La legge di bilancio Usa mantiene le promesse fatte in campagna elettorale e comporta un ulteriore aumento del debito pubblico. In un periodo di grande incertezza, dovuta proprio alle decisioni di Trump, le preoccupazioni sulla sua sostenibilità aumentano.

Cosa prevede la “grande e bellissima legge”

Mercoledì 21 maggio, alle 7 del mattino, la Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti ha approvato al primo scrutinio, con un solo voto di scarto, quello che Donald Trump ha definito il “Big Beautiful Bill”: di fatto, una legge di bilancio che segna profondamente il secondo mandato del presidente. Anche in questa occasione, come nel caso delle tariffe, Trump ha voluto rispettare alla lettera le sue promesse elettorali, smentendo i commentatori che avevano creduto – o forse sperato – che si trattasse solo di propaganda. Ora la legge passerà al Senato, dove almeno 50 dei 53 senatori repubblicani dovranno votare a favore per garantirne l’approvazione definitiva.

Il testo, che supera le mille pagine, proroga e amplia i tagli alle imposte sul reddito per privati e imprese, già introdotti dal Tax Cuts and Jobs Act del 2017 e in scadenza alla fine dell’anno; aumenta il credito d’imposta per i figli ed elimina le tasse su mance e straordinari, come strombazzato in campagna elettorale; incrementa le esenzioni fiscali su proprietà e donazioni; introduce un’ampia gamma di agevolazioni fiscali per le imprese e stanzia oltre 50 miliardi di dollari per rafforzare la sicurezza delle frontiere, incluso il completamento del muro lungo il confine con il Messico.

Il provvedimento riduce inoltre il programma sanitario per i poveri (Medicaid) di quasi 800 miliardi di dollari, l’assistenza alimentare ai bisognosi (Snap) di 100 miliardi, nonché le agevolazioni sui prestiti agli studenti e i crediti d’imposta per le energie pulite e le auto elettriche. Aumentano anche le tasse sui redditi da investimenti delle università e delle fondazioni private.

Chi ci perde e chi ci guadagna

Nel complesso, si tratta di un provvedimento fortemente regressivo, che aumenta in modo significativo debito e disavanzo pubblico, ma produce effetti limitati in termini di stimolo alla crescita. Eppure, la sua approvazione viene considerata un grande successo per Trump, nonostante le fasce più popolari del suo elettorato sembrino tutt’altro che premiate.

Il Penn Wharton Budget Model dell’Università della Pennsylvania stima che le famiglie appartenenti al primo quintile di reddito (le più povere) perderanno circa 1.035 dollari nel solo 2026, considerando l’effetto combinato di riduzioni nette delle tasse e tagli ai trasferimenti (Medicaid e Snap). Viceversa, il 10 per cento più ricco della popolazione beneficerà di circa il 65 per cento delle risorse complessive stanziate dalla legge, grazie soprattutto ai tagli alle imposte sui profitti. Lo 0,1 per cento più benestante percepirà un aumento del reddito netto pari a ben 4,3 milioni di dollari solo nel prossimo anno.

In termini aggregati, il Committee for a Responsible Federal Budget, un organismo indipendente, prevede che la legge approvata comporterà un aumento del debito pubblico pari a 3.300 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni. La cifra potrebbe salire a 5.200 miliardi se alcune delle misure temporanee venissero rese permanenti — ipotesi considerata altamente probabile. In altri termini, il debito pubblico americano, attualmente pari a circa il 100 per cento del Pil, potrebbe raggiungere il 125 per cento entro il 2034, o addirittura il 129 per cento nel caso in cui tutte le misure temporanee fossero prorogate. Si tratterebbe di livelli mai raggiunti nella storia degli Stati Uniti, nemmeno al termine della seconda guerra mondiale.

Il debito che sale e le abitudini di Trump

Eppure, come ricorda un recente studio di Alan Auerbach e Danny Yagan, il bilancio presentato da Trump, almeno in termini di disavanzo, appare in linea con quelli delle amministrazioni degli ultimi vent’anni. Infatti, se tra il 1984 e il 2003 il Congresso tendeva a ridurre il deficit (attraverso minori spese e maggiori entrate) quando le previsioni indicavano un aumento del disavanzo, nel periodo 2004-2024 la risposta virtuosa non c’è stata. In pochi anni, il debito americano è così più che raddoppiato e la spesa per interessi ha registrato un sensibile aumento.

Lo storico Niall Ferguson ha mostrato come il declino di ogni grande impero coincida spesso con il momento in cui le spese per interessi sul debito pubblico superano la spesa militare. È accaduto alla Spagna nel XVII secolo, alla Francia prerivoluzionaria, all’impero ottomano nel XIX secolo, alla Russia zarista nel 1917 e alla Gran Bretagna dopo la seconda guerra mondiale. Tocca ora agli Stati Uniti: per la prima volta nel 2024, la spesa per interessi ha superato quella per la difesa. La tendenza è destinata a rafforzarsi nei prossimi dieci anni, a causa sia dell’impennata del debito pubblico, sia degli alti tassi d’interesse previsti.

William L. Silber, professore di finanza ed economia presso la Stern School of Business della New York University, ha di recente ricordato che Donald Trump ha una certa familiarità con le procedure d’insolvenza. Le sue aziende hanno infatti presentato almeno quattro volte istanza di riorganizzazione del debito ai sensi del Chapter 11 del codice fallimentare statunitense, per far fronte a situazioni di sovraindebitamento: prima con il Trump Taj Mahal nel 1991, poi con il Trump Plaza Hotel nel 1992, con i Trump Hotels and Casino Resorts nel 2004 e infine con i Trump Entertainment Resorts nel 2009.

È molto improbabile che Trump desideri assistere a un default degli Stati Uniti, ma la sua inclinazione ad applicare l’arte del commercio alle relazioni internazionali, unita alla forte presenza di investitori esteri nel mercato del debito americano, suscita preoccupazioni. Un recente editoriale del Wall Street Journal osservava che, se i dazi non dovessero riuscire a riequilibrare il sistema commerciale globale, c’è il timore che Trump possa arrivare a imporre una tassa sul debito del Tesoro, come proposto dall’economista capo della Casa Bianca, Stephen Miran. Una misura simile ridurrebbe il costo del debito pubblico americano, ma equivarrebbe di fatto a un default parziale. Sarebbe proprio una gran bella legge!

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