Crisi dei debiti sovrani e pandemia hanno influito sui divari di reddito e di benessere tra territori, in Italia come in Europa. Le direttrici sono però diverse rispetto al passato. Per esempio, da noi le aree deboli non sono più solo quelle meridionali.
La coesione tra territori europei
L’ultima Relazione annuale della Banca d’Italia riassume in due riquadri (a pag. 51 e a pag. 153) i mutamenti del nostro dualismo territoriale: pur con i miglioramenti della posizione relativa del Mezzogiorno, permangono gravi debolezze del contesto istituzionale, temi ai quali la Relazione sul 2021 aveva dedicato un ampio approfondimento monografico.
In Europa, invece, l’evoluzione di medio-periodo della convergenza territoriale è documentata nel Nono Rapporto sulla coesione sociale e territoriale diffuso della Commissione europea nel 2024, a vent’anni dall’allargamento dell’Unione. Il Rapporto sottolinea che la convergenza ha seguito traiettorie disomogenee: alla brillante performance dei paesi dell’Europa orientale di più recente ingresso si è contrapposto il ripiegamento di territori mediterranei, strutturalmente fragili, ma anche di quelli mitteleuropei, che risentono della “trappola dello sviluppo intermedio”.
Dati territoriali aggiornati da Eurostat nel 2025 per il decennio 2014-2023/2024 (quello successivo alle due crisi finanziarie) consentono di caratterizzare lo stato della convergenza nei redditi medi nell’Europa a 27 alla scala regionale (Nuts-2 della nomenclatura europea) e provinciale (Nuts-3).
Nelle figure 1 e 2 sono presentate in forma grafica la correlazione fra il livello del reddito (Pil) per abitante di inizio periodo (in ascissa) e la sua dinamica media nel decennio seguente (in ordinata), misurata secondo le due disaggregazioni indicate. La “nuvola” delle osservazioni può essere utilmente ripartita in quattro quadranti, separati dai valori medi (e mediani) di ciascuno dei due indicatori correlati (si tratta delle bisettrici).
In linea con le attese del consolidato paradigma del catching up, che vede le aree in ritardo crescere più velocemente di quelle inizialmente già avanzate, il 65-70 per cento delle circa 240 coppie di osservazioni al livello Nuts-2 e delle circa 1.200 in Nuts-3 si collocano nei quadranti di Nord-Ovest e di Sud-Est dei diagrammi.
La disposizione “diagonale” è colta dalle interpolanti logaritmiche, che riflettono la maggiore densità dei cluster “in convergenza” e di quelli “economicamente maturi” rispetto ai territori prigionieri della “trappola dello sviluppo” e, specularmente, delle “aree superstar” (secondo la terminologia usata da Istat in un focus del 2023).
In buona sostanza, chi partiva con un handicap (soprattutto le regioni della ex “cortina di ferro”) ha accelerato il passo, chi aveva raggiunto alti livelli di benessere lo ha rallentato (gran parte dell’Europa continentale). Per esemplificare, nelle aree Nuts-3 “in convergenza” (NW) ricade la quasi totalità della popolazione polacca; in quelle “mature” (SE) il 60-65 per cento di quella tedesca e francese.
Più delle (relativamente) poco numerose eccellenze del Nord-Est “cartesiano” (si tratta di regioni irlandesi e olandesi), è utile soffermarsi sui territori che potremmo tecnicamente definire come gli “sfigati del Sud-Ovest”: aree che pur partendo da modesti livelli di benessere non hanno saputo recuperare gli svantaggi iniziali.
Limitandoci ai principali membri dell’Unione a 27, nel gruppo di SW troviamo il 14 per cento della popolazione tedesca e il 32 di quella francese, contro il 44 per cento della popolazione italiana e il 57 di quella spagnola (dati 2022, disaggregazione Nuts-3: le quote della griglia Nuts-2 sono lievemente inferiori in 3 casi su 4; tabella 1).
Si tratta di territori con densità di popolazione pari a circa la metà dei totali nazionali e con una crescita demografica molto contenuta, che diviene addirittura negativa nel caso italiano; nel 2023 il reddito medio per abitante di questo insieme non superava il 56 per cento del livello del gruppo più ricco.
La situazione in Italia
Il quadrante che arranca include nove delle nostre ventuno regioni (alle sette del Mezzogiorno si aggiungono Umbria e Marche, la cui posizione relativa era regredita nelle allocazioni finanziarie dell’ultimo ciclo di programmazione dei Fondi strutturali) e ben 59 delle 107 province: non solo 37 delle 38 meridionali (con l’unica eccezione di Siracusa) ma anche 8 del Nord (su 47) e ben 14 (su 22) del Centro Italia (4 toscane, 4 marchigiane, le 2 umbre e 4 laziali, con la prevedibile eccezione dell’area della capitale).
Il quadro descritto potrebbe peccare di pessimismo: i dati Eurostat non incorporano ancora la revisione contabilità nazionale che ha comportato una significativa rivalutazione del Pil e della produttività dell’ultimo triennio, come segnalato in una recente analisi del “Mulino”.
In ogni caso, preoccupano persistenza, numerosità ed estensione delle aree in ritardo di sviluppo in Italia, che indeboliscono la coesione del paese. Ci si deve augurare che con il Pnrr e con il prossimo bilancio europeo che dovrà coniugare obiettivi di competitività e coesione territoriale, domani, si possa invertire l’inerzia.
Figura 1 – Territori Nuts-2: correlazione fra il tasso composto medio annuo di variazione percentuale (anni 2014-23) e livello del Pil per abitante (in euro; anno 2014) nei territori dell’Ue-27
Fonte: elaborazioni su dati Eurostat
Figura 2 – Territori Nuts-3: correlazione fra il tasso composto medio annuo di variazione percentuale (anni 2014-23) e livello del Pil per abitante (in euro; anno 2014) nei territori dell’Ue-27
Fonte: elaborazioni su dati Eurostat
Tabella 1 – Popolazione residente nei quadranti dei grafici 1 e 2 (anno 2022; quote percentuali dei totali nazionali)
Fonte: elaborazioni su dati Eurostat
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Kim ALLAMANDOLA
Personalmente preferisco una lettura razionalista più che una numerica, ovvero speculare sul fenomeno: in UE abbiamo un livello di rapina fiscale asfissiante per cui chi può prende residenze o pure passaporti di paradisi fiscali e in UE ha solo società che sono parzialmente rapinate ma assai meno della classe media, questo fa si che i grandi capitali non compaiano granché negli Stati UE essendo scappati in particolare dalle rapine di successione, perché nessuno lavora sodo se non potrà lasciare il 99% ai figli o ai coniugi almeno. Se si comprende un minimo il mondo giustamente si vuol tutelare il patrimonio di famiglia. Un’altra parte è il declino inevitabile dell’industria che avendo largamente cessato da decenni ricerca e sviluppo sostanziali e demolito la selezione universitaria e scolastica oggi è al fallimento di fronte alla Cina che ricerca e sviluppo ancora fa, unito alla mancanza di energia perché l’UE o si accorda con l’EEU o non ha energia per produrre né materie prime. Chi lavora quindi con l’industria ha redditi a picco perché questa delocalizza per forza di cose. Partono gli alti redditi, si perdono i redditi dei lavoratori qualificati, eh, i professionisti non possono granché star bene, perché non sta bene la loro clientela e via di conseguenza. Questa è la diversificazione del collasso UE.
La soluzione che abbiamo è far finire la rapina fiscale ammettendo che la base monetaria deve essere gestita secondo risorse naturali e umane non secondo agenda di sviluppo privata della cleptocrazia, ammettere che l’UE deve unirsi all’EEU mollando le talassocrazie che la spolpano da tanto tempo e seguire il Club di Roma che ha da pochissimo ammesso implicitamente l’impossibilità del modello nazista/neoliberista lasciando un “serve altro” [1] ebbene l’altro che serve è il Distributismo, che oggi è possibile grazie al digitale (telelavoro, pianificazione ecc) e che è la via per implementare il new deal. La tecnologia da sempre caratterizza la società, piaccia o meno alle classi dirigenti.
[1] https://www.clubofrome.org/wp-content/uploads/2025/05/Transforming-the-Built-Environment.pdf
Savino
Allora, perchè ci sono stati 30-35 anni di austerity in Europa ed in Italia, che hanno fatto macelleria sociale sia nelle aree storicamente depresse che in quelle che avevano un benessere e si sono depresse a loro volta? I Governi tecnici o pseudo tali in Italia (Amato I e II, Ciampi, Dini, ci metterei anche Prodi I e II, leader tecnico del centrosinistra, ci metterei anche Berlusconi I, II, III e IV, che fu leader del partito-azienda, Monti e Draghi) hanno tagliato linearmente fino all’ultimo centesimo, fino a raschiare il fondo del barile, sulla spesa sociale e sugli investimenti futuri, impedendo a questo Paese e ai suoi territori di crescere e di essere competitivo. Monti disse che dovevamo risparmiare sui lampioni dell’illuminazione pubblica, che eravamo proprio un Paese alla frutta stile Venezuela o anche peggio. Draghi idem con patate, poi ci viene a dire adesso che dobbiamo fare tutto il necessario per creare debito comune 10 volte all’anno superiore al PNRR per poi spenderlo. Gia’ ci siamo giocati a poker i 220 mld. circa del PNRR (molti debiti rimandati al futuro) con progetti ridicoli che non aiuteranno la next generation, non rispetteranno l’uguaglianza di genere, non rispetteranno i principi DNSH, non ci renderanno resilienti. E’ ora che si tappino la bocca e comincino a frequentare i giardini sotto casa anche certi personaggi legati alla materia economico-finanziaria-governativa che hanno fatto il nostro male e non il nostro bene.