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I sondaggi presidenziali alla prova dei voti

Ci sono voluti giorni prima di conoscere il vincitore delle elezioni Usa ma alla fine la vittoria di Joe Biden è stata più netta di quanto la lunga attesa possa far pensare. Davvero, come hanno detto in molti, i sondaggi hanno sbagliato anche stavolta?

La notte tra il 3 e il 4 novembre è iniziato lo spoglio delle schede elettorali per determinare chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti d’America. Le ore successive, durante le quali veniva man mano assegnata la vittoria in diversi stati americani a Donald Trump o a Joe Biden, sono state vissute con il fiato sospeso in tutto il mondo, Italia compresa. L’assegnazione della Florida al presidente uscente dopo poche ore dall’inizio degli scrutini ha infatti chiarito fin da subito che la lotta presidenziale sarebbe rimasta aperta a lungo e che il nome del vincitore non sarebbe stato noto ancora per giorni.

Nel commentare lo spoglio elettorale, alcuni giornalisti e commentatori italiani hanno fatto riferimento ai sondaggi precedenti al voto parlando di una rimonta “inaspettata” di Trump, di un nuovo grande fallimento dei polls americani e di una delusione per i democratici, che non hanno trovato alle urne il vantaggio che gli era stato promesso.

C’è davvero stato il fallimento completo dei sondaggi sul voto presidenziale americano di cui si parla tanto in Italia?

Cosa sono e come funzionano i sondaggi sul voto presidenziale

I sondaggi sono raccolte di opinioni presso un campione rappresentativo della popolazione, ossia un campione che rispecchia le caratteristiche fondamentali della popolazione complessiva nazionale, per esempio la quota di donne, di anziani o di minoranze etniche.

I sondaggi politici devono però anche tenere conto dell’intenzione o meno di recarsi a votare della persona intervistata, e quindi della composizione non solo della popolazione nazionale complessiva ma di quella che andrà a votare. Per questo motivo, negli Stati Uniti vengono utilizzati generalmente due modelli di campionamento: uno considera gli aventi diritto al voto (i “registered voters”), l’altro gli elettori probabili (i “likely voters”). Un metodo per misurare la probabilità che un elettore vada a votare è controllare la sua partecipazione ai voti precedenti, o la partecipazione media alle elezioni passate della fascia di popolazione a cui appartiene (per esempio, se fa parte di una minoranza etnica). Altrimenti, si può chiedere direttamente all’intervistato se abbia intenzione di andare a votare.

Una problematica in cui incorrono frequentemente gli intervistatori è la distorsione dovuta a coloro che non rispondono (“non response bias”), che rende difficile rappresentare correttamente la popolazione. Spesso chi è disponibile a partecipare a un sondaggio è politicamente più impegnato o interessato, circostanza che può portare a una sottorappresentazione delle fasce di popolazione che sono invece meno partecipi della vita politica del paese. Anche per questo, i sondaggi hanno sempre un margine di errore, di solito del 3 per cento, che delinea una fascia di possibili risultati diversi da quelli stimati.

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La situazione al 2 novembre

Negli Stati Uniti il presidente non viene eletto su base nazionale. Ogni stato assegna un certo numero di cosiddetti grandi elettori (i delegati che compongono i singoli collegi elettorali), e il candidato che ne ottiene almeno 270 (la metà più uno del totale) vince la presidenza. Quasi tutti gli stati assegnano i loro grandi elettori in blocco al candidato che riceve la maggioranza relativa dei voti nello stato stesso, indipendentemente dalla dimensione del vantaggio. Vanno quindi tenuti in considerazione i sondaggi statali per avere un’idea di chi potrebbe vincere un’elezione presidenziale americana.

Il giorno prima del voto, i principali siti di sondaggi americani avevano dato per certa la vittoria di Trump (rosso) e Biden (blu) in molti stati in base al vantaggio incolmabile dell’uno o dell’altro e della storia elettorale e demografica locale. La somma dei grandi elettori di questi stati faceva partire Biden da una base certa di 217 grandi elettori e Trump da una di 67, il che rendeva una vittoria complessiva di Biden più probabile, ma non certa.

I dati riportati in Tabella 1 sono il risultato delle medie degli ultimi sondaggi nazionali pubblicati (per alcuni stati anche il 2 novembre). Classificando come “probabili” e non certi gli stati nei quali il vantaggio del candidato era sotto il 10 per cento, si aggiungono otto stati repubblicani (59 grandi elettori) e cinque democratici (62). Qualora i sondaggi per gli stati probabili si fossero rivelati tutti corretti, Biden avrebbe conquistato la presidenza con 279 grandi elettori.

Inoltre, se si considera un margine di errore in media del 3 per cento, gli stati che potevano considerarsi “in bilico” erano sette. Tra questi, in Texas la situazione sembrava essere combattuta visto il graduale aumento dei voti per il Partito democratico negli ultimi anni; in realtà, però, una vittoria di Biden era altamente improbabile. Anche in Iowa e in Ohio Trump veniva dato in vantaggio, anche se di poco, mentre in Florida e in Georgia Biden era avanti di meno di 3 punti.

Biden ha vinto per il rotto della cuffia?

La lentezza nello spoglio delle schede elettorali, principalmente dovuta al notevole ricorso al voto per posta, ha dato a molti l’impressione che la lotta presidenziale si sia combattuta all’ultimo voto. Inoltre in alcuni stati in cui una vittoria di Joe Biden era stata data per probabile come la Pennsylvania, il Nevada, il Wisconsin e il Michigan, inizialmente sembrava esserci un leggero vantaggio di Donald Trump. Questo semplicemente perché i voti per posta, scrutinati alla fine, erano (come previsto) per la maggior parte a favore del Partito democratico.

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I sondaggi si sono rivelati per la maggior parte accurati. Negli stati in cui la vittoria era probabile i margini di vittoria sono stati leggermente inferiori al previsto. Negli stati in bilico, i risultati sono quelli riportati nella Tabella 2: solamente in North Carolina e in Florida il vincitore dovrebbe essere diverso da quello che ci si aspettava e peraltro una vittoria dell’altro candidato era comunque all’interno del margine di errore della previsione. In alcuni casi, come per esempio in Texas, il margine di errore viene superato.

I sondaggi non hanno quindi completamente fallito. Entrambi i candidati hanno vinto (o stanno per vincere) sia negli stati dati per certi, che in quelli dati per probabili. È vero però che in questi ultimi il vantaggio dell’ex vicepresidente di Obama alla fine è risultato inferiore rispetto a quanto stimato.

Una vittoria storica

La vittoria di Joe Biden non è stata sicuramente la vittoria schiacciante che era stata spesso preannunciata, ma non si può neanche dire che la lotta alla presidenza sia stata giocata all’ultimo voto. Joe Biden, che diventerà il quarantaseiesimo presidente degli Stati Uniti d’America, è stato il candidato più votato nella storia delle elezioni americane, con più di 74 milioni di voti. Circa 4 milioni in più rispetto a Trump, che invece è il terzo presidente dal dopoguerra a oggi a vedersi negato un secondo mandato. Inoltre, se Biden dovesse vincere in tutti gli stati in cui al momento è in vantaggio otterrebbe lo stesso numero di grandi elettori di Trump nel 2016, e il suo margine di vittoria sarebbe del 52-53 per cento, uno dei più larghi della storia americana recente.

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  1. Alberto

    Mi scusi, non capisco bene la sua ultima affermazione: “il suo margine di vittoria [di Biden] sarebbe del 52-53 per cento, uno dei più larghi della storia americana recente”. Può chiarirmelo?

    • Emiliano

      Biden, su base nazionale, ha preso il 52%-53% dei voti, contro i 47%-48% di Trump. Questa è considerata una vittoria molto ampia, se si considera ad esempio che Reagan nel 1980 prese il 50,7% dei consensi in un’elezione in cui vinse praticamente in tutti gli stati guadagnando 489 grandi elettori.

  2. Pippo Calogero

    Se si trattasse di puro errore statistico però, dovremmo aspettarci discrepanze in entrambe le direzioni, mentre dobbiamo registrare come tutti gli errori vadano in un’unica direzione. Ovviamente non stiamo parlando di teorie del complotto, ma del fatto che probabilmente c’è qualcosa relativo al consenso trumpiano che i sondaggi non son riusciti a rilevare appieno in maniera sistematica.

    • Irene Solmone

      E’ vero. I principali sondaggisti americani, infatti, si stanno interrogando su quale sia stato il problema e sul perché di questa sottostima.

      • nicola cornacchia

        Potrebbe dipendere dal fatto che spesso chi vota personaggi o partiti controversi tende a non ammetterlo rifiutando il sondaggio o mentendo. Anche in Italia abbiamo avuto esempi simili, non c’è bisogno di nominarli. In pratica ci si vergogna del proprio voto.

  3. Henri Schmit

    Trovo l’analisi, che ridimensiona le accuse di inaffidabilità, ottima. C’è forse un’imprecisione nell’ultima frase. Dobbiamo distinguere il voto nazionale (irrilevante), il voto negli Stati (molto condizionato questa volta dal voto per corrispondenza) e il voto dei grandi elettori (quello determinante). Trovo appassionante il circo elettorale americano, con 51 procedure diverse, la lotta dei candidati concentrata sugli swing states, tutto calcolato sui loro sondaggi, fondamentali, lo spoglio dei voti, in particolare del voto per corrispondenza, le contestazioni e il ruolo decisivo dei media e degli esperti nella determinazione del risultati ufficioso (!) che determina il comportamento dei protagonisti e quindi in qualche misura pure il risultato ufficiale (cf Gore 2000 ma anche Biden vincitore ufficioso indiscutibile dopo l’ammissione di Forbes). Il punto imbarazzante non sono i sondaggi o i media, ma il bias (la distorsione) del tutto artificiale e ingiustificabile del risultato dovuto al collegio elettorale combinato alla regola in quasi tutti gli Stati del Winner takes all. Una pessima regola che però da oltre 200 anni è rispettata da tutti. Anche quella è una lezione!

    • Irene Solmone

      Sono perfettamente d’accordo. L’obiettivo dell’articolo era rispondere alla questione dei sondaggi, ma non si può non riconoscere che il problema sia il sistema dei collegi elettorali (i cui confini sono manipolati a favore dei Repubblicani con il gerrymandering) e dei grandi elettori. Tra l’altro, dei sondaggi recentemente pubblicati da Statista mostrano che più del 50% degli americani vorrebbe passare al voto nazionale per eleggere il presidente. Grazie del commento!

  4. Antonio Focella

    Penso che i principali commentatori si riferissero al clamoroso errore del (probabilmente) più famoso ente di previsioni politiche statunitensi, cioè 538 di Nate Silver che stimava un vantaggio nel voto popolare di 8 punti percentuali per Biden quando quello reale è inferiore al 3%, dal momento che in molti si erano affidati alla sua stima vista la fama del gruppo la sorpresa è stata forte nello scoprire i dati reali

    • Irene Solmone

      E’ possibile (anche se non credo), ma rimane il fatto che il voto rilevante ai fini dell’elezione del presidente americano sia il voto negli Stati e nei collegi elettorali. Parlare di “completo fallimento” è fuorviante e sarebbe comunque stato sbagliato, anche se si fossero riferiti ai sondaggi sul voto nazionale.

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