Nel 2024 in Italia il numero di lavoratori con più di un lavoro è sceso per la prima volta sotto l’1 per cento. Tra le grandi economie è il valore più basso. L’identikit di chi ha più probabilità di svolgere lavori multipli riserva qualche sorpresa.

Un trend in discesa

La narrazione sulla precarietà del mercato del lavoro italiano richiama spesso l’immagine di lavoratori costretti a svolgere più occupazioni per arrivare a fine mese. I dati Istat raccontano però una storia diversa: nel 2024 l’Italia ha registrato uno dei valori più bassi di sempre nella quota di dipendenti che dichiarano di avere un secondo lavoro. 

Come mostra la figura 1a, ricavata dai microdati dell’Indagine sulle forze di lavoro, nel 2024 solo lo 0,8 per cento dei lavoratori dipendenti si trovava in questa condizione, meno della metà rispetto all’1,7 per cento del 2008, quando, peraltro, il numero complessivo di occupati era sensibilmente inferiore. L’Italia si colloca così al livello più basso tra le grandi economie dell’Unione europea e al terzo più basso in assoluto (figura 2b). 

Degno di nota è anche l’andamento nel tempo: fino al 2019 l’indicatore si è mosso in maniera sostanzialmente pro-ciclica, diminuendo durante la crisi e risalendo – seppure debolmente – con la ripresa. Gli anni post-pandemici hanno invece segnato una rottura dello schema: nonostante l’espansione del ciclo economico, la quota di lavoratori multi-occupati è calata in modo significativo.

Un identikit dei lavoratori multi-occupati

Chi sono, dunque, questi (pochi) lavoratori con più di un’occupazione? Per rispondere osserviamo le caratteristiche che aumentano la probabilità di far parte del gruppo, sulla base di un semplice esercizio di regressione logistica. I risultati, riportati nella figura 2a, si leggono così: di quanto si accresce la probabilità di essere multi-occupati quando si appartiene a una determinata categoria, a parità di tutte le altre condizioni. Il fattore più rilevante è la natura part-time del lavoro principale: in questo caso la probabilità cresce di oltre 3 punti percentuali, un aumento significativo se si considera che il valore medio nella popolazione si attesta sotto l’1 per cento. Più esposti alla multi-occupazione risultano anche gli uomini, gli stranieri e i lavoratori di età intermedia, tra i 30 e i 50 anni.

Uno sguardo più approfondito viene dalla relazione (sempre nel contesto della stessa regressione logistica) con il gruppo occupazionale di partenza, riportata nella figura 2b. Rispetto ad artigiani e operai specializzati – il principale gruppo dei colletti blu – risultano avere una maggiore probabilità di essere multi-occupati sia i lavoratori delle professioni intellettuali, scientifiche e ad alta specializzazione, sia quelli delle professioni non qualificate. Il fenomeno dei lavori multipli, quindi, non sembra legato né al mondo operaio né a quello impiegatizio, ma piuttosto ai due estremi della scala della specializzazione nel mercato del lavoro.

Un giudizio più sfumato  

I numeri presentati smentiscono quindi l’immagine di un mercato del lavoro “precario”, dove i lavoratori sarebbero costretti a moltiplicare le occupazioni per arrivare a fine mese. Il giudizio complessivo sul calo della quota di multi-occupati è però più sfumato: avere più lavori non è necessariamente un segnale negativo. In paesi con condizioni occupazionali e livelli di benessere considerati superiori a quelli italiani – come Olanda, Svezia o Danimarca – la diffusione della multi-occupazione è infatti molto più elevata. In questo senso, il fenomeno può essere interpretato anche come un margine di flessibilità a disposizione dei lavoratori e come una modalità di ulteriore creazione di reddito.

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