Il Pnrr ha destinato alla scuola risorse ingenti per ridurre la dispersione e i divari territoriali. I dati Invalsi ci dicono che il miglioramento non c’è stato. Sarebbe necessaria un’analisi accurata di quanto è stato fatto e dei risultati ottenuti.
Risultati Invalsi deludenti nelle scuole superiori
I dati delle prove Invalsi del 2025 indicano in tutta Italia un lieve peggioramento dei risultati al termine delle scuole superiori, abbastanza in linea con gli andamenti degli ultimi anni: “In italiano il 52 per cento degli studenti (erano il 56 per cento nel 2024, il 51 per cento nel 2023, il 52 per cento nel 2022 e nel 2021, il 64 per cento nel 2019) raggiunge almeno il livello base (dal livello 3 in su). In matematica il 49 per cento degli studenti (erano il 52 per cento nel 2024, il 50 per cento nel 2023, nel 2022 e nel 2021, il 61 per cento nel 2019) raggiunge almeno il livello 3”.
Anche per il secondo anno delle superiori il numero di studenti che si attestano almeno al terzo livello (livello base) è calato nel dopo Covid e non accenna a migliorare.
Eppure, negli ultimi tre anni alle scuole sono arrivate specifiche risorse Pnrr dedicate al recupero degli studenti più fragili, o a rischio di fragilità, quelli cioè che faticano a ottenere risultati sufficienti nelle competenze di base.
Per cosa è stato impiegato il Pnrr
Escluse le risorse finalizzate all’edilizia, gestite dagli enti locali, il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha assegnato direttamente alle scuole importanti finanziamenti, sostanzialmente dedicati ad acquisti di dispositivi digitali (linea denominata “Scuola 4.0: scuole innovative, cablaggio, nuovi ambienti di apprendimento e laboratori”), da realizzare entro il 2023 ma ancora non rendicontabili, attraverso i due filoni Class e Labs: il primo destinato a tutte le scuole, il secondo ai laboratori delle superiori. In un lasso di tempo di circa sei mesi, le scuole hanno dovuto progettare in modo coerente e finalizzato spese mediamente di qualche centinaio di migliaia di euro, appaltarle, riceverle e collaudarle. Ovviamente, con la loro richiesta, hanno saturato il mercato e si sono trovate in posizione decisamente difficile nell’ottenere buoni preventivi e tempi di consegna ragionevoli.
La chiusura di questi progetti non è ancora attivata e non risultano informazioni pubbliche sulla percentuale di spesa realizzata, rispetto alle risorse assegnate.
L’investimento sui percorsi dedicati agli studenti
Altre ragguardevoli somme sono state assegnate per la formazione dei docenti e per azioni dirette sugli studenti, in ambiti Stem (science, technology, engineering and mathematics) o delle lingue straniere, ma soprattutto per percorsi dedicati agli studenti fragili o a rischio dispersione.
I decreti 170/2022 e 19/2024 hanno infatti distribuito complessivamente 1.250 milioni per progetti di attenuazione dei divari territoriali e per il contrasto alla dispersione esplicita o implicita (neologismo con cui si indica una conclusione dei percorsi scolastici caratterizzata però da insufficienti conseguimenti di competenze).
Nella prima fase, 500 milioni delle risorse finalizzate alle fragilità e alla prevenzione di abbandoni scolastici nell’istruzione secondaria, sono stati riservati alle scuole svantaggiate di ogni regione in percorsi che si sono conclusi ormai quasi un anno fa. Poi – l’anno scorso – si sono aggiunti 750 milioni dedicati alla stessa finalità, ma distribuiti su tutte le scuole e la cui attuazione si è conclusa questa estate. A questi investimenti, si sommano i 600 milioni dedicati alle materie Stem in tutti gli ordini di scuola e i 150 milioni alle lingue straniere.
Questi gli stanziamenti: avere le idee chiare su quante risorse siano state realmente spese non è tuttavia facile.
Tutti i progetti sulla piattaforma “Futura”
Risorse e obiettivi sono stati assegnati alle scuole d’ufficio, senza alcuna decisione da parte loro né sulla partecipazione ai bandi né su quali richieste effettuare. Sebbene le risorse fossero assegnate “motu proprio” dal ministero, con obbligo di utilizzo, formalmente i progetti necessitavano dell’approvazione degli organi collegiali degli istituti scolastici: in alcuni casi, quegli organi non hanno ritenuto di doverlo fare, con conseguenti clamorosi conflitti di competenze.
I progetti delle scuole sono stati inoltrati tramite la piattaforma “Futura”, su cui sono state registrate le attività e su cui poi sarà resa la rendicontazione.
In itinere sono stati aggiunti molti vincoli e condizionalità che non erano previsti nelle originali “Istruzioni operative” e nell’“Atto di concessione” sottoscritto dalle scuole. Tempistiche ridotte, documentazioni ulteriori, tappe non preventivate sono state via via introdotte e le scuole le hanno apprese induttivamente da blocchi o postille che comparivano nella piattaforma. Richieste di documenti ulteriori relativi ad acquisti svolti due anni prima, check list intermedie e finali hanno sempre più complicato la gestione. L’assistenza, spesso in forte ritardo sulle istanze e questioni poste, ha mantenuto l’aplomb della lapalissiana ripetizione delle regole già illustrate, ma è stata di scarso aiuto nei casi dubbi concreti, soprattutto se richiedevano l’autorevolezza di una interpretazione autentica.
Allo stato attuale la piattaforma non prevede una rendicontazione finale inferiore al 90 per cento e dunque una definitiva valutazione sulla spesa non si prospetta né ovvia né immediata. Molte scuole, infatti, alla conclusione del periodo previsto per l’attivazione dei percorsi non avevano raggiunto quella percentuale e sono quindi impossibilitate ad accedere alla rendicontazione definitiva, pur avendo concluso i progetti.
Perché non si vedono miglioramenti?
Come è possibile che di fronte a un importante dispendio di energie finanziarie e, soprattutto, gestionali e organizzative non si sia visto alcun beneficio a livello dei risultati Invalsi, proprio nella fascia critica dei due livelli più bassi? C’è stato forse un beneficio che la specificità dei test Invalsi non è stata in grado di cogliere o misurare? Era forse necessario pensare a un sistema di valutazione più accurato che misurasse gli effetti degli interventi sul disagio sociale e cognitivo?
Nel documento ministeriale “Orientamenti per l’attuazione degli interventi nelle scuole” del 13 luglio 2022 i monitoraggi per le azioni antidispersione del Pnrr erano stati agganciati agli avanzamenti delle azioni e ai risultati attesi di carattere educativo-didattico. Nella formazione diretta alle scuole, nell’autunno del 2022, si prospettavano addirittura target connessi a miglioramenti oggettivi ottenuti nelle prove Invalsi dai beneficiari.
Dopo pochi mesi, alla fine dicembre 2022, le Istruzioni operative limitavano il target al computo degli attestati di completamento dei percorsi assegnati agli studenti, senza entrare nel merito dei risultati relativi agli apprendimenti.
In questo contesto, le scuole superiori e medie hanno organizzato percorsi per piccoli gruppi o di media entità, ma soprattutto percorsi di mentoring, orientamento e supporto di almeno dieci ore dedicati al singolo alunno fragile o a rischio di fragilità, in un rapporto uno a uno con l’esperto. Questa azione, di difficile realizzazione tenuto conto che non si trattava di una frequenza obbligatoria per lo studente, doveva coprire almeno il 30 per cento della risorsa complessiva assegnata dai decreti 170 e 19: quindi almeno il 30 per cento di 1.250 milioni, ovvero non meno di 10 milioni di ore da distribuire nella fascia più problematica dei circa 4 milioni di studenti potenzialmente interessati all’azione. Può sembrare un numero di ore irrilevante rispetto a quelle ordinariamente erogate, ma la presa in carico individuale e l’approccio erano decisamente innovativi, almeno sulla carta, rispetto alle usuali didattiche rivolte alla classe.
Mentre per gli acquisti di dispositivi digitali o la formazione degli insegnanti ci si possono ragionevolmente aspettare effetti differiti, i percorsi dedicati direttamente agli studenti dovrebbero avere effetti abbastanza osservabili e immediati sugli apprendimenti. E in effetti, chi opera nella scuola effettivamente riferisce di recuperi di competenze, maturazione nell’approccio allo studio, maggiore consapevolezza delle proprie difficoltà e delle strategie di rafforzamento del proprio impegno di studio, soprattutto riscontrati come esito dei percorsi individuali di mentoring e orientamento che prevedevano interventi uno a uno.
La valutazione necessaria
Tuttavia, perché una sperimentazione dia risposte a qualche tipo di domanda è necessaria un’analisi degli esiti, una valutazione dei punti di successo o di debolezza e del bilanciamento fra costi e benefici. Necessita di considerazioni di compatibilità su possibili strutturazioni permanenti delle innovazioni introdotte in via provvisoria.
Allo stato attuale, quindi, sarebbe lecito aspettarsi non solo lo sblocco del completamento formale dei progetti Pnrr, ma anche una seria analisi dei risultati delle azioni, soprattutto quelle rivolte agli studenti più a rischio, utilizzando non solo i dati degli Invalsi degli ultimi due anni, ma costruendo appositi indicatori di disagio sociale e cognitivo, tramite una indagine longitudinale che permetta una efficace leggibilità degli effetti ottenuti dagli interventi. Sarebbe importante che i risultati dei progetti Pnrr fossero analizzati e che convergessero nella riflessione e nel disegno delle politiche scolastiche. I continui annunci di novità relativi all’istruzione sembrano viceversa rispondere a logiche che poco hanno a che vedere con l’enorme sforzo svolto dalle scuole italiane. Appaiono anche poco inclini a valutarne i risultati e a procedere in funzione di questa riflessione.
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Laureata in filosofia e diplomata all’Accademia d’arte in Pittura, si è occupata di scuola come insegnante, assessore regionale in Umbria, con incarichi presso il Ministero dell’Istruzione e la Provincia di Trento. Adesso è dirigente scolastica.
Cura una rubrica sulla rivista “Prisma”, editorialista per il “T quotidiano”, collabora con Scuola e Formazione-web, ha scritto "Né creta, né pianta. Educare persone" ed .Giovani e Comunità locali
Kim ALLAMANDOLA
Mi domando come possano esserci risultati se il corpo docente di IT non sa nulla e NULLA vuole sapere. Se si è lasciato fare al privato che l’ha fatto per il suo interesse, quindi vendere qualcosa che poi permetta di mungere denaro ancora e ancora nel tempo, anziché imporre il FLOSS, il desktop, la sala macchina della scuola con coppia di tecnici almeno locali, gestione pubblica dell’infra su repository nazionali ecc.
Chi ha deciso di IT sa nulla, sa solo che si deve innovare. Chi ha ricevuto l’innovazione nulla sa e manco vuole innovare. Non può funzionare. Il solo modo è imporre un cambiamento drastico che forzi tutti a fallire o adeguarsi e nel caso le cose devono funzionare perché il fallimento non è possibile. La scuola ad es. dovrebbe vietare i libri commerciali, imporre una produzione interna (quindi almeno alcuni docenti, compensati per ciò che fanno dovrebbero imparare a scrivere nell’era presente, in persona), imporre la flipped classroom, per cui lo studio è individuale da remoto, a lezione ogni allievo parla di ciò che ha appreso e il docente locale con domande ben piazzate lo forza sulla strada giusta sondando e mostrando ciò che sa o meno, facendolo sbagliare e correggere da se, questo dalle medie almeno. Serve imporre la scrittura a computer, perché nella vita scriviamo a tastiera, non a penna, a penna si scarabocchiano solo appunti e sempre meno. Serve gettare basi per cui le scialuppe d’abbordaggio si rompono e o si conquista la nave bersaglio o si muore, solo così si avanza.
Pietro Della Casa
Quando leggo certe analisi mi chiedo come mai – da sempre – chi si occupa di scuola “nel discorso pubblico” sia così avulso dalla realtà.
I risultati dei test PISA sono in peggioramento praticamente ovunque in Europa, e non vedo come maggiori investimenti potrebbero significativamente cambiare questo trend (in ogni caso è noto che le due cose sperimentalmente non correlano). Eppure, ovunque in Europa si crede di poter risolvere il problema spendendo di più… ovviamente – di nuovo – nel discorso pubblico.
I fattori principali che influenzano i risultati scolatici assoluti (cioè misurati secondo criteri prefissati e non normalizzati in relazione ai risultati medi) sono a mio parere ed in ordine crescente di importanza:
1) la professionalità del corpo docente (che ta parentesi è cosa del tutto diversa dall’entusiasmo)
2) la selettività (al cui crescere migliorano i risultati medi, al costo naturalmente di accettare la differenziazione)
3) il retroterra culturale dei discenti, che per ovvi motivi è in rapido mutamento.