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Referendum in materia di lavoro: le ragioni del sì e le ragioni del no

Al di là della valenza politica che opposizione e governo attribuiscono ai referendum, qual è il contenuto effettivo di ciascuno dei quattro quesiti in materia di lavoro sul piano giuridico e su quello degli effetti pratici? E quali gli argomenti a favore e contro? Facciamo il punto.

Quesito n. 1 – Disciplina generale dei licenziamenti (scheda verde)

Viene integralmente abrogato il Dlgs n. 23/2015, col risultato che torna ad applicarsi a tutti la disciplina contenuta nella legge Fornero del 2012 (art. 18 dello Statuto modificato).

Coincidenze e differenze principali tra la legge Fornero 2012 e il Dlgs n. 23/2015

  1. licenziamenti per motivo illecito (discriminazione, rappresaglia, ecc.), oppure per un motivo soggettivo (disciplinare) o oggettivo (economico-organizzativo) fondato su fatti di cui il datore di lavoro non provi la sussistenza: entrambe le leggi prevedono la reintegrazione nel posto di lavoro;
  2. licenziamenti disciplinari illegittimi perché la mancanza è punita dal contratto collettivo con una sanzione minore: entrambe le leggi comminano la reintegrazione, pur se con diversa ampiezza; negli altri casi di motivo disciplinare ritenuto dal giudice insufficiente, entrambe le leggi prevedono l’indennizzo, determinato come al § 3;
  3. licenziamenti per motivo economico-organizzativo ritenuto dal giudice insufficiente: entrambe le leggi prevedono l’indennizzo, che per la legge Fornero va da un minimo di 12 a un massimo di 24 mensilità, per il Dlgs n. 23/2015 da un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità (in riferimento ai rapporti cui si applica il Dlgs n. 23/2015 la sentenza costituzionale n. 128/2024 ha sancito l’applicabilità dell’indennizzo anche nel caso in cui il giudice ritenga che il lavoratore avrebbe potuto essere ricollocato in altra posizione in azienda: cosiddetto repêchage; la giurisprudenza ordinaria ha ritenuto invece, in questo caso, applicabile la reintegrazione in riferimento ai rapporti cui si applica la legge Fornero);
  4. licenziamenti collettivi nei quali siano applicati dei criteri di scelta ritenuti dal giudice scorretti: per la legge Fornero si applica la reintegrazione, per il Dlgs n. 23/2015 l’indennizzo da un minimo di 6 a un massimo di 36 mensilità.
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Argomenti per il “sì” a cura di Franco ScarpelliArgomenti per il “no” (o per l’astensione) a cura di Pietro Ichino
Il referendum supera la diseguaglianza di tutele in ragione della sola data di assunzione. Per i lavoratori soggetti al decreto 23/2015 aumenterebbero i casi nei quali il licenziamento illegittimo dà luogo a reintegrazione (e continuità della contribuzione Inps) e non al mero indennizzo. Il caso più clamoroso è quello di più lavoratori coinvolti nella stessa riduzione di personale: oggi, se sono violati i criteri di scelta, chi è soggetto all’art. 18 viene reintegrato e chi al decreto 23 ha solo un indennizzo.
Nell’art. 18 vi sono alcune ipotesi (oggi residuali) in cui si applica solo l’indennizzo, e per questi casi è vero che il referendum porterebbe a un tetto di indennizzo più basso rispetto a quello del decreto 23: va però detto che d’altro lato il minimo di indennizzo (che riguarda in genere lavoratori con minore anzianità di servizio) verrebbe raddoppiato, e che i casi nei quali vengono riconosciuti indennizzi superiori a 2 anni di retribuzione sono molto rari.
Il referendum è presentato dai promotori come finalizzato al “ripristino dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori”. In realtà l’ipotetico prevalere del “sì” porterebbe solo al ripristino per tutti i rapporti di lavoro della legge Fornero. Questo risultato non porterebbe, complessivamente, a un rafforzamento della stabilità del lavoro: a) non per il licenziamento dettato da motivo nullo o insussistente (resterebbe la reintegrazione in ogni caso); b) stesso discorso per il caso di licenziamento disciplinare non previsto dal contratto collettivo; c) per il caso di motivo economico ritenuto insufficiente si ridurrebbe il limite massimo dell’indennizzo da 36 a 24 mensilità; d) il solo rilevante rafforzamento della protezione riguarderebbe il licenziamento collettivo (che però costituisce una frazione minima dei licenziamenti economici). Effetti assai modesti, dunque; ma è comunque sbagliato l’obiettivo dei promotori di tornare ad aumentare il disallineamento dell’Italia, su questo terreno, rispetto al resto della Ue.

Quesito n. 2 – Disciplina dei licenziamenti nelle piccole imprese (scheda arancione)

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Viene abolito il limite massimo dell’indennizzo previsto dalla legge n. 604/1966, come modificata dalla legge n. 108/1990 (6 mensilità, che, nelle imprese con più di 15 dipendenti fino a un massimo di 60 ma suddivisi in unità produttive che non superano soglia dei 15, possono essere aumentate fino a 14 in relazione all’anzianità di servizio): l’impresa può dunque essere condannata a un indennizzo deciso dal giudice senza un tetto massimo, in applicazione dei criteri generali di diritto civile.

Argomenti per il “sì” a cura di Franco ScarpelliArgomenti per il “no” (o per l’astensione) a cura di Pietro Ichino
La stessa Corte costituzionale ha segnalato che il concetto di impresa ‘minore’ è mutato, che va valutata anche la dimensione economica e che non è più ragionevole un limite all’indennizzo di 6 mensilità. Atteso l’immobilismo del legislatore sul tema il referendum rimuove il tetto massimo, ma non è vero che l’indennizzo rimane senza limiti, che sono quelli civilistici della prova del danno effettivo subito dal lavoratore per il licenziamento ingiusto.È bene che il limite massimo di 6-14 mensilità oggi vigente venga modulato diversamente da una nuova legge. È indispensabile. però, che il limite dell’indennizzo sia prestabilito, perché non è mai possibile quantificare in modo preciso il pregiudizio causato in concreto da un licenziamento. Sopprimere il limite dell’indennizzo per le imprese minori appare, poi, paradossale nel momento in cui, con il primo quesito, ci si propone di ridurlo da 36 a 24 mensilità per le maggiori.

Quesito n. 3 – Disciplina dei contratti a termine (scheda grigia)

Il Dlgs n. 81/2015 oggi consente di assumere a tempo determinato, entro il termine massimo di durata del rapporto di 12 mesi, senza indicare un motivo per l’apposizione del termine (cioè senza la cosiddetta “causale”). Se prevalgono i “sì” sarà possibile assumere a termine, anche nel primo anno, solo nei casi previsti dai contratti collettivi negoziati tra imprese e rappresentanze sindacali o loro associazioni e nei casi di sostituzione di altri lavoratori. In caso di contestazione, il giudice dovrà verificare l’effettiva sussistenza del motivo addotto dal datore di lavoro per l’assunzione a termine e non a tempo indeterminato.

Argomenti per il “sì” a cura di Franco ScarpelliArgomenti per il “no” (o per l’astensione) a cura di Pietro Ichino
Nonostante il miglioramento dei dati sull’occupazione, due terzi delle nuove assunzioni continuano ad avvenire a termine. Le trasformazioni a tempo indeterminato sono limitate, e per i lavoratori meno professionalizzati il termine crea elevati rischi di precarietà permanente, proprio per la totale assenza di giustificazione del termine nei primi 12 mesi.
Se vince il “sì” nel referendum l’impresa potrà continuare a utilizzare i rapporti a termine per rispondere a esigenze di reale flessibilità, concordate in sede sindacale, e non per coprire a rotazione posizioni stabili di lavoro.
In termini di stock, i rapporti a termine in Italia sono circa il 15%, in linea con la media Ue. L’esperienza pratica, inoltre, insegna che è difficilissimo prevedere se il motivo indicato per l’apposizione del termine, quale che esso sia, supererà l’eventuale verifica giudiziale. Questa incertezza non giova né ai prestatori né ai datori di lavoro. I modi corretti per limitare questi contratti sono quelli già in vigore, e nel complesso funzionano bene: da quando l’obbligo della “causale” (limite “qualitativo”) è stato sostituito con i limiti cosiddetti “quantitativi”, il contenzioso giudiziale si è molto ridotto, e anche la quota di lavoratori a termine è (sia pur di poco) diminuita.

Quesito n. 4 – Corresponsabilità solidale tra committente e appaltatrice (scheda rossa)

L’art. 26 del Dlgs n. 81/2008 oggi prevede che, in tutti i casi di appalto di opere o servizi che si collochino nell’ambito dell’attività svolta dall’impresa committente, quest’ultima è corresponsabile in solido con l’appaltatrice o subappaltatrice per gli infortuni accaduti ai dipendenti di quest’ultima, salvo che l’attività dell’appaltatrice sia totalmente estranea a quella dell’impresa committente, generando quindi rischi specifici sui quali quest’ultima non ha competenza tecnica. Se prevalgono i “sì” viene abrogata questa eccezione: si applica, cioè, la corresponsabilità solidale della committente anche nel caso in cui l’infortunio accaduto al dipendente dell’appaltatrice sia conseguenza di un rischio specificamente proprio dell’attività di questa, estraneo all’attività della committente.

Argomenti per il “sì” a cura di Franco ScarpelliArgomenti per il “no” (o per l’astensione) a cura di Pietro Ichino
La proposta referendaria è coerente a classiche tecniche del diritto civile: responsabilità civile per indurre comportamenti di mercato virtuosi e per allocare i rischi su chi è più in grado di gestirli.
Il rispetto delle regole sulla sicurezza dipende dalla qualità delle imprese coinvolte nella filiera, al cui capo c’è la committente. Se sceglie un’impresa specializzata seria (col giusto costo) ci saranno meno infortuni (e, anche se chiamata a risponderne, potrà sempre rivalersi sull’impresa appaltatrice). Negli appalti a basso valore professionale, costruiti solo per abbattere i costi, i risparmi si fanno spesso sui costi per la sicurezza. Quando poi accade un infortunio l’appaltatrice spesso non ha la consistenza per risarcire il lavoratore o la sua famiglia.
La finalità del referendum è favorire scelte di mercato più mature e virtuose.
La corresponsabilità solidale di committente e appaltatore è la regola generale già oggi vigente. L’eccezione a questa regola che si vuole abrogare col referendum è molto sensata: non è ragionevole imporre all’impresa committente un rischio sul quale essa non ha alcuna competenza tecnica. Gli appalti che presentano il maggior pericolo per i lavoratori non sono quelli cui si riferisce la norma che si vuole abrogare: sono semmai quelli con cui una grande impresa affida pezzi della propria produzione a imprese più piccole, che di fatto operano in condizioni di dipendenza economica dalla committente. Ma non è di questo che si occupa il referendum.
Il Jobs Act (Dlgs n. 149/2015) aveva previsto l’unificazione e riorganizzazione degli ispettorati del lavoro, che però è stata cancellata dal Dl n. 19/ 2024 (art. 31), nel silenzio generale. Sarebbe stato necessario, semmai, un referendum abrogativo di quest’ultima norma.

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21 commenti

  1. Savino

    Aspetti così tecnici non dovrebbero essere sottoposti a referendum popolare. Toccherebbe ai parlamentari, ai giuslavoristi, ai sindacalisti occuparsene, perchè è il loro dovere. Quindi, c’è qualcuno che non sta facendo il proprio dovere, se ne lava le mani e si avvale dell’alibi della supplenza popolare. Quello che si può sottoporre al popolo è un giudizio sui principi. E, sicuramente, la materia del lavoro è trascurata rispetto all’articolo 1 della Costituzione. Altrettanto sicuramente, ci sono problematiche inerenti le relazioni sindacali, l’intermediazione tra lavoratore e datore, il salario non adeguato al carovita, la sicurezza sui luoghi di lavoro, la regolamentazione corretta del diritto di sciopero, le politiche attive per chi cerca lavoro, le politiche industriali, il benessere ed il welfare aziendale (nella contrattazione di secondo livello), soprattutto per donne e giovani. Ancora, c’è qualcuno che non sta facendo il proprio dovere.
    Infine, riguardo alla politicizzazione dei quesiti, che diventa, poi, l’unico motivo che spinge le forze politiche e sindacali a fare campagna elettorale in un senso o nell’altro, quando, negli anni ’80, qualcuno ha invitato la gente, ed è stato seguito, ad andare al mare, ha tolto ai cittadini , con commenti pretenziosi su quell’istituto, un diritto e un baluardo come la scala mobile, che immaginate un pò se avessimo oggi (un falso d’autore e un’autentica menzogna fu la questione della spirale inflazionistica!!).

    • Giuseppe

      Per non sbagliare non andremo a votare.
      In primis per il lavoro è il governo ché
      si deve occupare è sono stati eletti è
      pagati.
      Per la cittadinanza di mamma è patria una
      sola ci può essere.
      Non è un pezzo di carta tantomeno lo ius soli
      ecc
      Inoltre per una cosa così importante per il
      futuro dell’ Italia dovrebbero andare al voto almeno il 98% degli italiani.
      Non possono decidere quei pochi per 60 milioni di cittadini ( italiani)
      Dimenticavo: la scala mobile chi là abolita ? Chi
      a fatto fallire industrie, artigiani,commercio,
      artigianato ecc. Chi a voluto le autonomie? Un fallimento.
      Cordiali saluti

    • Giorgio Moise

      Dr. Savino, Sono pienamente d’accordo con il Suo commento.
      Si’ ripete una situazione simile Al referendum sul nucleare.
      Io stesso non avevo capito i quesiti sul lavoro prima di aver letto questo bellissimo articolo.

    • Angelo

      Rileggendo il mio post mi sono accordo che poteva essere frainteso.
      Quello che intendevo è: se uno studioso che da sempre non fa’ altro che studiare queste materie non riesce a portare che argomenti superficiali e senza nessuna sostanza a sostegno del NO, arrivando ad invocare l’ astensione, mi sembra che votare SI sia l’ unica possibilità.

  2. Angelo

    È sufficiente leggere le ragioni portate per votare NO, senza neppure guardare quelle portate per il SI, per capire cosa bisogna votare.

    • Rocco Frascaria

      Non è proprio così. Solo votando SI aumentano le garanzie e i diritti dei lavoratori oltre alla maggiore sicurezza che verrebbe garantita sui posti di lavoro.

    • Maurizio Magnani

      Referendum? Soldi buttati per decisioni da prendere in sede parlamentare. Purtroppo un parlamento immaturo che chiede ai cittadini di decidere su argomenti tecnici e legali….il cittadino voterà di pancia…come ha fatto x il nucleare… e ora ci guardiamo allo specchio x dirci di quanto siamo stati stupidi a votare no.

      • Giovanni

        Ci lamentiamo dei politici che non prendono decisioni, ma per una volta che possiamo esprimerci preferiamo non farlo perche’ non siamo competenti. E allora secondo lei qual e’ la soluzione? Io preferisco esercitare i miei diritti di cittadino e votare, sempre.

        • Marco

          A prescindere di quale scelta si faccia, Lei ha ragione: abbiamo l’opportunità di esercitare i nostri diritti, informiamoci al meglio e facciamolo

      • Renata Strona Riva

        Il referendum è un diritto e, come tutti i diritti conquistati a caro prezzo, andrebbe esercitato. È anche vero che esiste la libertà di coscienza checché strombazzino sia a destra che a sinistra. Concordo sul fatto che la finalità è politica, che certe decisioni tecniche andrebbero prese in sede parlamentare. Ringrazio per la corretta spiegazione sulle ragioni del sì e su quelle del no, che mi hanno chiarito parecchio le idee.

    • Giuseppe

      @Angelo
      Beato lei che ha tutte queste certezze.
      Singolare che ci giunga leggendo solo una “delle due parti”…
      Mi fa venir voglia di studiarmi per bene le ragioni portate per votare SI
      Cordialita`

      • Ivan Pal

        Buongiorno Giuseppe,
        sono più che contento che “Mi fa venir voglia di studiarmi per bene le ragioni portate per votare SI”
        con questa affermazione intende che non desiderava studiare le ragioni prima di prendere una decisione?
        Cordialita`

    • Ivan Pal

      Buongiorno Angelo,
      davvero Lei intende che sarebbe più contento che se (faccio solo un esempio) io La licenziarsi solo perchè non mi piace la squadra che Lei tifa (senza giusta causa) poi non ha nessun diritto di reintegro?
      oppure è più contento che se per caso dovesse lavorare per una dittarella di ristrutturazione in subappalto che senza problemi vince qualsiasi gara perchè decide di abbattere i costi per la SUA sicurezza. In questo caso se dovessero vincere i SI la grossa ditta è responsabile e controlla bene anche quelle più piccole.
      Chiaramente non sta a me dire cosa votare, ma personalmente io vivrei peggio in un contesto proposto dal NO.

  3. Enrico

    Come quasi tutti gli atti politici, i referendum sono soprattutto un segnale che prescinde dai loro contenuti ed eventuali effetti specifici. Il Si segnala l’insofferenza verso la stagione dei tecnici e della deregulation, che hanno spalancato le porte al populismo (o peggio) in tutto il mondo. Io avrei aggiunto un referendum o una iniziativa legislativa per ridurre il quorum irraggiungibile stabilito con la legge 352/1970 (scritta 23 anni prima dell’abolizione delle sanzioni per gli astensionisti) fisassandolo pari al tasso di partecipazione delle ultime elezioni nazionali.

    • Marco

      La sua mi sembra un ottima idea: calibrare il quorum al tasso di partecipazione delle politiche

  4. Antonio Zanotti

    Con riferimetno ai primi tre referendum, al di là delle ragioni del Si o del NO, l’informazione che manca è una valutazioni di quanti licenziamnti siano avvenuti in cui il lavoratore sarebbe stato più tutelato con la vecchia normativa. Ho letto che nel Regno Unito esiste una Commissione parlamentare che valuta sempre i risultati di una nuova legge rispetto alle finalità che si era data. In Italia non si sa mai quali siano gli effetti provocati da una nuova legge per cui votiamo sempre su questioni di princpio, senza mai una vlautaione quantitativa.

  5. Ivan Pal

    Buongiorno, sono più che d’accordo che dovrebbero essere gli organi preposti a legiferare e non chiedere a noi, MA, come previsto dalla nostra costituzione esiste lo strumento del referendum abrogativo per fare correggere ai legislatori il loro operato sulla base delle indicazione della popolazione. Quindi ritengo un errore considerare che “è il solo governo che si deve occupare della vita politica della mia nazione” ma siamo tutti noi che con le nostre scelte e le nostre esigenze non dovremmo mai tirarci indietro dalla vita politica per quanto riguarda la nostra vita.
    Io consiglio di prendere una posizione solo DOPO avere compreso come una nostra decisione (anche quella di non fare nulla) possa influenzare la nostra vita. l’approccio “non è affare mio, che decidano per me” non è mai stato vincente.

  6. Dean Tripoli

    Rispetto al quesito numero 4. Potrebbero i due autori fare un esempio del campo di applicazione, cioe’ cosa vuol dire in termini concreti “attivita’ totalmente estranea a quella dell’impresa committente”? es. Se ho una ditta che installa impianti a pompa di calore ed uso idraulici ed eletricisti e non ho muratori. Quando un tetto e`da rifare prima di installare i pannelli, subappalto ad un impresa edile. e’ attivita’ estranea o no? Sono responsabile o no a legislazione vigente? Se l’esempio non e’ calzante potrebbero gli autori formularne uno loro. Grazie in anticipo.

  7. fabio vivaldini

    Francamente sono sempre stato contrario ai referendum. Credo che abbiano senso solo quando sono rivolti a temi sociali e sensibili, dove tutti indistintamente e intimamente siano coinvolti, come fu per il divorzio e per l’aborto. Un tema sociale caldissimo che meriterebbe un referendum è la depenalizzazione/liberalizzazione dell’eutanasia.

    In questo caso in particolare poi, mi pare siano quesiti relativi a una parte della popolazione, ovvero ai lavoratori dipendenti, oltre che essere tremendamente tecnici. Per dare una propria opinione occorrerebbe infatti essere ferrati/ bene informati sulle leggi attuali e su come varierebbero. questi sono temi che deve eventualmente discutere il parlamento.

    Il referendum sulla cittadinanza è evidentemente stato inserito solo per tentare di racimolare consenso da chi ne è interessato.

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