Le misure di austerità sono controproducenti. Provocano effetti recessivi che, almeno nel breve periodo, fanno crescere il debito pubblico. Ma i politici europei continuano a insistere con queste politiche. Per stupidità o per una mancanza di alternative dovuta al rinvio delle riforme strutturali?
AUSTERITÀ E RECESSIONE
La recente crisi dell’Eurozona ha dimostrato che le misure di austerità sono controproducenti: provocano effetti recessivi che, almeno nel breve periodo, tendono a far crescere il debito pubblico, in rapporto al Pil. È una tesi confermata dall’analisi econometrica che mostra come gli aggiustamenti di bilancio siano stati più recessivi del previsto, con moltiplicatori fiscali superiori dell’unità. (1)
Gli effetti particolarmente restrittivi dell’austerità sono ben illustrati nella figura 1, che ripropone un recente grafico di Paul Krugman per il New York Times. (2)
La correlazione negativa tra le misure di austerità messe in atto dai paesi dell’area euro tra il 2008 e il 2012, così come misurate dall’Fmi, e il tasso di crescita nello stesso periodo appare forte, con il coefficiente maggiore di 1. La conclusione che se ne trae è che l’austerità non è il modo migliore per curare le finanze pubbliche.
Nasce allora una domanda: perché i politici dell’Eurozona continuano a fare lo stesso errore? La risposta implicita di Krugman è che i politici non sono particolarmente intelligenti, o sono stati mal consigliati, e hanno sottostimato gli effetti delle loro politiche. Detto in parole diverse, perseguendo l’austerità i politici europei si dimostrano ignoranti in fatto di economia, o stupidi.
Figura 1 – Austerità e crescita
Assumere che i politici siano irrazionali o stupidi è una facile via di uscita, specialmente per gli accademici. Un modo alternativo di guardare alla questione è interrogarsi sulla causalità nella correlazione tra austerità e crescita. Krugman ritiene che con le misure di austerità i politici europei mostrino la loro irrazionalità, o stupidità: sono stupidi perché perseguono l’austerità invece di una opzione politica preferibile.
Per parte mia, vorrei sollevare un dubbio: non potrebbe essere il contrario? I politici europei non sono stupidi perché perseguono l’austerità, ma perseguono l’austerità perché sono stupidi, o detto in modo più diplomatico, hanno una visione ristretta, hanno ignorato le altre alternative a disposizione e alla fine si sono ritrovati con una sola opzione, l’austerità. In altre parole, hanno attuato l’austerità perché non erano rimaste altre scelte.
Vorrei utilizzare la stessa metodologia di Krugman per illustrare il mio punto, con qualche avvertenza sui suoi limiti: un campione composto di sole undici osservazioni dovrebbe essere utilizzato con grande cautela, è molto probabile che i risultati siano distorti, specialmente per la presenza di casi particolari. Il mio intervento, perciò, dovrebbe essere interpretato come un invito a svolgere analisi ulteriori e più sofisticate.
Quello che colpisce nel grafico proposto da Krugman è come la correlazione dipenda molto dalla Grecia. Ma la Grecia è un caso davvero molto particolare, nel quale una dose altissima di austerità è stata imposta a un’economia caratterizzata da forti rigidità e inefficienze. E infatti se dal campione escludiamo la Grecia, come nella figura 2, la correlazione scende in modo drastico.
Figura 2 – Austerità e crescita (Grecia esclusa)
I risultati suggeriscono che la crescita economica dell’Eurozona è stata influenzata anche da altri fattori, diversi dall’austerità. Il prossimo passo è dunque evidenziare, una alla volta, le variabili che possono spiegare i differenziali di crescita tra i paesi dell’Eurozona.
CONDIZIONI DI FINANZIAMENTO
La prima variabile che prendiamo in esame sono le condizioni di finanziamento: i paesi con più alti tassi di interesse dovrebbero aver sperimentato una più bassa crescita, a causa delle più rigide condizioni di finanziamento per l’economia nel suo insieme. La figura 3 mette in correlazione crescita e condizioni di finanziamento, misurata dagli spread sui tassi di interesse per i titoli di Stato a lunga scadenza. La correlazione è relativamente forte e ciò suggerisce che i paesi con un rischio credito più alto hanno sofferto di condizioni più restrittive, che hanno portato a una più bassa crescita.
Naturalmente, il risultato va preso con cautela. La correlazione nasconde il fatto che dal 2008 i paesi con più alto debito hanno dovuto adottare misure di austerità. Tuttavia, il significato della correlazione, se confrontato con quella precedente, suggerisce che anche la rigidità delle condizioni di finanziamento ha avuto un ruolo significativo nello spiegare l’andamento economico. In altre parole, i paesi con un rischio credito più elevato sul loro debito hanno sofferto di più.
Figura 3 – Condizioni di finanziamento e crescita
Si può estendere l’analisi per considerare la correlazione tra rischio sovrano e rischio bancario, che spiega l’inasprimento relativo delle condizioni di credito nei paesi periferici. La figura 4 mostra la correlazione tra crescita e condizioni di credito, indicate dagli spread relativi ai tassi di interesse sui prestiti praticati dalle banche. La correlazione è forte e ciò suggerisce che le condizioni di finanziamento delle aziende sono state un importante fattore nello spiegare le differenze di crescita tra paesi dell’Eurozona. I paesi che hanno avuto crescenti difficoltà a finanziare il loro debito pubblico durante la crisi hanno sofferto sia di una stretta creditizia, evidenziata da un credito bancario più costoso, sia dell’impatto dell’aggiustamento fiscale.
Figura 4 – Condizioni di credito e crescita
LA COMPETITIVITÀ
Un passo avanti ulteriore nella nostra analisi è guardare oltre le politiche economiche e considerare i più profondi problemi strutturali. Un punto di partenza sono gli squilibri accumulati nei primi anni di unione monetaria, in termini di competitività e di potenziali di crescita.
La figura 5 considera i mutamenti di competitività, misurata dal costo del lavoro per unità, accumulati dall’introduzione dell’euro fino all’anno precedente la crisi; mostra che i paesi che hanno perso competitività prima della crisi hanno sperimentato la crescita più bassa dopo la crisi.
Figura 5 – Competitività e crescita
La correlazione tra competitività e crescita appare particolarmente forte anche quando si considerano altri fattori fondamentali, come quelli utilizzati dal World Economic Forum per classificare l’attrattività dei paesi per gli investitori.
Figura 6 – Competitività (Wef) e crescita
IL POTENZIALE DI CRESCITA
La figura 6 suggerisce che il tasso di crescita dopo la crisi è influenzato pesantemente dai divari di competitività createsi prima della crisi: i paesi che sono agli ultimi posti nelle classifiche di competitività sono anche quelli che hanno registrato la minore crescita dopo la crisi.
Ne abbiamo conferma se guardiamo a più specifici indicatori del potenziale di crescita di lungo periodo.
Tra questi indicatori si possono considerare, per esempio, l’accesso a internet o le competenze in matematica, misurate nello Skills Outlook Report dell’Ocse pubblicato nell’ottobre 2013. Le figure 7 e 8 mostrano una forte correlazione tra la crescita dei paesi dell’area euro negli anni della crisi e queste variabili strutturali. I risultati indicano che l’andamento economico all’interno dell’Eurozona negli anni recenti non si spiega solo con le politiche macroeconomiche, ma con fattori più profondi, che sono in relazione con il potenziale di crescita.
Figura 7 – Accesso a internet e crescita
Figura 8 – Competenze matematiche e crescita
Pur con le consuete cautele, l’esercizio permette di sollevare alcune domande interessanti. Per esempio, se la crescita è correlata negativamente con l’accesso a internet e le competenze in matematica e se la crescita è correlata negativamente anche con l’austerità, c’è una relazione tra le due variabili considerate esogene, cioè l’accesso a internet e l’austerità? La figura 9 mostra che esiste una forte correlazione tra le due: i paesi con minore accesso a internet hanno attuato maggiori misure di austerità. Ma qual è il significato di tutto ciò?
Potrebbe significare che la relazione tra austerità e crescita è più complicata di quanto pensano gli economisti. Nel guardare all’andamento della crescita durante la crisi, i macroeconomisti sono inclini a considerare le specifiche politiche realizzate, senza chiedersi perché siano state seguite. L’ipotesi che i politici siano mal consigliati o irrazionali piace agli accademici, che tendono a disprezzare i politici. Tuttavia, possono esserci ipotesi alternative.
Figura 9 – Accesso a internet e austerità
Non è l’austerità che ha causato la bassa crescita, è la bassa crescita che ha causato l’austerità. In altri termini, i paesi che hanno sperimentato una bassa crescita potenziale, a causa di profondi problemi strutturali, nel tentativo di sostenere il loro standard di vita e il loro sistema di welfare hanno accumulato, prima della crisi, un eccesso di debito pubblico e privato, che poi, quando la crisi è scoppiata, si è rivelato insostenibile e ha richiesto un brusco aggiustamento.
L’austerità ha certamente prodotto una bassa crescita, ma essa stessa può essere il risultato di una crescita scarsa e squilibrata, a causa della mancanza di riforme strutturali. Il rinvio di riforme che migliorassero il potenziale di crescita ha lasciato i paesi con un’unica soluzione, l’austerità. L’austerità è così il risultato dell’incapacità dei politici di prendere decisioni nel momento giusto, in altre parole è il risultato della loro miopia – e della stupidità. (3)
La via di uscita dall’austerità non passa allora dalla riduzione delle misure di austerità, ma da profonde riforme strutturali che aumentino il potenziale di crescita e creino spazi di manovra per un aggiustamento fiscale più graduale.
(1) Blanchard, O. and D. Leigh ”Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers” IMF Working paper 13/1, Jan 2013
(2) Krugman, P. “How the Case for Austerity has Crumbled”, The New York Review of Books, 6 June 2013.
(3) Bini Smaghi, L. “Austerity: European Democracies against the Wall”, Ceps, July 2013; pubblicato in Italia con il titolo “Morire di Austerita’: Democrazie europee con le spalle al muro”, Il Mulino, 2013
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andrea
Non è per fare i soliti puntigliosi, ma le 4 cifre dopo la virgola nei vari numeri incollati sui dati sono una cosa ridicola rispetto alla varianza dei dati.
Roberto
Condivido pienamente questo articolo.
In particolare la frase “I politici europei non sono stupidi perché perseguono l’austerità, ma perseguono l’austerità perché sono stupidi” rappresenta alla perfezione la politica europea.
Senza le riforme strutturali non ci potranno mai essere miglioramenti nei paesi europei più in difficoltà, in particolare in Italia.
Però per attuare queste riforme serve un cambio di mentalità da parte dei cittadini perché solamente così si potrà avere una classe politica più competente e priva di conflitti d’interesse.
Queste sono le condizioni essenziali per poter attuare quel rinnovamento indispensabile, altrimenti è certo il declino inesorabile dell’Italia.
Maurizio Cocucci
Alleggerire i vincoli di bilancio? Assolutamente no. Se dovessimo ottenere questa concessione da Bruxelles su quanto potremmo contare, diciamo altri 2 o 3 punti percentuali? Ebbene, per quanto ci riguarda tra recupero sull’evasione fiscale, corruzione, inefficienza/spreco della spesa pubblica potremmo tranquillamente contare su un 5% del PIL, con la differenza che su questo ammontare non pagheremmo interessi, anzi li risparmieremmo mentre nella prima ipotesi (e mi auguro caldamente che non si verifichi) e cioè di poter andare oltre il 3% attuale dovremmo mettere in conto anche quelli con tutta l’incertezza del caso (a quali tassi?).
Se non ricordo male oggi il servizio del debito ci costa circa il 5,2% del PIL, ovvero circa 90 miliardi di euro che dobbiamo onorare annualmente. Non sono abbastanza per un Paese che non cresce? Se la politica non riduce/ottimizza la spesa pubblica di fronte alla situazione drammatica di oggi si pensa lo farà dopo aver ottenuto il permesso di sforare il limite attuale?
Gibi'
Dott. Smaghi,
noto un grande assente dai dati che presenta: il debito pubblico
Lei sembra preferire dei parametri piuttosto frivoli come lo ‘spread’, tipica preda delle bizzarrie del mercato, e l’accesso a Internet.
E poi cosa c’entra il reer level con il costo del lavoro?
Gianni
A qualcuno durante la lettura dell’articolo è venuto in mente colui che dal 2001 al 2011 (ossia prima che la gestione di questo Paese divenisse di fatto compito della Germania) ha governato in Italia per ben 8 anni? A me onestamente sì.
Condivido il messaggio profondo che l’articolo vuole offrire. Tuttavia, dal punto di vista puramente econometrico, personalmente avrei preferito osservare, al posto di tanti scatter plot, i coefficienti stimati di una regressione con la crescita del PIL intesa come variabile dipendente ed il peso dell’austerità fiscale, le condizioni di finanziamento e di credito, l’accesso ad Internet e le competenze numeriche considerati tutti come variabili indipendenti. Questo al fine di separare nettamente l’impatto di una piuttosto che di un’altra variabile indipendente sulla variazione del PIL, aspetto che viene invece “nascosto” in un confronto uno-a-uno come nel caso di ognuno degli scatter plot qui proposti.
Maurizio Cocucci
Magari la gestione di questo Paese fosse tedesca. Ha letto il programma che stanno mettendo a punto CDU e SPD? Le sembra simile a quello del PDL e PD all’indomani dell’accordo di governo? Mi piacerebbe poi conoscere cosa si intende per austerità fiscale. Lo Stato percepisce oltre metà della ricchezza nazionale (se si considera il PIL reale e non quello corretto con la stima sull’evasione fiscale) di un Paese che nel suo complesso non si può considerare povero e di conseguenza un valore ingente e le sembra di poterla definire austerità? I trattati UE sottoscritti non prevedono (purtroppo) che non possiamo avere una pressione fiscale oltre un certo ammontare (cosa che giustificherebbe il termine austerità) ma che all’ammontare delle spese devono corrispondere altrettanti introiti, ovvero possiamo anche spendere quanto vogliamo di più ma dobbiamo dall’altra parte avere una copertura.
Alessandro Pagliara
Grazie….ma la sua soluzione è peggio del guaio…se dobbiamo attendere 3, 4 anni per attuare le riforme strutturali….e vedere la luce tra 5-6 anni…cosa succederà a questo paese? Come al solito la colpa non è solo del debitore ma anche del creditore….che stano facendo gli altri quando i conti e gli indicatori prima della crisi in Italia non andavano….mi pare che la Germania già si godeva la situazione……In fine…una soluzione rapida rapida? Inizia per E…finisce per O ed è di 4 lettere…basta abbandonarlo! Poi speriamo avremmo imparato e sostituiremo la nostra classe dirigente… altrimenti tra 4 anni siamo morti tutti! Nel 92 la sostituimmo dopo l’ultima svalutazione….effettivamente non ci andò proprio bene 🙁
Piero
Dall’articolo non condivido le soluzioni, perché è facile criticare il paese oggi in crisi, ma condivido pienamente tutti i passaggi, però manca una critica, ossia mi spiego meglio si dice che la crisi di fiducia del debito statale ha provocato il credit crunch alle imprese, ciò è verissimo, ma dove era la Bce, doveva intervenire, in fin dei conti i paesi con l’euro si sono privati della politica monetaria, qui si doveva intervenire con la politica monetaria, non c’entra nulla la politica di destra o sinistra, oggi abbiamo al governo da circa tre anni un governo appoggiato da entrambe le forze politiche e quindi non mi sento di dire che la colpa sia dell’uno o dell’altro, posso solo dire al contrario che non si è fatta una riflessione più profondo sul l’entrata dell’euro, forse andava meditata e rinviata quando tutti i paesi della zona euro avevano gli stessi dati di bilancio, invece qui si è forzata l’entrata dell’euro mettendo gli obblighi di arrivare al 60% (debito/Pil), invece a mio avviso si adottava l’euro quando tutti i partecipanti avevano la stessa %, era facile comprendere che prima o poi succedeva ciò ossia che la crisi del debito pubblico si trasferisse sull’economia reale.
ilpapabuono
Ho molto rispetto per lei, ma – mi scusi – una competizione fra uovo e gallina non mi pare contribuire molto: lei ci sta dicendo che se la mia nonna avesse avuto le ruote, sarebbe stata una carriola, mentre la nonna della Merkel, una Mercedes. Rilevo e registro, ma detto questo? Resta il fatto che l’attuale regime valutario è insostenibile e insensato, resta il fatto che le politiche europee non ci si attagliano, resta il fatto che stiamo solo subendo e non reagiamo, e più subiamo meno reagiremo. Perchè siamo carriole, perchè siamo olivastri, perchè abbiamo più sole? Possiamo esercitarci, ma ciò non cambia il fatto. Il da farsi scatena ipotesi fantasiose e a tratti divertenti: Stati Uniti D’Europa – peccato che non li voglia nessuno (tranne la Merkel, ma alle sue condizioni), e d’altro lato la ME-MMT a produrre carta straccia e dire che è moneta.
Nessuno che prenda in considerazione l’Evidenza, ossia che la nostra economia non può e non potrà per lunga pezza misurarsi in area Euro, perchè ha caratteristiche diverse e per molti versi incompatibili. Il suo punto di vista, alla luce di ciò e del suo ruolo, diventa più comprensibile ma – mi scusi – inutile quanto i nostri politici.
Marcello
Mi permetto intanto di criticare il metodo. Perchè Lei rispetto al primo grafico toglie la Grecia? Lei dice: “Ma la Grecia è un caso davvero molto particolare, nel quale una dose altissima di austerità è stata imposta a un’economia caratterizzata da forti rigidità e inefficienze.” Ma la tesi contraria alla sua dice che l’austerità è sbagliata e crea dei disastri. Se lei toglie la Grecia che è il caso più eclatante allora si potrebbero trovare delle ragioni più o meno buone per togliere qualunque paese.
Rio Pugliese
Che alla crescita di un Paese concorrano diversi fattori, mi pare pacifico (ricordiamo tutti il Diamante di Porter?). Di qui a dire che la bassa crescita abbia causato l’austerità e non il contrario, be’, mi sembra irrilevante, perché non c’è dubbio che le due cose si alimentino a vicenda.
Quello che non sopporto di Krugman è l’idea che la sola alternativa all’austerity sarebbe l’aumento della spesa pubblica. E’ assolutamente demenziale, come se una revisione del welfare o un’aumento della competitività non fossero alternative all’austerity tanto quanto lo è
l’indebitamento per finanziare più spesa pubblica.
Piero
Le riforme strutturali dell’Italia, quali sono quelli indispensabili?
– la riforma della pubblica amministrazione, aumento della produttività.
– la riforma fiscale, abbiamo la tassazione più alta dell’Europa.
– la riforma della casta politica, e’ la più costosa del mondo.
Facile dire che sono riforme indispensabili, tutti sappiamo che devono essere fatte, ma tutti ci conviviamo da anni, devono essere fatte, ma dire che sono la causa di questa crisi non ci sto, e’ una semplice falsità, mi meraviglio che l’autore concluda l’articolo in questo modo sbrigativo, sa benissimo lo scrive nel suo libro come e’ stato gestito l’euro fino ad oggi, come una “clava” utilizzata nei confronti dei paesi meridionali che ricorrevano a continue svalutazioni per competere in Europa, ma oggi il Giappone, l’America e l’Inghilterra, sono le economie più grandi del mondo, cosa stanno facendo? Svalutano le loro monete con vanto, per aiutare l’economia reale, ricordo a tutti che è l’economia reale quella che fa crescere il paese.
sottoscritto
ciao piero,
entrare nell’euro era inevitabile e necessario.
la svalutazione della moneta è una droga dell’economia, concede un breve sollievo alle aziende abbassando il prezzo dei prodotti per gli acquirenti esteri e aumentando conseguentemente le esportazioni. Svalutazioni ricorrenti portano un’economia a specializzarsi su attività a basso valore aggiunto, questo è successo all’italia. ora che le aziende non possono più contare sull’aiuto delle svalutazioni soffrono la concorrenza dei paesi emergenti, in grado di fornire prodotti sostituti a prezzi inferiori. Le aziende competitive, che propongono prodotti o servizi ad alto valore aggiunto sopravvivono e in alcuni casi prosperano. Ovviamente è solo uno degli infiniti aspetti da considerare.
ps
ottimo articolo
di passaggio
“Svalutazioni ricorrenti portano un’economia a specializzarsi su attività a basso valore aggiunto, questo è successo all’italia”.
Tipo prodotti di lusso, aerei, elicotteri, sistemi di armamento, componenti aerospaziali, motori all’avanguardia eccetera eccetera?
Sono tutte attività a basso valore aggiunto?
Per favore smettiamola di denigrare il nostro Paese.
sottoscritto
Non so se i paesi emergenti ricorrano alla svalutazione per favorire le esportazioni ma immagino non ne abbiano bisogno, considerati i costi relativamente bassi che devono sostenere. per questo motivo le aziende italiane non possono competere in alcuni settori, e non credo sia corretto farlo tramite la svalutazione, soprattutto non credo sia una strategia sostenibile nel lungo periodo.
i prodotti da te indicati sono tutti ad altissimo valore aggiunto, l’economia italiana però dipende principalmente da aziende che producono output ben diversi. sinceramente non penso che la maggior parte delle imprese in difficoltà operi nei campi da te citati.
provo a fare un esempio sperando che possa chiarire il mio punto di vista. un’azienda che produce bulloni e viti (basso valore aggiunto) in caso di svalutazione aumenterà sensibilmente le proprie esportazioni. un’azienda che produce motori all’avanguardia (alto valore aggiunto), al contrario, non otterrà sostanziali vantaggi.
so che la conclusione è banale e abusata ma ciò conferma che per tornare a essere competitiva l’italia necessita di investimenti in tecnologia, innovazione e di conseguenza in istruzione.
non voglio denigrare il paese, cerco solo di analizzare oggettivamente la situazione.
giulioPolemico
C’è da dire che la deindustrializzazione dell’Italia è ormai quasi completa, perché le ultime 3 grandi industrie (mafia a parte) che ci rimanevano erano Fiat, Telecom, Finmeccanica.
Le nostre marche della moda sono ormai ampiamente in mani straniere (caso Bulgari tra i tanti). La nostra Grande distribuzione, a parte EsseLunga è tutta in mano agli stranieri.
Fiat ormai va a finire negli Stati Uniti (solo i fessi non l’hanno ancora capito), Telecomitalia ha smesso da tempo di fare ricerca e sviluppo e si affida alle pubblicità con le modelle (Belen, ecc.). Telecomitalia è recentissimamente passata in mani spagnole, che non vanno certo a spendere per ammodernare la rete in Italia. Quindi rimarremo con una rete IT che fa acqua da tutte le parti. Rimane ormai solo Finmeccanica, che sulla scena internazionale fa quello che può (a parte guai giudiziari della dirigenza di Guarguaglini e del suo gruppo di potere (la moglie con Selex, ecc. )).
Quindi ormai non ci è rimasto quasi nulla.
Ma io conosco il nome del (della) colpevole di questo sfacelo: Angela.
sottoscritto
Addossare la colpa della situazione alla Germania mi sembra una conclusione miope e semplicistica: i problemi dell’Italia derivano quasi totalmente dall’Italia stessa. Le cause, a grandi linee, le conosciamo tutti.
giulioPolemico
Siccome forse frainteso, specifico che era ovviamente in senso ironico “Ma io conosco il nome del (della) colpevole di questo sfacelo: Angela.” La colpa è invece solo nostra, di noi italiani.
Piero
Non voglio vivere in un’Italia che se svaluta deve essere macchiata di pecora nera: ricordo a tutti che la svalutazione della lira dava fastidio ai paesi del nord che non potevano esportare da noi i loro prodotti, per questo venivamo marchiati di paesi inaffidabili.
I paesi del terzo mondo non ricorrono alla svalutazione per vendere i loro prodotti, se hanno una struttura produttiva, ma la loro competitività deriva dal basso costo della manodopera, vedi la Cina e l’India.
Piero
L’America, il Giappone, l’Inghilterra non stanno svalutando le loro monete, ricordo a tutti che il dollaro all’inizio dell’euro era in parità con l’euro, oggi abbiamo 1,35: oltre il 35% di svalutazione! L’America e’ un’economia del terzo mondo? L’America ha un forte debito con l’estero e con la svalutazione lo paga.
L’America si specializza su attività economiche a basso valore aggiunto?
Basta con le false informazioni, abbiamo l’Italia che può uscire da tale situazione solo con l’inflazione, il debito può essere pagato solo con la moneta cattiva.
Piero
A mio avviso il titolo dell’articolo andrebbe corretto con “L’austerita’ in questo momento e’ figlia della stupidità e della incompetenza”.
Davide Manzoni
Ho avuto già occasione di leggere scritti di Bini Smaghi sull’argomento e ritengo il suo uno dei punti di vista più lucidi sull’austerità; non come sadica imposizione come piace farci apparire da populisti e politica ma come conseguenza della profonda arretratezza e condizione di non competitività dello stato italiano. Leggo qui sotto persone che non si arrendono al fatto che ci vogliono molti anni e sacrifici per recuperare un tale gap con le economie occidentali avanzate, in termini di riforme politiche e infrastrutturali. Ma questa è la realtà, e più si rimanda (e le larghe intese le ho viste solo un rimandare) e più il gap aumenterà.
warburg100
Cosa c’è di lucido? ha ben compreso cio’ che viene scritto? Bini Smaghi non aggiunge nulla ripetendo altro già detto e scritto ben prima. Simpatico il fatto che il neo presidente (?) di SRFG , si mostri ora in concomitanza di un suo “libro” senza mantenere il giusto riserbo richiesto ad un commissioner di Banca Centrale.
Maurizio Cocucci
Nel 2002, anno in cui abbiamo iniziato ad avere l’euro, il dollaro USA valeva in media 1,10 euro, ovvero circa 2.130 Lit. Oggi il dollaro vale in media 0,74 Euro, corrispondenti a circa 1.433 Lit. Dai dati del Ministero dello Sviluppo su 1,70 Euro, che è il costo medio della benzina, 0,728 Euro se ne vanno in accise, 0,306 in IVA e 0,666 è il costo del carburante. Ipotizzando di essere rimasti con la lira, e che questa si fosse deprezzata dal 2002 ad oggi di un 20%, avremmo che il costo odierno della benzina sarebbe di 1,19 Euro circa, cioè 0,52 Euro in più (per semplicità di comprensione il calcolo lo esprimo sempre in euro), pertanto ipotizzando che le accise siano le stesse oggi pagheremmo la benzina non meno di 2,20 Euro, naturalmente tradotte in neo-lire. Lo stesso ragionamento lo si può estendere a tutti gli altri carburanti e materie prime (esempio il gas), specie di quelle di cui siamo privi. Chi ha a che fare con i costi di approvvigionamento sa bene quanto peso abbiano i prezzi delle materie prime e dell’energia e le conseguenze. Ai fautori di una valuta debole suggerirei di fare uno stage presso qualche ufficio acquisti prima di invocare presunte svalutazioni competitive.
di passaggio
Perché le accise dovrebbero essere le stesse di adesso?
La svalutazione non dovrebbe essere alternativa all’austerity?
Maurizio Cocucci
Perchè le accise sono una imposta fissa (non proporzionale al costo del carburante) istituita per far fronte ad una spesa temporanea, o che dovrebbere essere tale.
La svalutazione da una parte rende le merci più competitive per l’esportazione e meno convenienti quelle importate. Attualmente ritengo che un deprezzamento dell’euro possa si, dare un vantaggio al nostro export, ma non aiuterebbe molto la nostra economia nel suo complesso. Intanto occorre tenere presente che il nostro problema riguarda quasi esclusivamente la domanda interna e non quella estera, anzi è proprio l’export che sta tenendo in vita molte aziende italiane. Però ci sono attività che vivono esclusivamente o prevalentemente di prodotti di importazione, pensiamo ad esempio alle concessionarie di veicoli stranieri ma anche di altro genere, che a fronte di un aumento del prezzo di acquisto potrebbero essere costrette a chiudere per un conseguente ulteriore calo delle vendite. Poi c’è una terza realtà che non è influenzata sensibilmente ne’ da apprezzamenti e ne’ da deprezzamenti della valuta. Insomma solo le aziende che hanno una componente importante di export potrebbero beneficiare di un deprezzamento dell’euro, ma a breve termine. I problemi principali della nostra economia sono l’elevata pressione fiscale (su famiglie e imprese), la burocrazia e i tempi eccessivamente lunghi della Giustizia. Occorre tagliare e rendere più efficiente la spesa pubblica e operare riforme profonde.
ilpapabuono
Se non fosse che la lira è entrata nell’euro ad un valore che è stato calcolato inferiore dal 10 al 20% a quello reale: così il conto torna. Peraltro, il solo conto energetico (che naturalmente sarebbe più salato) non fa una bilancia commerciale, che ha due piatti. Ovviamente lei ha anche delle buone ragioni, è ovvio che cercare di ridurre al minimo lo spreco di idrocarburi sarebbe essenziale per riguadagnare competitività.
Maurizio Cocucci
La parte iniziale del suo commento è interessante perchè da modo di sfatare uno dei luoghi comuni attorno all’euro e più precisamente al cambio lira-euro. In breve riassumiamo il cammino che ha portato il passaggio dalle valute nazionali di 11 Paesi all’euro (inizialmente erano 12 i Paesi ma all’ultimo momento la Gran Bretagna si è chiamata fuori). Parto dalla fine del 2006 quando la lira rientra nello SME dopo esservi uscita 4 anni prima a seguito di una tempesta finanziaria. Si deve concordare il tasso di cambio e la valuta di riferimento è il marco tedesco. A Bruxelles sono riuniti i ministri finanziari e l’Italia è rappresentata da Carlo Azeglio Ciampi. I tedeschi vorrebbero fissare il cambio lira marco a 950-960, così da rendere meno competitivi i prodotti italiani, mentre noi italiani auspichiamo un cambio a 1.000 lire, in linea con il tasso di cambio di mercato in quel periodo (novembre 1996). Ebbene, contrariamente al luogo comune che vorrebbe una scelta scellerata da parte del governo Prodi, la delegazione guidata da Carlo Azeglio Ciampi ottiene un cambio a 990 lire per un marco tedesco. Tornati in patria la delegazione italiana infatti è accolta da appalusi, però noi italiani amiamo farci del male da soli, così dopo alcuni anni ricordamo diversamente i fatti. Arriviamo quindi al 31.12.1998, giorno in cui si devono fissare definitivamente i rapporti di cambio tra ECU (unità di conto antecedente l’euro) e singole valute nazionali in modo tale che 1 Euro (che sostituirà l’ECU dal 1.1.1999) corrisponda a 1 ECU. Ebbene, il 31.12.1998 il Consiglio dell’Unione Europea (Ecofin) stabilisce i rapporti tra le singole valute e l’ECU (e quindi l’euro) e per la lira è fissato il cambio a 1936,27 per un euro. Non c’è quindi mai stata alcuna trattativa a discrezionale a tavolino per definire il cambio lira-euro, ma semplicemente una constatazione del valore di cambio di mercato di singole 11 valute contro una comune. Il cambio medio lira-ECU nel 1998 fu di 1945,42 e per il mese di dicembre 1998 di 1940,78.
Piero
Nei quattro anni in cui l’Italia uscì dallo SME non vi fu nessuna fiammata inflazionistica, vi fu un notevole incremento delle esportazioni e crollo delle importazioni, scese anche il livello del debito pubblico.
Naturale che il rientro e’ stato salutato da tutti con piacere, eravamo nel percorso della moneta unica da tutti auspicata, naturalmente non gestita solo dalla Merkel.
Una precisazione storica di completamento.
Maurizio Cocucci
Dovrebbe spendere qualche minuto per verificare i dati macroeconomici che riporta prima di scriverli. Il debito pubblico dal 1992 al 1996 è cresciuto, e di molto, passando dal 105% a quasi il 121% del PIL. L’inflazione non è aumentata ma è rimasta comunque molto alta, tra il 4 e il 5%.Tenga conto che l’inflazione colpisce maggiormente i redditi bassi. L’andamento del PIL poi non è stato così diverso ad esempio del periodo 2002-2006, cioè subito dopo l’introduzione dell’euro. Anzi, l’anno dopo essere usciti dallo SME e quindi nel 1993, siamo andati in recessione. La disoccupazione dal 1992 al 1996 è aumentata dal 8,8% al 11,2%, mentre dal 2002 al 2006 è diminuita dal 8,6% al 6,8%. Insomma questo breve ‘miracolo economico’ dopo essere usciti dallo SME che afferma io non lo vedo, anche se è vero che le esportazioni sono cresciute ad un tasso sensibilmente maggiore del quadriennio precedente mentre si è ridotto il tasso di crescita delle importazioni (non diminuite!).
Concludo con una battuta. Capisco che la cancelliera Merkel sia il suo attuale peggior incubo, ma le assicuro che nel 1996 lei era un ministro (per l’Ambiente) della Repubblica Federale di Germania, quindi poco influente circa la decisione italiana di entrare definitivamente e sin dall’inizio nell’euro. Decisione che prendemmo autonomamente noi italiani senza condizionamenti o tantomeno imposizioni esterne.
giancarlo
Egregio signore.
Mi permetta: il mio incubo non è la Merkel. E’ un ottimo cancelliere. Fa gli interessi del suo popolo.
Il mio incubo sono i nostri politici, che ci hanno più volte svenduto sull’altare europeo. Quando costoro vanno a Bruxelles dovrebbero avere ben a mente i nostri interessi e lasciar perdere gli ideali. La Merkel giustamente fa il suo lavoro. Vorrei che anche i nostri ministri lo facessero.
Piero
Da 1,1 a 0,74: se fosse valido il ragionamento del sig. Cocucci, oggi l’Europa doveva volare. Mentre invece la rivalutazione dell’euro in questi anni ha fatto uscire le imprese dal mercato americano, il più grande del mondo, abbiamo giocato tutti dentro al mercato domestico europeo, dove i tedeschi hanno fatto la parte del leone. Se tutto va bene agli italiani, non posso altro che prenderne atto: in ogni caso il partito anti euro sta crescendo, credo abbia superato il 50% in Italia. Personalmente non sono contro l’euro, ma contro la politica monetaria attuata dalla Merkel e da Draghi, oggi ne è la dimostrazione la diminuzione del tasso: così vicino allo zero, non è più una manovra espansiva, e’ solo un segnale di incapacità decisionale che viene dato al mercato.
Filippo Gregorini
Due aspetti mi lasciano perplesso circa questo approccio alla spiegazione degli effetti dell’austerità
(i) il (necessariamente) limitato numero delle osservazioni: 11 o 10 se si esclude la Grecia
(ii) l’utilizzo dell’arco temporale 2008-2012. Le misure di austerità, nello specifico, sono state implementate con pesi diversi nei diversi anni presi in considerazione!
Credo che l’utilizzo di dati annuali possa rendere l’analisi più significativa.
Marcello
Direi anche che togliere la Grecia è arbitrario e assai pericoloso come è sempre togliere un dato sperimentale da una serie solo perchè poi il modello non soddisfa le nostre convinzioni.
giulioPolemico
Non sono affatto convinto che le misure di austerità siano controproducenti. L’austerità è indispensabile per tenere i conti a posto, senza i quali l’Italia non va da nessuna parte, ed è doverosa perché ha un indubbio valore educativo essendo la giusta sanzione ai nostri comportamenti sbagliati e il giusto stimolo affinché non continuiamo a ripetere quegli errori (visto che gli italiani non ne vogliono sapere di ragionare e non c’è altra via che costringerli).
L’austerità ce la siamo creata noi come conseguenza dei nostri comportamenti scellerati (decenni e decenni di corruzione, sprechi, mafia, meridione, inefficienza della Pa, ceto imprenditoriale scadente, macro evasione fiscale). Dare la colpa di questo sfacelo alla Merkel cattiva o al Monti cattivo oppure all’euro, è la più lampante dimostrazione di quanto siamo stupidi.
Piero
Nessuno va contro l’austerità se gli altri attori facessero il loro dovere, come dovrebbe fare la Bce. Facciamo l’esempio di una famiglia che ha un reddito di 10 e ha debiti per 12, per pagare il debito fa risparmi e rimborsa il debito, ma se 10 è il reddito minimo che serve per sopravvivere, come può rimborsare il debito? Questa era la situazione che aveva l’Italia quando entro’ nell’euro, oggi non possiamo riuscirci da soli abbiamo bisogno della leva monetaria, ma come tutti sanno la leva monetaria, provoca inflazione, quindi trasferisce i soldi dalla rendita finanziaria ai lavoratori e alle imprese, abbiamo la casta dei banchieri capeggiati dalla Germania che vuole l’euro forte, che impedisce questa manovra.
Dobbiamo ritornare alla politica vera, quella che risolve i problemi dei cittadini e non della ristretta casta finanziaria e del potere egemonico della Merkel.
giulioPolemico
“Dobbiamo
ritornare alla politica vera, quella che risolve i problemi dei
cittadini e non della ristretta casta finanziaria e del potere egemonico
della Merkel.”
c.d.d. c.v.d.
sottoscritto
Scusa se ti contraddico ancora su questo punto: svalutare la moneta non è una soluzione, è solo un piccolo respiro per l’economia. nel lungo periodo non può funzionare.
Piero
Naturale, nel lungo periodo e’ stato sottoscritto dagli stati il fiscal compact, obbliga a tutti ad essere più virtuosi, ma nel breve se non vi è la leva monetaria siamo tutti morti.
giancarlo
Scusa se ti contraddico io. Dopo il bretton le monete si svalutano e rivalutano da più di cinquanta anni. E l’umanità non si è estinta. Si ricordi che alla rivalutazione di qualcuno corrisponde sempre la s valutazione di altri. Il tasso di cambio è un semplice prezzo di una moneta espresso in altra valuta. Le bastano cinquanta anni di cambi flessibili per dire che il suo lungo termine sia stato raggiunto? Per esempio, Canada e USA hanno cambio flessibile. Le loro monete svalutano e rivalutano in continuazione. Cosa c’è di questo meccanismo che la disturba?
giancarlo
Ma dove ha letto questa storia che la moneta da sola controlla l’inflazione? Se fosse vero, in Europa, con una unica banca centrale ed una sola moneta, avremmo uguali inflazioni in tutti gli stati. Invece non è così. La teoria quantitativa della moneta è un falso. Altrimenti come si spiega che gli USA stampano miliardi di dollari al mese e l’inflazione non è ancora cresciuta rispetto al 2007. Secondo la teoria quantitativa avremmo dovuto avere iperinflazione da America latina. Invece no.
giancarlo
L’austerità non ha mai prodotto come risultante una maggiore crescita. Se si comprimono i redditi disponibili si abbatte la propensione al consumo. Il risultato finale (voluto, in situazione di sbilancio della bilancia dei pagamenti) è un calo della domanda aggregata, che riduce l’import. Contemporaneamente, con la stessa manovra di tassazione, si riduce il deficit pubblico e la bilancia pagamenti. Missione compiuta. Sembra che il fatto che questo comporti un aumento della disoccupazione (la curva di Philips esiste!) non importi niente a nessuno.
giulioPolemico
Però l’austerità produce conti a posto, senza i quali uno Stato non potrà mai stare in piedi.
Oppure, cosa dovremmo fare? Aumentare il debito pubblico? Non ci basta quello che già abbiamo? E le generazioni successive, cosa penseranno del debito aumentato che lasceremmo loro?
Svalutare? E se tutti svalutano? Si sposta solo il problema.
E inoltre, cosa che non dice mai nessuno, ma che di gran lunga è in assoluto la più importante, se noi svalutassimo (ipotesi) di un 30 percento con una ipotetica nuova lira (invento), ridurremmo del 30 percento gli attuali 2000 mld di euro di debito pubblico, ma ridurremmo del medesimo 30 percento gli attuali 5000 mld di risparmio degli italiani, pure essi in (ipotetiche) nuove lire (svalutate). Secondo voi ci guadagneremmo?
giancarlo
Ma abbiamo capito cosa significa svalutare? Lei nel 2004, si è sentito più povero del 2001? Circa in quel periodo ci eravamo svalutati, come euro, di circa il 30% sul dollaro.
Comunque chi parla di svalutare? Propongo di far variare la nostra nuova moneta in un mercato dei cambi, liberamente, senza dover forzare alcun tasso. Non voglio svalutare, voglio il cambio flessibile. Dopo il ’92, anno della fuoriuscita dallo SME, negli anni successivi la lira, inizialmente svalutata, si era anche rivalutata, grazie alla crescita funambolica dell’export. E poi perché in generale nessun paese intende rivalutare?
Enrico
Questi politici non saranno dei geni, ma gli economisti che non si accorgono che la discreta crescita verificatasi dall’80 al 2000 si è accompagnata all’esplosione del debito pubblico, cosa sono? Ci spieghino quale correlazione c’è stata tra crescita e debito in quei vent’anni. Detto in altre parole: pensare di frenare il debito pubblico con la crescita è fuori dalla storia.
Raffaele
E dove hai letto che c’è una correlazione positiva? Guarda che molti paesi emergenti sono cresciuti dopo aver sistemato i propri conti e guarda l’andamento del debito sul PIL nel dopoguerra della Germania e dei paesi scandinavi; c’è al contrario una pletora di esempi di paesi che hanno fatto esplodere il debito pubblico attraversando pesanti recessioni. Guarda che il concetto che, o prima o dopo, o in una forma o nell’altra, i debiti vanno pagati, è un concetto basilare della macroeconomia.
Paolo Botta
Non sono un economista ma un sociologo che osserva la realtà. Mi sembra che anche in questo articolo si cada in un errore molto comune. Affermare che in Italia non sono state fatte “riforme” e che ciò determina l’inevitabilità della austerity. Non è vera la premessa. Riforme nel senso liberista (perché è di questo che si parla quando si parla di “riforme”) ne sono state fatte. La più importante rimane la riforma delle pensioni che con il sistema contributivo non potrà garantire (lo ha detto del resto lo stesso ministro Giovannini) le pensioni ai giovani e meno giovani di oggi (si dovrà ricorrere all’assistenza alla povertà o a cosa?). E dire che si diceva che la riforma delle pensioni preservava le future generazioni…
Ma anche altre riforme (liberiste) sono state fatte. Si pensi alle privatizzazioni o al ridimensionamento dei sindacati, e quindi della contrattazione (bloccata nel pubblico impiego di 5 anni, con una oggettiva perdita di salario…), ma soprattutto si pensi al blocco del turn-over nel pubblico impiego che da circa 20 anni ha tolto una importante possibilità di lavoro per i giovani. Si pensi appunto alla distruzione delle generazioni giovani, con il precariato.
Caro Bini Smaghi, non è vero che le riforme, come le chiamate voi, non sono state fatte. Ma ciò nonostante lo sviluppo non c’è stato. E poi l’austerity più recente ha fatto il resto. In realtà chi pensa alle riforme pensa a una cosa in particolare: una forte riduzione del pubblico impiego, la cui crescita è già bloccata da tempo. Un desiderio inconfessato sarebbe quello di licenziare masse di dipendenti pubblici (il concetto degli esuberi, poi per fortuna non applicato, mirava a questo…).
Un dibattito del genere meriterebbe una risposta dell’autore. Altrimenti ha poco senso. Me l’aspetterei e ne sarei felice.
Paolo Botta
Antonio Nieddu
“In realtà chi pensa alle riforme pensa a una cosa in particolare: una forte riduzione del pubblico impiego, la cui crescita è già bloccata da tempo. Un desiderio inconfessato sarebbe quello di licenziare masse di dipendenti pubblici (il concetto degli esuberi, poi per fortuna non applicato, mirava a questo…).”
Esattamente qui sta il punto. Diciamo che, per quello che mi riguarda (e contro il mio interesse) l’unica riforma che avrebbe effetti importanti sarebbe questa. Altrimenti come si fa a migliorare la competitività della P.A.? E siccome questo è inattuabile, dati gli elevati costi (sociali e reali, che vanificherebbero il tutto), ci si accontenta di piccoli ed inefficaci passettini.
paolo botta
Non vedo cosa c’entra la competitività con la riduzione del personale! Questa non garantirebbe certo più competitività! E poi che vuol dire competitività? E’ compito dello Stato porsi come un qualsiasi altro soggetto che sta sul mercato? lo stato deve garantire innanzi tutto il rispetto della costituzione e delle leggi, non deve stare sul mercato, o simili. Venti anni e più di propaganda liberista ci hanno allontanato dalla realtà ormai: tutto è mercato e tutto è busines. E i diritti? e l’uguaglianza? E la dignità umana dove stanno tutte queste cose? Stanno forse nella competitività? Ripeto che ritengo che comunque l’autore dell’articolo dovrebbe rispondere per vivacizzare il dibattito.
giulioPolemico
Signor sociologo, tralasciando il fatto che la competitività nel pubblico non potrebbe che aumentare licenziando i fannulloni (e premiando quelli che si impegnano), visto che Lei parla di uguaglianza, se sono licenziabili i dipendenti nel privato, lo devono diventare anche quelli nel pubblico. O no?
paolo botta
no! lo stato non è il privato! lo stato rappresenta la coscienza collettiva di un popolo! lo stato come il privato non deve licenziare, ma deve fare in modo che anche il privato non licenzi. E poi: mi sa dire chi stabilisce chi sono i fannulloni? i capi? e chi sono i capi per decidere questo? hanno i criteri per farlo? e poi: è tutto da dimostrare che la PA sia piena di fannulloni! è vero il contrario: la PA è piena di bravi professionisti che guadagnano poco (ora il loro stipendio è in forte riduzione per il blocco dei contratti) e lavorano (spesso) molto; se qualcuno (pochi) lavora poco la colpa è sempre dei capi che glielo permette; ed è a questo livello che la questione va spostata.
mi dispiace ma tutti voi state su una strada molto precisa: il liberismo individualista che calpesta i diritti e che non risolve nulla. Non dimentichiamo che il regime di Pinochet era super-liberista. Poi crollò, ma dopo aver fatto milioni di morti.
E poi non crediate che licenziando i dipendenti pubblici l’Italia starebbe meglio! a parte la riduzione dell’efficienza (non di competitività si dovrebbe parlare ma di efficienza), crollerebbe la domanda già crollata e tutto peggiorerebbe e per tutti. Riflettiamo.
Raffaele
Mi spiace che tu abbia questa idea di competitività. Ti consiglio di guardarti i rapporti sullo sviluppo umano, scoprirai che gli stati con significativi progressi sono quelli che hanno incrementato la spesa pubblica in sanità ed istruzione, e quelli in cima alla classifica sono quelli che hanno anche i più alti livelli di produttività pro capite.
paolo botta
sono pienamente d’accordo. Il welfare va assolutamente mantenuto e anzi rafforzato e non solo per motivi di equità.
Riflettiamo.
Francesco Cafiero
L’unica vera riforma è stata l’abolizione della legalità, a mio avviso.
paolo botta
Non sono d’accordo. Le riforme ci sono state e le loro conseguenze negative sono sotto gli occhi di tutti. Lo smantellamento lento ma inesorabile dello stato sociale e la precarizzazione del lavoro certo sono espressione di abolizione della legalità, ma non credo nell’accezione che ne dai tu, bensì in quella di abolizione o ridimensionamento dei diritti.
Riflettiamo.
Francesco Cafiero
A me sembra che Bini Smaghi abbia scoperto l’acqua calda, e con un lungo e faticoso ragionamento.
Negli utimi trenta anni l’Italia ha goduto di ideali condizioni economiche per il suo sviluppo; nonostante ciò è riuscita ad accumulare un debito di 2100 miliardi di euro. Mi sembra ovvio che la concessione di ulteriore credito sia demenziale: avrebbe come unico effetto l’ulteriore crescita del debito pubblico.
I problemi italiani sono:
Evasione fiscale 300 mliardi anno
Economia sommersa 280 mIliardi anno
Economia criminale 140 miliardi anno
Danno da corruzine 80 milairdi anni
Piero
Sono dati privi di riscontro, per l’evasione fiscale sbandierata non si hanno misure certe, in ogni caso vi è in tutto il mondo, non ha senso fare un’affermazione simile, l’evasione va colpita e basta; per l’economia criminale abbiamo in Italia strumenti di confisca che non ha nessun paese del mondo, se quindi qualcun hai importi si vede che sa chi sono i criminali, agisca; l’economia sommersa e’ speculare all’evasione; il danno della corruzione non ho mai capito come calcolarlo, in Europa abbiamo una puntuale legge sugli appalti, parlare di danno di corruzione mi sembra eccessivo, i fenomeni di malcostume vanno perseguiti, dai giornali vedo che la magistratura e molto attenta.
Parlare in questo modo sbrigativo dei mali italiani vuole dire fare il gioco della Merkel
Francesco Cafiero
Prova a leggere le relazioni di Banca Italia.
In generale se una cosa non la caposci non è che non c’è o non sia vera.
Piero
Non solo io non capisco ma ricordo che Monti, Letta, la Banca d’Italia hanno sempre sbagliato le previsioni di crescita del Pil, come possono sapere i dati che nessuno conoscono, fanno affermazioni senza fare sapere come hanno fatto i calcoli, sapete come e’ stata calcolata l’evasione in Italia, e’ stato confrontato il gettito dell’Iva con la Germania, se la Germania incassa un importo di iva su un Pil del paese, con tale calcolo in Italia mancano 200 mld, pendo che qui si possa dire tutto.
Gennaro Domestico
Una riforma che ha goduto di un ampio consenso.
Maurizio Cocucci
Mi permetto di correggere l’affermazione che svalutando una neo-lira vedremmo svalutato anche il debito pubblico, perchè è esattamente il contrario. Ipotizziamo infatti che si esca dall’euro e si torni alla lira con un rapporto iniziale di 1:1 (per semplicità), poi la nostra autorità monetaria (Bankitalia) decida di fissare un cambio 1,3 lire per un euro, ovvero svaluti del 30% la nostra moneta (questo se si opta per un regime a cambio fisso e non di mercato). Premesso che da una parte avremmo benefici sui prodotti venduti all’estero mentre dall’altra pagheremmo di più quelli di importazione (soprattutto le materie prime), vediamo cosa accade al debito pubblico. Ad oggi abbiamo quasi tutti i titoli venduti in euro, pertanto svalutando dovremmo pagare di più per rimborsarli. Esempio: se un BTP è stato venduto a 100 euro, tornando ad una lira svalutata del 30%, il giorno del pagamento al detentore dovremmo dare 130 lire, però la nostra ricchezza sarebbe quella al cambio 1:1, ergo costerebbe il 30% di più e così per tutto il debito pubblico. Se invece già inizialmente ipotizziamo una neo-lira del valore 1,3 per un euro non cambierebbe nulla perchè sarebbe solamente un rapporto di cambio che non modificherebbe il potere di acquisto reale.
giancarlo
Ecco il solito errore. Sig Maurizio, mi consenta. Perché lei, dopo aver abbandonato l’euro, prevede che qualcuno debba fissare il cambio? Tutti i suoli calcoli matematici sono giusti, ma solo dopo che ha fissato il cambio. Il cambio non deve essere fisso. E’ proprio la rigidità artefatta del cambio che ingessa le economie deboli che si sono legate mani e piedi a quelle forti in occasione di unità monetarie. Detto ciò, dopo aver smontato alla base il suo assunto, i suoi calcoli se li può tenere.. Non servono a nulla. Quel btp di cui scrive, a scadenza varrà 100 lire, oppure 100 scudi, oppure 100 fiorini, insomma chiamiamo li come vogliamo. L’importante è che se lei aveva 100 euro, riceverà 100 pezzi della nuova moneta. E’ l’applicazione pratica del principio legale della lex monetae. Mi domando quale sia il disturbo. Tutto verrà ridenominato al cambio iniziale di 1:1 fra la nuova moneta e la precedente, l’euro. Stop. Nel mondo questo fatto è successo 50, 70 volte negli ultimi cento anni. Non è morto nessuno. Chi ci rimetterà non saranno gli italiani ma le grandi istituzioni finanziarie mondiali (loro amano farsi chiamare mercati). E pazienza, del resto fino ad oggi ci hanno guadagnato bene, alle nostre spalle, o no?
giulioPolemico
La ringrazio per la giusta correzione, ma mi sembra possa valere solo per i BTP, ancora emessi in euro, in corso durante l’ipotetico cambio di valuta. Per questi (per altro, una massa enorme) è come dice Lei.
Io alludevo, in senso generale, al fatto che se lo Stato emette BTP a 130 nuove lire e dopo due anni svaluta, quando dovrà restituire il capitale nominale di 130 nuove lire, restituirà una somma che rispetto al momento dell’emissione del BTP avrà un minor potere d’acquisto (causa sopraggiunta “svalutazione competitiva”). Cioè lo Stato dovrà restituire una ricchezza reale minore di quella che aveva inizialmente ricevuto da chi, prima della “svaluazione competitiva” gli aveva comprato i BTP. Quindi lo Stato farà meno fatica a ripianare il valore nominale del debito che ha con i compratori dei suoi BTP. Lo Stato avrà così ridotto il peso del debito pubblico, in termini di economia reale.
Per lo Stato è un vantaggio, per il cittadino risparmiatore che si vede “depotenziare” (causa ipotetica svalutazione) le somme accantonate (in qualunque forma, non solo in BTP, ma anche in liquidità, bot, ecc.) con tanti anni di duro risparmio, si tratta di un impoverimento.
Maurizio Cocucci
La correggo, nel 2004 (verso la fine dell’anno) l’euro valeva circa 1,3 USD quindi è l’euro che si è apprezzato anziche il contrario. E’ stato un bene perchè, tanto per fare un esempio, il prezzo al barile del petrolio è passato da 25 USD del 2002 a 50 USD (il doppio) di inizio 2005, quindi esprimendo il prezzo in euro si è passati da circa 28 del 2002 a 38 euro di inizio 2005 (36% in più e non il doppio).
giulioPolemico
Nel 2004 ci eravamo svalutati ma solo rispetto al dollaro. Se volevo comprare una Golf non mi costava di più.
Nel 1992 l’Italia aveva ancora un apparato produttivo valido (e la concorrenza cinese non era ancora come oggi).
Sulle ondate di povertà che creerebbe una nostra nuova liretta di cartapesta tanto già abbiamo detto.
Se nessun Paese intende rivalutare non significa che si possa uscire dalla crisi con i giochi di prestigio sulle valute. Incominciamo a far funzionare l’Italia, altro che fare i trucchetti con le valute.
giancarlo
Infatti, le golf non costavano di più. E infatti grazie al cambio fisso siamo stati invasi da prodotti stranieri che ci hanno sbilanciato la CAB, senza che la valuta potesse aggiustare automaticamente lo squilibrio. Ma perché se importiamo molto dalla Corea o dalla Malesia il cambio ne risente, perché è flessibile, se invece importiamo miliardi di merci dai cugini europei, il cambio deve rimanere fisso? E’ proprio questa rigidità del cambio che impone a posteriori gli unici aggiustamenti possibili, che sono abbattimenti dei salari, oppure riduzioni del reddito netto disponibile attraverso manovre fiscali. Guardate che l’euro non sarebbe la prima unione monetaria a saltare, forse sarebbe la cinquantesima da cent’anni ad oggi.
Antonio Nieddu
Essere più competitivo vuol dire o produrre/rendere di più con ciò che si ha (risorse), oppure impiegare meno risorse per fare lo stesso (costare meno). Competitivo non vuol dire concorrenziale, almeno in questo caso, dato che l’attività della P.A. non è soggetta a concorrenza/mercato, ma è una attività che può esercitare solo lo stato (l’unico che ne ha interesse). Paolo, Lei ha visto in questi anni particolari aumenti di competitività nella P.A., nonostante le riforme? (non in tono polemico, naturalmente)
Raffaele
Sei sicuro che il criterio sia questo?
Raffaele
In ogni caso, a parte il fatto che le previsioni di Monti e Letta sono state più di carattere politico che tecnico, se il criterio è quello di paragonare i consumi degli stati rispetto agli incassi delle omologhe imposte sul valore aggiunto per fare una valutazione dell’evasione, perché questo criterio non dovrebbe essere ragionevole?
Raffaele
Certo, anche il porcellum o la depenalizzazione del reato di falso in bilancio sono riforme, ma le riforme, ‘come le intendono loro’, sono quelle che servono per aumentare la competitività, non certo quelle a cui tu fai riferimento, e su questo terreno, mi spiace dirlo, c’è stata un’assoluta carenza, contrariamente a quanto tu sostieni. Tanto per fare un esempio, hai mai avuto a che fare con la burocrazia svedese? T’assicuro che il paragone è umiliante. Il terreno per fare riforme in Italia è una prateria a perdita d’occhio.
paolo botta
Devo farti osservare che le riforme da me richiamate (puoi dire che non è vera la riforma delle pensioni o quella del lavoro, a cominciare dal pacchetto Treu del 1997, pagata solo dai giovani?) sono vere e drammatiche e sono state pagate dalla povera gente (e dai giovani in particolare). Ma nonostante questo sacrificio non hanno portato a nulla, vista la situazione drammatica in cui si trova l’Italia.
Riflettiamo.