivi, dove rientrano sia le acquisizioni per ius soli sia quelle dei figli di chi ha ottenuto la cittadinanza per residenza.
Istat riporta che il 70 per cento delle naturalizzazioni riguarda le quote per residenza o per trasmissione dei genitori ai minori. La tendenza è confermata anche dall’analisi per classe d’età: oltre un terzo delle naturalizzazioni interessa persone con meno di 20 anni, mentre le fasce più numerose sono quelle dei trentenni e quarantenni, verosimilmente giunti in Italia più di dieci anni fa.
Se oltre agli stranieri residenti (5,3 milioni a inizio 2024, pari all’8,9 per cento della popolazione) consideriamo anche i “naturalizzati”, il computo della popolazione “immigrata” aumenta sensibilmente. I residenti “nati all’estero”, ad esempio, sono 6,7 milioni, pari all’11,3 per cento della popolazione.
L’alto numero di acquisizioni di cittadinanza è uno degli argomenti citati dagli oppositori della riforma della cittadinanza. In realtà, il dato non dipende da una “generosità” della legge italiana. Al contrario, il numero elevato di naturalizzazioni deriva proprio dalla rigidità della normativa che, limitando fortemente la trasmissione diretta e automatica della cittadinanza, “costringe” a farne richiesta. Non solo: il numero è cresciuto negli ultimi anni soprattutto per le molte richieste di argentini e brasiliani, che nel 2023 rappresentavano il 13,5 per cento delle naturalizzazioni: si tratta di discendenti degli emigranti italiani che, nella maggior parte dei casi, non hanno mai messo piede in Italia.
Gli scenari aperti dal referendum
Negli ultimi anni sono state avanzate numerose proposte di riforma, molte delle quali focalizzate sullo ius soli, ovvero sulle modalità di naturalizzazione dei nati in Italia da genitori stranieri.
Il referendum abrogativoin programma l’8 e 9 giugno si concentra invece sulla naturalizzazione per residenza e propone di dimezzare da dieci a cinque anni il periodo richiesto agli stranieri extra-Ue maggiorenni per ottenere la cittadinanza italiana (per i cittadini Ue, dunque, rimarrebbe l’attuale requisito dei 4 anni di residenza).
Rimarrebbe immutata la procedura di richiesta e ottenimento della cittadinanza, che oggi dura circa tre anni.
Per stimare il numero di stranieri non comunitari residenti in Italia da almeno cinque anni, si può considerare il dato sui permessi di soggiorno. A inizio 2024 i permessi di lungo periodo (per cui è necessario il requisito della residenza di almeno cinque anni) sono 2,1 milioni. La percentuale di minori tra i residenti è del 20 per cento e si può ipotizzare che sia simile anche tra i permessi di soggiorno di lungo periodo, dunque gli adulti non comunitari residenti in Italia da almeno cinque anni sarebbero circa 1,7 milioni.
Ovviamente, la stima fa riferimento al bacino di beneficiari potenziali, dato che la riforma non porterebbe a un’acquisizione né immediata né automatica della cittadinanza.
Un avvicinamento ai paesi europei
L’eventuale vittoria del “sì” al referendum modificherebbe sensibilmente la normativa italiana, una delle più restrittive in Europa. Negli altri grandi paesi europei, ad esempio, la naturalizzazione per residenza richiede tempi molto più brevi.
In Francia, per diventare cittadini serve aver vissuto per cinque anni nel paese senza interruzioni, avere un impiego o una fonte di reddito stabile e superare un esame di lingua e uno di storia francese. Il percorso si può interrompere in ogni momento in caso di condanna per reati di terrorismo o con una pena di almeno sei mesi di carcere senza la condizionale.
Anche in Germania, dopo la riforma del 2024, per diventare cittadini servono cinque anni di soggiorno nel paese. In precedenza, gli anni di residenza richiesti erano otto. Necessari anche un impiego o un reddito stabile e la conoscenza della lingua.
In Spagna sono necessari dieci anni di residenza, che si riducono ad appena due per le persone nate nei paesi dell’America Latina in cui si parla spagnolo, o in altri paesi parzialmente ispanofoni come le Filippine e la Guinea Equatoriale. Anche Madrid prevede un esame di lingua e di storia spagnola.
E le seconde generazioni?
Tornando in Italia, una delle principali conseguenze di un eventuale esito positivo del referendum sarebbe quella di rendere più facile l’accesso alla cittadinanza per i nati in Italia, superando l’immobilismo normativo sullo ius soli. Infatti, paradossalmente, pur rimanendo inalterati i requisiti, i nati in Italia sarebbero favoriti da un più rapido iter dei genitori, rendendo più agevole l’acquisizione per trasmissione (cinque anni di residenza dei genitori) rispetto a quella per nascita (18 anni).
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