Numeri e statistiche dicono che le disuguaglianze di genere restano ampie. E i cittadini che percezione ne hanno? Per molti è un problema “serio”. Ma uomini e donne ne valutano la gravità in modo diverso. Come favorire un autentico cambiamento culturale.

L’Italia a confronto con l’Europa

Nonostante decenni di progressi e leggi a tutela delle donne, in Italia le disuguaglianze di genere restano una sfida irrisolta. Non si tratta solo di numeri e statistiche, ma anche di come le disparità vengono percepite e vissute nella vita quotidiana. Comprendere insieme la realtà dei dati e la percezione della società è essenziale per individuare politiche efficaci e favorire un autentico cambiamento culturale.

Secondo l’ultimo Gender Equality Index 2024 pubblicato dall’Eige (European Institute for Gender Equality), l’Italia si colloca al 14° posto su 27 paesi dell’Unione europea, con un punteggio complessivo di 69,2 su 100, leggermente inferiore alla media europea. 

L’indice misura la parità di genere in sei ambiti chiave: lavoro, denaro, conoscenza, tempo, potere e salute. Il nostro paese ottiene buoni risultati in salute e accesso alle risorse finanziarie, ma resta indietro in istruzione e partecipazione al mercato del lavoro, dove i divari di genere sono più marcati. Secondo l’Istat, a settembre 2025 il tasso di inattività femminile (nella fascia di età 15-64 anni) supera di quasi 18 punti percentuali quello maschile: 42 per cento per le donne, 24,2 per cento per gli uomini. 

Anche la rappresentanza politica rimane limitata: meno di un terzo dei membri delle istituzioni italiane sono donne, in un contesto europeo in cui la presenza femminile tende a diminuire.

Infine, il divario nel lavoro domestico e di cura resta profondo: due donne su tre si occupano quotidianamente di figli, anziani o persone con disabilità, mentre solo un uomo su quattro svolge le stesse attività. Le donne continuano inoltre a dedicare più tempo alla gestione della casa, mentre gli uomini vi contribuiscono in misura minore.

Ma come la realtà è percepita dagli italiani?

Quale percezione hanno però gli italiani del problema? Una recente ricerca dell’Università di Pavia – Inequality between Reality and Perception – prova a rispondere a questa domanda. Uno studio di Kulic et al (2025) ha coinvolto oltre 12mila persone in tutta Italia, con l’obiettivo di analizzare come i cittadini percepiscono le diverse forme di disuguaglianza, comprese quelle di genere. Sulla base di questi dati, in un nostro lavoro mostriamo come uomini e donne abbiano percezioni significativamente diverse. Solo il 12 per cento delle donne ritiene che uomini e donne siano trattati in modo equo, contro il 31 per cento degli uomini. L’86 per cento pensa che le donne siano svantaggiate, una convinzione condivisa solo dal 62 per cento degli uomini. Anzi, una piccola ma significativa quota di loro – il 7 per cento– crede invece che siano gli uomini a essere penalizzati, contro appena il 2 per cento delle donne. 

Le differenze emergono anche nella valutazione della gravità del problema: il 23 per cento delle donne considera la disuguaglianza di genere un problema “molto serio”, rispetto al 13 per cento degli uomini. Tuttavia, la maggioranza di entrambi i gruppi riconosce che si tratta di una questione “abbastanza seria”. Guardando all’evoluzione nel tempo, gli uomini appaiono più ottimisti: il 39 per cento ritiene che le disuguaglianze di genere siano diminuite negli ultimi dieci anni, contro il 32 per cento delle donne. Al contrario, il 18 per cento delle donne percepisce un aumento delle disuguaglianze, rispetto al 14 per cento degli uomini. Infine, sul piano territoriale, oltre la metà dei cittadini ritiene che la situazione nella propria regione sia simile a quella del resto del paese, segno di una percezione diffusa di uniformità del fenomeno.

Nel complesso, questi dati rivelano come le persone tendano spesso a sottovalutare l’entità delle disuguaglianze o a percepirle in modo diverso a seconda del genere. Gli uomini tendono a considerarle meno gravi, mentre le donne le vedono come più rilevanti e urgenti. Inoltre, più della metà degli italiani pensa che la situazione nella propria regione sia simile a quella nazionale, dimostrando una percezione di uniformità nel problema.

Perché le percezioni contano

Le percezioni sociali non sono un semplice riflesso della realtà: influenzano direttamente l’efficacia delle politiche pubbliche. Quando la popolazione sottostima l’entità delle disuguaglianze, diventa più difficile costruire consenso e sostegno per interventi strutturali.

I risultati della ricerca mostrano che, pur riconoscendo in larga parte la disuguaglianza di genere come un problema serio o abbastanza serio, uomini e donne ne valutano la gravità in modo diverso. Le donne tendono più degli uomini a considerarla una questione prioritaria.

Queste differenze percettive hanno conseguenze concrete: se una parte della popolazione – uomini o donne che siano – ritiene che la parità sia ormai raggiunta, l’urgenza di intervenire si riduce. Al contrario, una maggiore consapevolezza del problema, più diffusa tra le donne ma condivisa anche da molti uomini, può diventare un motore di cambiamento. Quando questa sensibilità sociale si accompagna a politiche pubbliche coerenti e inclusive, si crea un terreno fertile per progressi reali verso una società più equa per tutti. Tuttavia, la ricerca mostra che le preferenze e le convinzioni sulle disuguaglianze tendono a restare stabili, anche di fronte a nuovi interventi. Per questo motivo, le politiche e gli interventi devono essere pensati con attenzione, basandosi su evidenze e strategie capaci di generare un impatto reale.

Verso un cambiamento culturale

Per costruire un’Italia più equa non basta approvare leggi o raccogliere dati: serve un cambiamento profondo nei comportamenti e nelle mentalità. Le campagne di sensibilizzazione si dividono in due principali tipologie. Alcune mirano a far comprendere la reale portata dei problemi, come le iniziative contro la violenza di genere promosse dal Dipartimento per le pari opportunità o i progetti delle forze dell’ordine per incoraggiare le denunce. Altre, invece, promuovono attivamente inclusione e diversità attraverso programmi educativi nelle scuole e nelle università, come i percorsi di educazione affettiva e al rispetto introdotti in molti istituti superiori o i corsi universitari dedicati alla parità di genere e ai diritti. 

Un esempio concreto è offerto dall’Università di Pavia, che promuove da anni iniziative di sensibilizzazione e momenti di confronto sulla violenza di genere, come seminari e corsi rivolti alle studentesse e agli studenti di tutti i dipartimenti. Analoghe iniziative dovrebbero essere potenziate anche su altri aspetti cruciali della posizione delle donne nella società, come la disparità salariale, la scarsa rappresentanza nei ruoli decisionali e la condivisione del lavoro di cura.

Solo un impegno comune, fondato su conoscenza, consapevolezza e politiche coraggiose, può completare la rivoluzione incompiuta della parità di genere. Perché un’Italia in cui donne e uomini abbiano davvero le stesse opportunità non è un sogno di giustizia sociale, ma la premessa indispensabile per il futuro del paese.

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