Secondo Istat, nel 2023 la percentuale di occupati irregolari ha ripreso a salire. Eppure tra gli obiettivi del Pnrr concordati con la Commissione europea c’è proprio la riduzione del lavoro nero. Il problema sembra interessare poco agli italiani.
Il lavoro sommerso e il Pnrr
Qualche settimana fa l’Istat ha reso noto che nel 2023, dopo sette anni di ininterrotta riduzione, la percentuale di occupati irregolari ha ripreso a crescere (vedi figura 1). La notizia non ha suscitato alcuna reazione nel dibattito pubblico, forse perché l’aumento è stato piccolo (da 9,7 a 10 per cento), invece avrebbe dovuto preoccupare molto perché una netta riduzione del tasso di irregolarità costituisce uno degli obiettivi del Pnrr concordati con la Commissione europea.
Figura 1

L’Italia tradizionalmente detiene il record del lavoro nero tra i paesi dell’Europa occidentale con percentuali che superano di oltre 2,5 volte la Germania e l’Olanda, per richiamare l’unica stima comparativa affidabile (si veda il mio articolo “Fotografia del lavoro nero in Italia” nel numero di gennaio 2025 di eco). Si comprende perciò perché tra le raccomandazioni specifiche per il nostro paese in ambito Pnrr è stata inclusa la richiesta di ridurre di ben 2 punti percentuali il tasso di irregolarità entro il primo semestre del 2026.
Un piano finito nel dimenticatoio
Per raggiungere questo obiettivo a febbraio 2022, l’allora ministro del Lavoro Andrea Orlando (governo giallo-rosso) decretò la costituzione di un portale del lavoro sommerso, ove inserire tutti i dati sull’occupazione irregolare e sui risultati delle attività di vigilanza. Istituì anche un (pletorico) Tavolo tecnico per formulare proposte per combattere l’occupazione irregolare, che lavorò largamente immemore dell’insuccesso delle misure adottate negli anni 1999-2002, che pur prevedevano un capillare coinvolgimento delle parti sociali e delle istituzioni locali e forti incentivi alle imprese che avessero aderito alle sanatorie.
A dicembre 2022 il piano venne licenziato dalla ministra del Lavoro del nuovo governo di destra-centro con due significative esclusioni rispetto alle discussioni avvenute nel Tavolo di lavoro: infatti non si accennava alla necessità di una sanatoria (non limitata al lavoro domestico) dei lavoratori immigrati da paesi non Ue, che in passato aveva permesso forti riduzioni del tasso di irregolarità.
Le principali misure proposte furono: 1. aumento del 20 per cento delle ispezioni nelle aziende entro fine 2024 grazie alle assunzioni di nuovi ispettori; 2. miglioramento dei dati con il potenziamento del portale e intensa collaborazione con Istat e Banca d’Italia; 3. miglioramento dell’attività di vigilanza, introduzione di strumenti normativi che accrescano la convenienza a intraprendere un percorso di regolarizzazione, sviluppo di una attività di compliance che guidi gli attori economici verso l’adozione dei comportamenti previsti dalla legge, incentivi per le famiglie che usufruiscono del lavoro domestico; 4. campagne pubblicitarie e informative volte a diffondere e sostenere una cultura della legalità; 5. istituzione di una struttura di governance per facilitare l’interazione tra i vari livelli istituzionali e monitorare le diverse fasi di attività.
Da allora, a parte alcune piccole modifiche normative, in buona misura contraddette dai decreti semplificazione, e alcune direttive contro il caporalato in agricoltura, ben poco è stato attuato, nonostante dettagliati cronoprogrammi più volte modificati e di ardua consultazione. E sul sito del ministero del Lavoro della questione del lavoro nero non vi è più alcuna traccia.
Il portale del lavoro sommerso risulta ancora disperso nelle nebbie dei decreti applicativi e del mancato coordinamento tra gli enti che dovrebbero fornire i dati. La task force “Lavoro sommerso” è stata costituita soltanto nell’aprile 2024 con la presenza solo di funzionari ministeriali e l’assenza di rappresentanti di sindacati e organizzazioni imprenditoriali, il cui ruolo era stato considerato una best practice dalla Commissione europea nella precedente stagione di lotta al lavoro nero.
L’attività di vigilanza è stata risuddivisa fra tre enti con il risultato di favorire sovrapposizioni che riducono le imprese ispezionate (che per di più riceveranno un preavviso di 10 giorni e uno scudo dai controlli per 10 mesi se in regola). L’azione di propaganda si è ridotta a rari spot sulle reti Rai: a qualcuno risulta di aver visto una campagna radio-televisiva del ministero del Lavoro che inciti a combattere il lavoro nero o che qualche esponente del governo si sia speso sul tema? Di incentivi alle aziende a uscire dal sommerso non vi è alcuna traccia. E nel Tableau Public, che riassume le assegnazioni di fondi attribuiti alle misure previste dal Pnrr, tra le politiche del lavoro alla voce “Lavoro sommerso” è indicato 0. Si potrebbe concludere che la lotta al lavoro sommerso è rimasta sommersa. E così si può comprendere la ripresa dell’occupazione irregolare.
D’altronde, un recente studio ha mostrato che in Italia nell’elettorato di centro-destra vi è una maggiore tolleranza verso le forme di occupazione irregolari. E una vecchia ricerca della Banca d’Italia concludeva che in Italia vi è più biasimo sociale per chi riceve indebitamente dei sussidi (vedi quanto accaduto per il reddito di cittadinanza) rispetto a chi evade delle imposte (per i quali si susseguono i condoni).
È in nero parte dell’aumento dell’occupazione?
Infine, sia pur con molta prudenza, da quanto è messo in luce dai dati Istat di contabilità nazionale per il 2023 si può avanzare una previsione su un aspetto della grande crescita dell’occupazione negli anni successivi. Infatti, poiché l’aumento dell’occupazione nel 2023 si deve per oltre il 23 per cento al lavoro irregolare, si potrebbe avanzare la stima (a tasso di irregolarità 2023 invariato) che siano in nero almeno 150mila dei quasi 700mila nuovi posti di lavoro creati dall’insediamento del governo Meloni a fine 2022 a oggi (secondo l’Indagine Istat sulle forze di lavoro, che riesce a rilevare solo una parte del lavoro nero).
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Professore emerito di sociologia del lavoro nell’Università di Milano Bicocca. Laureato nell’Università Bocconi, ha insegnato sociologia economica nelle università di Catania e Parma. Membro della Commissione Istat per il BES. Ha diretto ricerche europee su immigrazione e mercato del lavoro. Ultime pubblicazioni: Dieci domande per un mercato del lavoro in crisi (con F. Pintaldi), Il Mulino, 2013; “Mezzo secolo di primi lavori dei giovani” (con G. Fullin), Stato e mercato, 2015/3; Introduzione alla sociologia del mercato del lavoro, Il Mulino, 2017.
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