I data center necessari allo sviluppo e al funzionamento dell’intelligenza artificiale consumano grandi quantità di elettricità e acqua: una sfida per la decarbonizzazione. Per l’Italia possono essere un’opportunità, se la concentrazione non è eccessiva.
Tanta elettricità per l’intelligenza artificiale
Sempre più azioni dell’uomo contemporaneo, in sempre più parti del mondo, generano e consumano dati digitali: anche scrivere, pubblicare e leggere questo breve articolo. A una dinamica che pare inarrestabile – si pensi solo ai mass media tradizionali che inseguono e si appoggiano sui più o meno nuovi media social – di recente si è aggiunta l’ascesa dell’intelligenza artificiale. Da qui l’avvento di una nuova infrastruttura computazionale massiva, i data center; da cui l’IA, ma anche più in generale la circolazione di dati, dipendono.
Un’infrastruttura rappresenta anche un nuovo consumatore di energia. I sistemi di IA, infatti, richiedono enormi risorse computazionali in due fasi cruciali: l’addestramento, durante il quale gli algoritmi analizzano milioni di esempi per apprendere pattern nei dati, e l’inferenza, ovvero l’utilizzo operativo del modello addestrato. Secondo l’Electric Power Research Institute (Epri), le query (le richieste) di IA richiedono circa dieci volte più elettricità rispetto alle tradizionali ricerche web (2,9 wattora contro 0,3 wattora).
Attualmente, le applicazioni di IA utilizzano il 10-20 per cento dell’elettricità dei data center statunitensi, ma la percentuale è in rapida crescita. Secondo il report “Energy and AI” dell’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), la capacità totale installata dei data center globali passerà dagli attuali 97 GW a 226 GW nel 2030, con un consumo energetico che aumenterà dai 416 TWh del 2024 ai 946 TWh del 2030. E oltre a essere energy-intensive, i data center sono anche water-intensive: i sistemi di raffreddamento dei server richiedono grandi quantità di acqua per operare correttamente.
Una nuova sfida per la decarbonizzazione
Le emissioni indirette associate al consumo elettrico dei data center ammontano oggi a 180 milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO₂) e rappresentano lo 0,5 per cento delle emissioni globali da combustione. Nello scenario base dell’Iea, potrebbero raggiungere il picco dell’1 per cento intorno al 2030.
Figura 1 – Power Usage Effectiveness (Pue) medio dei data center nel mondo (2007-2024)

L’efficienza energetica di un data center si misura tramite l’indicatore del Power Usage Effectiveness (Pue), che rappresenta il rapporto tra l’energia totale consumata da una struttura di data center e l’energia fornita specificamente alle sue apparecchiature It. Il valore Pue ideale, uguale a 1, indicherebbe che tutta l’energia che entra nella struttura venga utilizzata esclusivamente dalle apparecchiature informatiche, valore impossibile da raggiungere visti i sistemi accessori di cui deve disporre un data center, ma a cui ci si può avvicinare. Infatti, i centri tradizionali operano in genere con valori di Pue compresi tra 1,8 e 2. Le strutture moderne, altamente ottimizzate, riportano valori più bassi: i fornitori di cloud su larga scala mostrano medie Pue a livello di flotta intorno a 1,10-1,12.
Le aziende del settore stanno adottando strategie di decarbonizzazione ambiziose: i principali provider cloud puntano alle zero emissioni nette entro il 2030-2040. Le strategie includono l’acquisto di certificati di energia rinnovabile (garanzie d’origine) e power purchase agreement (Ppa) per energia pulita. Finora a livello globale, quasi 120 GW di capacità rinnovabile operativa sono stati acquisiti tramite Ppa aziendali, con le aziende tecnologiche che rappresentano oltre il 30 per cento di questa capacità.
Negli Stati Uniti si concentra il 75 per cento della capacità operativa di Ppa per rinnovabili degli operatori di data center, mentre l’Europa rappresenta il 20 per cento. Molti operatori stanno esplorando contratti 24/7 Cfe (carbon free energy) per garantire un accoppiamento orario tra produzione rinnovabile locale e consumo del data center, sebbene questi accordi rimangano economicamente complessi.
Il caso italiano: invasione o concentrazione?
L’Italia ha vissuto una decisa accelerazione nella costruzione di data center negli ultimi due anni. La provincia di Milano è un centro nevralgico, perché ospita 58 dei 169 data center totali presenti nel territorio nazionale a inizio 2025, seguono Roma con 19 strutture e Torino con 10.
Attualmente, la maggior parte dei data center italiani è collegata alla rete di media e bassa tensione, dato il calibro contenuto degli impianti. Tuttavia, il trend globale verso data center di maggiori dimensioni (100-1.000 MW, equivalenti al carico di 80mila-800mila abitazioni) si vede anche nel nostro paese.
Figura 2 – Richieste di connessione alla rete di trasmissione nazionale (Rtn) fino a maggio 2025 (in GW)

Le richieste di connessione alla rete elettrica italiana mostrano una crescita che pare inesorabile: fino a maggio 2025, le richieste totali raggiungevano i 44 GW, con l’80 per cento concentrato nel Nord-Ovest e il 60 per cento nella sola Lombardia (circa 26,2 GW, 188 pratiche). La provincia di Milano domina con quasi 13 GW di potenza richiesta, ovvero il 49,3 per cento delle richieste lombarde in termini di potenza.
Secondo Terna, sono attualmente in esercizio quattro data center collegati alla rete di alta tensione. Con gli 800 MW di connessione autorizzati, si verificherebbe un aumento del 400 per cento delle connessioni alla rete di trasmissione nazionale. La maggior parte delle nuove richieste (42 per cento) rientra nell’intervallo 50-100 MW, con una taglia media in continuo aumento.
Dove localizzarli?
Va altresì detto che in generale e anche nel nostro paese gli investimenti in data center si inseriscono in una messe di investimenti in infrastrutture elettriche di ogni tipo. La domanda aggiuntiva dei data center, come già ravvisato da alcuni esperti, più che una minaccia sarebbe un’(utile) opportunità in ragione di una domanda di energia stabile, prevedibile e nativa elettrica e di un carico rinnovabile che può rafforzare la produttività degli investimenti in energie rinnovabili, reti e accumuli.
A nostro avviso, tuttavia, la questione della (eccessiva) concentrazione sta già manifestando criticità nei territori ospitanti (le prime contestazioni) e sulla rete elettrica: crediamo meriti una specifica attenzione, anche in termini di indirizzi politici.
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Savino
Nessuno dice la verità, cioè che l’IA inquina e spreca energia!
Bisognerebbe passare da forme di distribuzione collettiva del servizio energia ad una distribuzione individuale, che metta in risalto il ciclo produzione-consumo, in cui ognuno, sulla base delle proprie necessità, si avvale di una specifica fonte propria, senza intaccare le riserve altrui.