Attivismo dei governi, regolamentazione rigida, tasse di impronta populista, le banche europee, soprattutto quelle italiane, potrebbero avere la tentazione di spostare altrove le attività. Anche perché Usa e Regno Unito vanno verso la deregolamentazione.
Una possibile tentazione
Come reagirebbe il governo italiano se domani Andrea Orcel, amministratore delegato di Unicredit, dichiarasse di voler spostare la sede legale della banca che guida negli Stati Uniti o nel Regno Unito? Potrebbe sostenere di agire nell’interesse dei suoi azionisti, che con ogni probabilità lo appoggerebbero. Del resto, dopo il trattamento che il governo italiano gli ha riservato – fra golden power, che di fatto ha impedito l’acquisizione di Banco Bpm, tre anni di tassazione sugli “extraprofitti” introdotta in varie forme, nonostante una fiscalità già tra le più alte al mondo e una regolamentazione europea tra le più severe in termini di assorbimento di capitale – la tentazione non sarebbe del tutto irragionevole.
L’ipotesi non è poi così assurda se si considera che Colm Kelleher, presidente di Ubs, lusingato dalle offerte del segretario al Tesoro americano Scott Bessent, ha minacciato di trasferire la sede legale della principale banca svizzera negli Stati Uniti. Anche perché le autorità di vigilanza elvetiche valutano se aumentare pesantemente i requisiti di capitale per far fronte al rischio sistemico della maggiore banca del paese, che dovrebbe così accantonare altri 26 miliardi di franchi svizzeri. Detto per inciso, solo tre anni fa il governo svizzero aveva consegnato a Ubs la traballante Credit Suisse per 3 miliardi di franchi, fornendo al contempo una linea di liquidità da 100 miliardi. “Che ingratitudine!”, si dirà.
Né va dimenticato che molte tra le principali società italiane — Stellantis, Ferrari, Illycaffè, Campari, Mediaset, Ferrero, Exor, Prysmian, per citarne alcune — hanno trasferito la loro sede legale all’estero, talvolta attraverso la creazione di una holding, per alleggerire il carico fiscale italiano e ottenere altri vantaggi regolamentari. A loro volta, Molte di loro avevano beneficiato di importanti incentivi pubblici, ma la difficoltà di fare impresa in Italia le ha spinte a “efficientare” la propria struttura legale e fiscale.
Si dirà che spostare una banca è più complicato che spostare un’azienda. Vero, ma non impossibile: basti ricordare che Hsbc qualche anno fa ha trasferito la propria sede legale da Hong Kong a Londra.
In prospettiva, poi, quanto più le banche diventano grandi e digitali, tanto più potrebbe aumentare la loro mobilità legale e fiscale. La storia delle imprese tecnologiche – e secondo molti le banche sono sempre più delle tech company – insegna quanto siano capaci di spostare rapidamente i propri profitti dove la fiscalità e la regolamentazione risultano più favorevoli.
Gli Usa verso la deregolamentazione
Finora il principale terreno di competizione tra giurisdizioni bancarie è stato (e probabilmente resterà) quello regolamentare. Su questo fronte, gli Stati Uniti dell’amministrazione Trump sono oggi all’attacco. Michelle Bowman, appena nominata vicepresidente della Fed con delega alla vigilanza bancaria, ha già licenziato un terzo dei suoi dipendenti e si appresta a varare una deregolamentazione che libererà abbastanza capitale da consentire nuovi impieghi per quasi 2,6 trilioni di dollari. Tra le misure annunciate figurano l’allentamento del coefficiente di leva finanziaria supplementare, un ammorbidimento degli stress test e, in prospettiva, un rilassamento dei requisiti di Basilea 3, concordati a livello internazionale.
L’idea è che regole troppo severe introdotte dopo la crisi finanziaria del 2008 abbiano ridotto il credito bancario e favorito la disintermediazione a vantaggio dello shadow banking: private credit, hedge fund, e così via. In pochi anni, infatti, il capitale regolamentare delle banche è più che raddoppiato, così come i coefficienti di liquidità, inducendo gli istituti a ridurre il credito all’economia.
Il Regno Unito segue la via americana, mentre la Bce sembra orientata soltanto a una “semplificazione” delle norme. La convinzione di Francoforte è che banche più solide e ben capitalizzate possano meglio sostenere la crescita economica e superare eventuali crisi senza interventi pubblici. In altre parole, si vuole evitare il tradizionale ciclo regolamentare che prevede un inasprimento delle regole dopo una crisi bancaria e un successivo allentamento quando il ricordo sfuma.
Quando pagano i clienti
Sul fronte fiscale, la competizione non è mai stata particolarmente accesa, anche perché le banche – a lungo forti di un certo potere di mercato – sono quasi sempre riuscite a scaricare sui depositanti e sulle imprese gli aumenti dei costi. Non stupirebbe quindi se, dopo anni di pressioni fiscali di impronta populista, le banche italiane nei prossimi mesi aumentassero commissioni e spread applicati alla clientela. In altre parole, tassare di più i profitti bancari significa, nel lungo periodo, tassare di più famiglie e imprese.
Anche qui, però, la digitalizzazione cambia le regole del gioco, aumentando la concorrenza: non a caso i tassi offerti dalle banche digitali sono più alti rispetto a quelli delle banche tradizionali. Inoltre, è significativo che il governo laburista britannico, nell’ultima legge di bilancio, abbia deciso di non aumentare la pressione fiscale sul sistema bancario, nonostante le forti pressioni dell’ala sinistra del partito.
Rimane infine l’attivismo dei governi in materia di golden power e moral suasion, che negli ultimi anni sembra essersi intensificato. Tuttavia, anche in questo campo le spinte europee e un possibile cambiamento delle regole di mercato potrebbero rendere le banche meno remissive.
In conclusione, è possibile che ancora per qualche tempo Orcel continui a proclamare Unicredit una banca italiana e Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, si dichiari al servizio del paese. Ma presto o tardi, se vorranno crescere e adeguarsi a uno scenario di mercato in profonda evoluzione, saranno costretti a pretendere che il governo italiano si mostri più comprensivo nei loro confronti.
Figura 1 – Il capitale regolamentare dovrebbe aumentare nei prossimi anni in Europa e Svizzera e diminuire in Usa e Regno Unito

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Rony Hamaui è laureato all'Università Commerciale L. Bocconi e Master of Science alla London School of Economics. E’ professore a contratto presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, segretario generale de Assbb (Associazione per gli Studi Banca e Borsa), amministratore unico di Airosh S.p.a.s, Vice Presidente del Cdec (Fondazione Centro di Documentazione Ebraica contemporanea).
Ha ricoperto numerosi incarichi presso il gruppo Intesa Sanpaolo, quali Direttore Generale di Mediocredito Italiano, AD di Mediofactoring, responsabile Financial Institutions e del Servizio studi della Banca Commerciale Italiana nonché professore a contratto presso l' Università di Bergamo e l' Università Bocconi.
È autore di numerosi articoli scientifici e ha scritto e curato diversi libri riguardanti gli intermediari, i mercati finanziari internazionali, lo sviluppo economico finanziario nei paesi arabi e il populismo.
Michele Gambera
Il costo della raccolta diverrebbe inferiore se le banche si spostassero in un posto come la Germania dove i tassi sono sistematicamente piu’ bassi, particolarmente in momenti di crisi perché i tassi a breve si impennano in Italia quando c’e’ un momento di panico nel mercato. Il che limiterebbe i rischi di cambio in valore di titoli “available for sale” che sono prezzati al mercato ogni giorno.
Enrico Villa
L’ipotesi darebbe fiato alle voci populiste in cerca di consensi facili. Vero: le banche riescono a scaricare sui correntisti i maggiori costi, ma la raggiunta efficienza di tutto il sistema creditizio e l’elevata redditività sconta alla fonte la normale imposizione dei soggetti IRE e la distribuzione dell’ utile netto (con pay out ratio nell’ordine medio del 70%) porta allo Stato un notevole gettito. Troppo difficile da spiegare al popolo alla ricerca degli ‘extra profitti’? L’articolo cita, tra le altre, quella industria automobilistica italiana estero vestita. I nostri populisti dimenticano il più che pluriennale costo sociale di cui ha beneficiato la numerosa famiglia che non si è mai fatta mancare nulla. Politici preparati in luogo di parlare a vanvera di profitti ed extra profitti potrebbero iniziare lo studio della riforma del TUIR e modificare, se del caso, le aliquote impositive in capo alle Società.
Savino
E le stesse banche tolgono filiali in tutti i piccoli e medi centri e anche nelle grosse città.