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Così i contadini senza terra ribaltano le idee sui diritti di proprietà

È opinione comune che gli investimenti fioriscono quando i diritti di proprietà su un bene sono garantiti. Il Movimento dei contadini senza terra brasiliani sembra smentirlo: è sui terreni incolti, per i quali quel diritto è meno certo, che si investe di più.

Gli investitori hanno bisogno di sicurezza

I diritti di proprietà (property rights) sono stati studiati da filosofi (tra gli altri Hobbes, Locke, Hume), scienziati politici e giuristi prima che gli economisti cominciassero a cercare di capirne le origini e le conseguenze. 

La letteratura giuridico-economica è piuttosto unanime su un punto: la sicurezza dei diritti di proprietà sugli asset (ad esempio la terra) permette di stimolare gli investimenti su quegli stessi asset. L’idea è che i diritti di proprietà rappresentano la tutela da eventuali espropriazioni dei frutti degli investimenti (su cui si sopportano costi): ovviamente, se c’è il rischio che qualcuno si appropri dei benefici, l’incentivo a investire si riduce. In altri termini, il ruolo dei diritti di proprietà è proprio quello di far sì che gli investitori si sentano sicuri nell’investire. 

La letteratura sui property rights è molto vasta, ma da Armen Alchian e Harold Demsetz (1973) la veridicità del ragionamento sulla bontà assoluta dei diritti di proprietà è fuori discussione. Un articolo del 1995 di Timothy Besley sul Journal of Political Economy e un mio lavoro di prossima pubblicazione sullo European Journal of Law and Economics mettono però in dubbio la generalità dell’asserzione. Besley studia il ruolo dei diritti di proprietà in Ghana e trova empiricamente l’esistenza di una endogeneità: se è vero che garantire il raccolto su un terreno spinge gli investimenti, è anche vero che se quel raccolto dà la possibilità di ottenere il titolo di proprietà sulla terra coltivata succede che diritti di proprietà e investimenti sono in simbiosi e non è più così assodato che diritti di proprietà più forti implicano maggiori investimenti (i coltivatori del Ghana hanno anche l’incentivo a coltivare proprio per ottenere la proprietà). 

Il caso del Brasile

Il caso brasiliano è assai promettente per studiare la relazione tra diritti di proprietà sulle terre e incentivi all’investimento. Il Brasile è uno dei paesi con la maggiore concentrazione di terra al mondo, con l’1 per cento dei più grandi latifondisti che possiede il 45 per cento delle terre. Inoltre, ci sono molte proprietà improduttive e allo stesso tempo si stimano 3 milioni di contadini senza terra. Ereditata dal periodo coloniale, questa terra così altamente concentrata è considerata uno dei maggiori problemi economico-sociali del Brasile. 

Un attore politico-sociale importante nel contesto della riforma agraria è rappresentato dal Movimento dei senza terra (Mst). Fondato nel 1985, ha come obiettivo la redistribuzione delle terre. L’approvazione della Costituzione brasiliana nel 1985 ha favorito lo sviluppo del movimento: in particolare il Mst ha messo a frutto l’articolo 184 della Costituzione, che dà mandato al governo di espropriare e redistribuire le proprietà improduttive. Dal 1988 il Mst ha messo in atto una strategia basata sull’occupazione delle terre, poi trasformate in espropriazioni da parte del National Institute for Colonization and Agrarian Reform (Incra), un’agenzia pubblica con l’autorità di espropriare e redistribuire la terra incolta. Negli anni Novanta, il Mst è cresciuto rapidamente, guadagnando un largo consenso nella società brasiliana e diventando uno dei movimenti di base più importanti al mondo. 

La ricerca sul ruolo dei “sem terra”

Il mio studio analizza quale ruolo abbia il Movimento dei sem terra sugli incentivi a investire. La dinamica sociale del Mst crea un vulnus per i latifondisti per cui si può distinguere tra diritti di proprietà sulle terre coltivate (diritto pieno e garantito dalla Costituzione brasiliana) e diritti di proprietà sulle terre non coltivate, questi ultimi indeboliti dall’attività dei sem terra. Il paper, utilizzando la tecnica difference-in-difference che permette di confrontare le municipalità con o senza occupazioni dei sem terra, testa come gli investimenti sulle terre incolte sono influenzate da una relativa insicurezza dei diritti di proprietà (dovuta ai sem terra). 

Il risultato è significativo: minor sicurezza sulle terre incolte porta a maggiori investimenti sulle terre medesime. Non sappiamo se i maggiori investimenti siano dovuti all’intervento di nuovi coltivatori occupanti oppure agli investimenti dei latifondisti che non vogliono farsi occupare la terra. Tuttavia, possiamo ipotizzare che entrambe le componenti abbiano influito sull’aumento della terra coltivata, misurato empiricamente. Il meccanismo attraverso cui un proprietario terriero è spinto a investire sulle terre incolte quando su queste la sicurezza dei diritti di proprietà è indebolita è proposto in un modello teorico elaborato in precedenza ed è il background teorico di cui si testano le previsioni attraverso i dati sui sem terra. C’è infatti la possibilità che gli investitori abbiano preferenze non iperboliche ma “present-biased”, cioè affette da una preferenza per l’immediata gratificazione, nello spirito di O’Donoghue e Rabin (1999). Quando un investitore ha preferenze present-biased, può rimandare o addirittura procrastinare (rimandare continuamente senza mai farlo) un investimento profittevole sulla terra. Il mio lavoro dimostra che indebolire i diritti di proprietà sulle terre incolte non tocca gli incentivi dell’investitore con preferenze iperboliche (che comunque fa sempre un investimento profittevole) mentre può spingere un investitore “present-biased” a sopportare un costo dell’investimento che altrimenti eviterebbe per via delle sue preferenze per l’immediata gratificazione. 

Molta ricerca andrà fatta su questo tema per capire quanto questi risultati possano essere generalizzati ad altre situazioni e quanto la teoria dei property rigths debba essere rivista alla luce di questi risultati empirici. 

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  1. Gentile Autore,
    è ben asfissiante la campagna pro-Agenda 2030 in cui “non avreTE nulla”, ovvero chi l’afferma conta d’aver tutto. Non siamo così polli in media, almeno non tra i lettori de LaVoce.info.

    L’economia fiorisce col Distributismo e muore col nazismo, ovvero oggi con la Public Choice Theory altrimenti tradotta in “Corporatocrazia”.

  2. Quanto è replicabile questo meccanismo in contesti diversi da quello brasiliano?

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