La Corte costituzionale suona la sveglia per le cooperative

La Corte costituzionale ha ribadito il ruolo fondamentale delle cooperative anche nell’attuale sistema socio-economico. Per svolgerlo devono però aprirsi a riferimenti culturali nuovi, capaci di attrarre verso questa forma di impresa i più giovani.

La sentenza della Consulta

La Corte costituzionale è di recente intervenuta (sentenza n. 116/2025) sul sistema della vigilanza amministrativa sulle cooperative, dichiarando l’illegittimità di una delle misure che ne costituiscono l’apparato sanzionatorio. In realtà, la pronuncia è stata l’occasione per ripercorrere la dimensione costituzionale del fenomeno cooperativo, con una ricostruzione che in alcuni passaggi coglie l’eco delle parole dell’intervento del Presidente della Repubblica alla Biennale dell’economia cooperativa nell’ottobre 2024 a Bologna.

La Corte afferma che la cooperativa rappresenta “una forma avanzata di impresa anche in sistemi socialmente evoluti, che non è surrogabile dal nuovo fenomeno delle società benefit che perseguono, nell’esercizio dell’attività d’impresa, oltre allo scopo di lucro, anche una o più finalità di beneficio comune, funzionale a determinare un impatto responsabile, sostenibile e trasparente sulle persone, sull’ambiente e sulla società. A contraddistinguere l’impresa cooperativa sono, infatti, elementi del tutto peculiari: la mutualità, che ne costituisce la missione fondante, ricollegandosi ai principi di solidarietà e di sussidiarietà orizzontale, e la democraticità, che ne informa il modello di governance” e anche la sua dimensione di sostenibilità perché “accantonando nel patrimonio sociale risorse necessariamente sottratte al godimento dei soci, si configurano come enti di creazione di ricchezza intergenerazionale”.

Un modello da ripensare

La Corte, tuttavia, non si limita alla mera ricostruzione, ma mette “i piedi nel piatto” e sottolinea che “oggi il modello cooperativo sta attraversando una grave crisi, attestata dal tasso di crescita ormai da alcuni anni costantemente negativo, a dispetto di quello del totale delle imprese, che, escluso il periodo pandemico, è positivo”. La triste conclusione è “il modello cooperativo non sembra attirare più come forma di impresa”.  

In effetti, i dati citati dai giudici costituzionali, parlano di una cooperazione la cui presenza reale nell’economia mantiene un fortissimo presidio, legato però a una sempre più ristretta base di imprese “storiche” (si pensi alla cooperazione di consumo) e che manifesta difficoltà a essere scelta per avviare nuove attività.

L’interpretazione della Corte è che a “(…) determinare tale fenomeno, rilevato negli ultimi anni, concorrono senza dubbio plurimi fattori ma tra questi riveste un ruolo anche l’assetto legislativo, nel quale, a fronte della perdita di peso dei vantaggi fiscali, sono state introdotte normative non particolarmente incentivanti per questa tipologia di impresa”, prevedendo e disciplinando, nel contempo “altre tipologie societarie, in particolare le società a responsabilità limitata semplificate e le società benefit in forma di società di capitali. In questi termini, la legislazione stenta a favorire realmente l’«incremento» della cooperazione «con i mezzi più idonei» secondo il mandato dell’art. 45 Cost. (…)”.

È un richiamo molto forte a una rivalutazione del dettato costituzionale e a politiche legislative che promuovano il modello cooperativo, così da contribuire a renderlo (più) competitivo con gli altri tipi societari, ma questo non basta perché ci sono altri fattori che determinano le criticità di questo modello.

C’è innanzitutto la necessità di riferimenti culturali nuovi, che raccontino la cooperativa in una chiave attuale: i Pionieri di Rochdale (i fondatori della prima cooperativa di consumatori nel 1844) forse non parlano più lo stesso linguaggio delle generazioni che oggi si avvicinano all’impresa, che pure guardano alla socialità e alla sostenibilità. La strada può essere allora quella di creare originali forme cooperative in grado di intercettare anche bisogni sempre più diversificati: energia, dati, cultura, protezione sociale e nuove forme di lavoro, utilizzando come piattaforme di sviluppo anche le cooperative già esistenti. Queste devono avere però la forza di aprirsi a nuove prospettive di valorizzazione dello scambio mutualistico e soprattutto di revisione dei sistemi di governance ispirati ai principi di democraticità e partecipazione

Insomma, la sveglia della Corte suona per il legislatore, ma non solo per lui. 

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  1. Savino

    Ma si conosce cos’è la sussidiarietà orizzontale in Italia? Si sa che è prevista dalla Costituzione?

  2. Mario Viviani

    Non la sapevo questa della Corte costituzionale, ma non si può che considerarla giusta. Convengo parecchio anche sui commenti e, in particolare, sull’accoppiata “politiche legislative che promuovano il modello cooperativo” e “utilizzando come piattaforme di sviluppo anche le cooperative già esistenti”, che mi paiono le due piste principali da battere (in particolare la seconda).
    Però, qualche consapevolezza in più del significato di Rochdale non farebbe male, se l’intenzione è anche quella di produrre “riferimenti culturali nuovi, che raccontino la cooperativa in una chiave attuale”. Il fatto è che i riferimenti nuovi hanno pur sempre bisogno di consapevolezza storica, sennò la misura del nuovo, senza parametri di riferimemento, rischia di essere un modo di dire.

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