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Riforme credibili per superare la regola del 3 per cento

In che modo l’Italia può superare almeno temporaneamente il vincolo del 3 per cento sul disavanzo? Non ci sono solo le regole europee da tenere in considerazione, ma anche le reazioni dei mercati finanziari. Tutto si gioca sulla credibilità delle riforme. 

IL MITO DELLA PROCEDURA PER DISAVANZI ECCESSIVI

Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, nei suoi discorsi d’insediamento in Parlamento non ha fatto cenno alla necessità, da lui stesso avanzata in più occasioni come segretario del Pd, di recuperare margini di flessibilità nella politica fiscale, superando, ancorché solo temporaneamente, il famigerato vincolo del 3 per cento. Ha fatto bene. Meglio non scherzare con la sensibilità dei mercati e dei partner europei. Per azionare quella leva senza creare pericolosi effetti collaterali, serve una credibilità che va prima conquistata sul campo con azioni concrete.
Il tema, però, resta sullo sfondo. Quali sono i margini per introdurre questa maggiore flessibilità? È davvero possibile “aggirare” la regola del 3 per cento? Per rispondere senza cadere nella demagogia, bisogna partire dai vincoli con cui un’esigenza del genere si deve confrontare.
Partiamo dai vincoli europei. Il limite del 3 per cento deriva dal Patto di stabilità e crescita (Psc), che introduceva regole di disciplina fiscale poi rafforzatesi nel tempo attraverso i cosiddetti “Six-pack”, “Fiscal Compact” e “Two-pack”: fino a creare un sistema di procedure, vincoli e sanzioni a dir poco bizantino. Il mancato rispetto del limite fa scattare la “procedura per disavanzi eccessivi” (Pde). A questo proposito, ci sono due notizie: una cattiva e una buona.
Cominciamo dalla cattiva notizia: la Commissione Ue non sembra intenzionata a consentire alcun margine di flessibilità. Nei mesi scorsi, abbiamo assistito a continue prese di posizione della Commissione in cui si minacciava l’applicazione all’Italia della Pde, dalla quale eravamo appena usciti, anche per lo sforamento di un solo decimale. Il presidente dell’Eurogruppo, Jeroen Dijsselbloem, si è dichiarato favorevole a concedere più tempo per il risanamento in cambio di “un piano di riforme”. Ma coloro che propongono di negoziare uno sfondamento del 3 per cento si illudono. La Commissione, anche per ragioni di reputazione, è molto rigida verso un paese con un rapporto debito/Pil che ha ormai superato il 130 per cento. Piaccia o no, è così.
La buona notizia è che il rientro nella Pde non avrebbe, di per sé, significative conseguenze. Questo perché le normali procedure di controllo dei conti pubblici nazionali da parte della Commissione sono divenute così penetranti che, di fatto, essere o no sotto la Pde non fa molta differenza. Il cosiddetto “semestre europeo” comporta già una serie di passaggi stringenti, riassunti nello schema qui sotto (tratto dal sito dell’Ue). Chissà perché, tra l’altro, lo si continua a chiamare “semestre”, anche se i suoi adempimenti vanno in vacanza solo ad agosto. La Legge annuale di stabilità (l’ex Finanziaria), il Piano pluriennale di stabilità (che delinea gli obiettivi di medio termine della finanza pubblica), il Piano nazionale di riforme (che determina gli obiettivi economici di medio termine) sono sottoposti al vaglio della Commissione e del Consiglio europeo.
Che cosa comporta in più la procedura per disavanzi eccessivi? Solo la possibilità di multe, che però non sono mai state applicate e quindi non sono granché credibili. Prima di arrivarci ci sono diversi passaggi che richiedono tempo. Sulla carta, la procedura sanzionatoria è stata accelerata dai “pack”, ma al momento nessuno vi è incorso, anche perché molti paesi hanno ricevuto un’estensione del periodo di aggiustamento. Paradossalmente, i paesi che di recente hanno goduto di una certa flessibilità sono proprio quelli sotto la Pde: ad esempio, Spagna, Portogallo e Francia, che hanno ottenuto dilazioni per rientrare nel limite del 3 per cento. Attualmente, i paesi sotto Pde sono 17 e non sembrano avere fretta di uscirne. Fasciarsi la testa per uscire dalla procedura o per non rientrarvi sembra un eccesso di zelo.
Certo, proprio perché le sanzioni non sono mai state applicate, non vuoi essere il primo a riceverle. L’unico vero pericolo della Pde è l’effetto di reputazione. E qui veniamo al secondo vincolo di cui dobbiamo tenere conto: quello dei mercati finanziari. Un paese ad alto debito come il nostro, che emette titoli ogni settimana per molti miliardi, non può permettersi che il rientro nella procedura venga letto come un segno di lassismo sul fronte dei conti pubblici.
Per questo motivo, un eventuale ingresso nella Pde dovrebbe far parte di un strategia precisa e ben comunicata, che potremmo riassumere così: facciamo alcune riforme strutturali e riduciamo la spesa pubblica, abbassando allo stesso tempo le tasse; l’eventuale temporaneo sforamento del 3 per cento si accompagna ad azioni capaci di aumentare il potenziale di crescita, rendendo perfino più credibile la riduzione del rapporto debito/Pil nel lungo periodo. Solo a queste condizioni, la Pde resterebbe un mero passaggio burocratico, senza alcun contenuto informativo e senza alcun significato politico. Anche il vincolo del pareggio strutturale in Costituzione non sarebbe un ostacolo insormontabile su questo percorso, vista la fase negativa del ciclo e la discrezionalità della definizione.
Tutto si gioca, ovviamente, sulla credibilità delle riforme. Non possiamo cavarcela con qualche piano generico. Servono azioni concrete per semplificare burocrazia e fisco, per aprire i mercati dei servizi, per cambiare gli incentivi di chi lavora nel pubblico impiego, per ridurre i tempi e la volatilità della giustizia. E la strategia risulterebbe ancora più credibile se accompagnata da un piano di dismissioni che abbatta subito lo stock del debito.

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UNA SECONDA POSSIBILITÀ: GLI ACCORDI CONTRATTUALI

Se vogliamo evitare la Pde, ma allo stesso tempo avere qualche margine di flessibilità in più, esiste una seconda possibilità. Non è priva di incognite, perché dipende dal consenso degli altri governi europei, e risiede nei cosiddetti “accordi contrattuali” (contractual arrangements), proposti dalla Commissione nel marzo scorso. Si tratta di programmi di riforma concordati tra un governo nazionale e la Commissione stessa, che dovrebbero essere approvati dal Parlamento nazionale e dal Consiglio europeo, per poi essere attuati secondo una tabella di marcia prefissata. In cambio di questi impegni, un paese potrebbe ricevere assistenza finanziaria dall’UE, per coprire i costi delle riforme programmate nel breve periodo. La proposta della Commissione è stata approvata in linea di massima dal Consiglio europeo dello scorso dicembre, che però ha rinviato al prossimo ottobre la finalizzazione del nuovo strumento e la definizione dei relativi dettagli.
Il Governo italiano potrebbe sfruttare lo strumento in due modi. Il primo consiste nel presentare un piano di riforme e chiedere alla UE un contributo per coprirne i costi di breve periodo. Per esempio, il Jobs Act delineato dal nuovo Governo comporta alcuni costi rilevanti, a cominciare dal sussidio universale per chi perde il lavoro. Un secondo esempio è l’eventuale riduzione del personale nella pubblica amministrazione, dove ogni recupero di produttività non può che passare da una riforma del rapporto di lavoro nel pubblico impiego e dall’innesto di competenze meno obsolete: un intervento simile dovrebbe essere accompagnato da forme ad hoc di ammortizzatori sociali. Se questi costi (almeno in parte) venissero indirettamente coperti dal bilancio comunitario, potremmo fare quelle riforme senza infrangere la soglia del 3 per cento.
La seconda strada, forse più fattibile, consiste nel concordare una modifica degli accordi contrattuali con i partner europei, anche sfruttando la nostra presidenza di turno nel secondo semestre di quest’anno. In pratica, si potrebbe prevedere che gli le riforme strutturali possano essere scambiati con maggiori margini di flessibilità di bilancio. L’Italia non ha problemi di accesso ai mercati. È in grado di finanziare gli interventi temporanei di cui sopra. Gli accordi contrattuali dovrebbero solo concedere questa flessibilità nello sforamento del deficit, a patto che se ne stabiliscano i tempi di rientro e si approvino, nero su bianco, riforme in grado di rilanciare la crescita potenziale.
Insomma, le regole fiscali sono un po’ come i controlli di velocità: di solito cerchi di rispettarli, ma se scatta l’emergenza premi il piede sull’acceleratore e metti in conto il rischio di una multa. L’importante è non esagerare, mettendo a rischio la propria sicurezza e quella degli altri.

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22 commenti

  1. Andrea

    Il contenuto dell’articolo, visto da un normale cittadino, non ha molto senso. Non per la qualità dei suoi redattori, ma per l’argomento trattato: il vincolo del 3% è assolutamente privo di qualunque fondamento scientifico. E l’ha ammesso recentemente uno dei suoi “creatori”, Guy Abeille. Quindi, di che credibilità stiamo parlando? Non solo, con la cecità del suddetto vincolo, vengono violati i diritti fondamentali dell’uomo, tutelati dalla stessa Unione Europea, quando, per non spendere soldi, i soffitti delle scuole crollano. Quando vengono commissariati i Paesi e licenziate le persone.

    Piuttosto, tale parametro dovrebbe essere reso flessibile per livelli di crescita del PIL, o per congiuntura economica. A essere troppo rigidi, ci si spezza e le persone, fino a prova contraria, sono più importanti del rigore.

    Non si parla di fare le cicale, ma di semplice “buon senso”. Dimagrire troppo in fretta, fa male. Ci vuole il tempo necessario, ovvero cercare di ridurre il nostro enorme debito pubblico in maniera strutturale e non da un anno all’altro.

    Ci vuole solo “Buon senso”.

    • Maurizio Cocucci

      Il rapporto deficit/Pil al 3% non ha infatti fondamenta scientifiche ma matematiche. Se l’obiettivo prefissato era di mantenere stabile il rapporto debito/Pil al livello medio (60%) del periodo in cui fu deciso già ai tempi del trattato di Maastricht, poi ribadito con quelli successivi a partire dal Patto di Stabilità e Crescita, e si imposta come valore di crescita di Pil nominale al 5% (valore di crescita media del periodo antecedente la sua valutazione – anni ’70 e ’80) ne deriva che il deficit deve essere del 3%. Oggi quel livello previsto di crescita del Pil è anacronistico, è vero, ma l’aggiornamento dei parametri dovrebbe a mio avviso partire dal rapporto debito/Pil che è eccessivamente basso. Per me dovrebbe essere 80% o anche 100%. Infatti se ipotizzassimo una crescita media nominale del Pil di lungo periodo del 4% e un rapporto debito/Pil del 80% si avrebbe comunque il limite del deficit/Pil al 3% e a prima vista potrebbe sembrare che nulla cambi, in realtà la conseguenza sarebbe quella di cambiare il livello di debito da raggiungere: non più il 60% del Pil ma l’80%. Fermo restando che un temporaneo sforamento di questo limite può essere consentito a fronte di situazioni economiche particolarmente avverse e di interventi sulla spesa pubblica strutturale.

      • Andrea

        Quello che mi lascia perplesso, infatti, è l’eccessiva rigidità legata a dei numeri. Quando, invece, dietro a dei freddi numeri ci sono delle persone. Occorre fare attenzione ai vincoli di bilancio, anche perché è peggio se uno Stato dichiara il default, ma occorre anche una certa flessibilità, o come dico sopra, di buon senso.

    • Mario

      Ma il buon senso, come diceva Manzoni, si scontra con il senso comune, come quello che vige in settori ottusi dell’Ue.

  2. Deficit Spending

    Riforme strutturali = diminuzione salariale

  3. Maurizio Cocucci

    Concordo circa il messaggio che questo articolo suggerisce: la via dell’uscita dalla crisi non può che passare da riforme strutturali. Guardiamo con troppa attenzione il vincolo previsto dal Patto di Stabilità e Crescita sul rapporto deficit/Pil ma si trascura quello che è il vero ostacolo: i mercati. Oggi si concentra l’attenzione sullo spread tra i titoli italiani e quelli tedeschi decennali, sceso sotto i 200 punti base, ma non si tiene conto che nei confronti di quelli USA e inglesi lo spread è sotto l’1%, segno della fiducia che i mercati, nonostante la situazione economica e finanziaria (debito pubblico), hanno al momento. Sforare il 3% senza offrire in controparte riforme serie e convincenti tese a creare i presupposti di ripresa economica non farebbe altro che far perdere questa fiducia le cui conseguenze sarebbero ben più onerose delle sanzioni previste dai trattati che la UE ci comminerebbe.

    • Andrea

      Una riflessione sui mercati però è doverosa. Più della metà delle transazioni in borsa avvengono attraverso dei computer, i quali non credo si pongano molti quesiti sulle riforme italiane. E se lo spread italiano è sceso recentemente, è merito del tapering della Fed, in quanto gli investitori hanno dirottato i loro investimenti sui Piigs e meno sulla Germania. Ma più di tutto, non esisterebbe nemmeno il “problema spread/mercati”, o sarebbe decisamente mitigato, se la Bce stampasse moneta. I Paesi che hanno una propria Banca Centrale lo hanno fatto, e sono usciti dalla crisi. I Paesi europei non ne sono usciti, invece, perché non possono investire risorse per rispettare il vincolo del 3%. L’Unione Europea vuole la botte piena e la moglie ubriaca, dimenticando una delle regole fondamentali del capitalismo: se vuoi fare soldi, devi spendere soldi.

  4. Guest

    Un editoriale generico che lascia sul campo tutti i temi irrisolti: chi, come, cosa, quando?
    Poi, a leggere della situazione Romana, il quadro si chiarisce.
    Bisogna ridisegnare il paese from scratch. l’italia e’ di fatto un paese emerging (49 posto nel GCI, a dieci dalla Colombia).
    Sempre piu’ netta la sensazione che si Parli per schemi teorici astratti. Da un lato, come circumnavigare l’articolo.123 Trattato, dal l’altro lato, come fare arrivare piu’ SOLDI.
    dopo due tangentopoli e RCalabria sciolta per mafia, di quale crescita potenziale si parla? Di quella di FIAT, o degli oltre 4,3 milioni di iscritti all’AIRE?
    E si parla di sforamento di deficit…2 x 10_ 12…. (In lire 2.5 x 10_ 15..)
    Serve tempo, servono riforme, ed homines novi. (E giovani). Personalmente, a livello di curiosità, mi domando solo dove abbiano vissuto gli Italiani nell’ultimo trentennio dal CAF in avanti,
    su Marte?

  5. Piero

    Il 3% è una regola vecchia, oggi tutto deve essere modificato, l’euro così come gestito è stato un fallimento, quando le economie vanno in crisi, si deve ripensare tutto in base ai seguenti criteri, i bilanci degli stati devono essere in pareggio, gli investimenti in infrastrutture ritenuti utili dall’Europa devono essere finanziati con gli eurobond (oggi abbiamo il fondo salva stati che può essere utilizzato per tale fine) gli squilibri attuali sui debiti statali dell’area euro vanno risolti subito con la politica monetaria, la risoluzione non è la cancellazione degli stessi, ma renderli meno stringenti o soffocanti per l’economia del singolo paese ( sul punto vi possono essere diverse soluzioni, ma l’unica permessa dai trattati, al momento è un massiccio acquisto sul secondario da parte della Bce, programma decennale di almeno 500 mld annuo proquota).
    Poi si dovrà fare un passo verso l’unione politica, penso che, con il passo indietro avuto con l’euro, l’unione politica si è allontanata di molto.
    Se tutto ciò non avviene i paesi si scioglieranno dalla camicia di forza dell’euro, ritorneranno alle loro valute, alla fine possiamo vedere che in Europa l’Inghilterra, la Polonia, stanno crescendo e non hanno i nostri problemi.
    Sulle capacità di Renzi di risolvere il problema, dopo l’uscita che ha fatto ieri sposando la linea della Merkel con la giustificazione dei figli è pari a zero, vediamo di fare subito la legge elettorale e andiamo a votare, gli italiani sceglieranno quindi per il loro futuro.

    • Maurizio Cocucci

      Circa la crescita economica di Gran Bretagna e Polonia mi permetta di farle notare che la politica monetaria c’entra molto meno di quanto si pensi. La Gran Bretagna, purtroppo i nostri organi di informazione ne hanno parlato poco, ha approvato nel 2010 un piano per il licenziamento di circa 500 mila dipendenti pubblici oltre che tagli draconiani alla spesa pubblica che hanno ridotto il deficit dal 11% del Pil del 2010 al 6% del 2012 e i salari hanno subito una forte riduzione (vedere figura allegata). Per quanto riguarda la Polonia quello che le permette di attirare capitali (e quindi lavoro) sono i bassi salari, la bassa pressione fiscale, gli incentivi per chi investe e la scarna burocrazia. Non credo che la Fiat abbia scelto la Polonia perché fuori dall’euro. Le faccio notare che la Polonia ha sottoscritto il Fiscal Compact quindi anche lei dovrà adeguarsi ai parametri previsti dal trattato.

      • Piero

        Il problema non è il pareggio del bilancio che è una cosa giustissima, ma il problema della politica monetaria che se gestita male rischia di fare i danni come quelli che si stanno facendo nei paesi euro, l’Inghilterra al contrario, ha aumentato la base monetaria, naturale che le spese superflue vanno eliminate, ma non è la diminuzione delle spese che hanno fatto crescere il Pil nell’ultimo anno; l’aumento del Pil deriva solo dalla politica monetaria, la Banca d’Inghilterra non ha fatto mancare la liquidità al sistema, mentre la diminuzione delle spese avrà effetti nei prossimi anni, meno spese= meno tasse= più competitività delle imprese= più export= più Pil.

    • Guest

      L’Italia è solo il ‘contenitore’ degli Italiani….lasciati troppo liberi di ‘scorazzare’ …
      Fuor di metafora, vediamo un po’: Dell’utri….Cosentino….Vaso Vaso Cuffaro….Mangano…Qual è le marque distinctive/dénominateur commun? Mi può aiutare?
      Un paese in moto inerziale dal CAF, 33 anni. L’Italia va trattata come un paese emergente. È sufficiente prendere un volo Zurigo-Malpensa, per avvedersene.
      La domanda, già posta infra, è: DOVE hanno vissuto gli Italiani? su Marte?

      Con la moneta ci può fare ciò che vuole: stamparla, piegarla, farci pallottole, accartocciarla….ecc.ecc. I temi sono sempre quelli infra:
      <>,
      The telegraph, Bruno Waterfield, Brussels and Nick Squires in Rome, A.D. 05 Jul 2012. £ 307 milioni,
      Pare che quella roba lì sia in costruzione dal 1960. 53 anni per ca. 300 km di ‘autoqualcosa’.

  6. Piero

    Dimenticavo, su Renzi, in merito all’infelice frase dei figli, in questo momento i genitori non trovano lavoro, non riescono a fare crescere i figli in un ambiente favorevole, forse non riusciranno a farli andare a scuola, forse qualche figlio non avrà più il padre ( in due anni 300 suicidi per motivi economici), tutto ciò per una moneta chiamata euro, che alla fine ha fatto ingrassare la Germania, che ricordo a tutti ha causato la seconda guerra mondiale, penso che i nostri politici sono impazziti.

  7. Mario Rossi

    Ecco che alla fine abbiamo trovato il muro! Non ci sono mica tante altre soluzioni per un paese che ha un debito ben più alto del proprio reddito e una produttività talmente bassa che invece che poter in futuro pagare questo debito di certo lo aumenterà. La strada è senza dubbio aumentare la produttività e il reddito in modo tale da calare lo stock del debito e produrre ricchezza. Per fare ciò è necessario pestare forte i calli dell’Italia A e spiegargli che la grande abbuffata è finita e che da domani tutti dobbiamo lavorare, non come adesso che l’italia A galleggia placida sulle acque e l’Italia B beve e molto spesso affoga per sorreggere gli altri. Tutto questo potrebbe essere aiutato da un piano di finanziamento a livello europeo dei 3-4 milioni di nuovi disoccupati generati da un inevitabile cura dimagrante dell’apparato, inoltre occorrerebbe spiegare a politici e mafiosi che devono andare da qualche altra parte a crearsi il nido per stare belli caldi.
    Insomma dobbiamo scegliere, o stare in Europa o stare in Africa!

    • Davide Gionco

      Come fa il Giappone a crescere con un debito/PIL al 235% ?

  8. Dottor Gambanelli

    Solo un piccolo appunto:
    Come facciamo a rendere la commissione (o chi per lei) capace di obbligarci a fare le riforme – o a punirci, nel caso si fallisca? Come facciamo a rendere credibile il nostro impegno, dato che domani il governo potrebbe cadere, e ci potremmo ritrovare con un nuovo governo che potrebbe disconoscere gli impegni presi?

  9. Davide Gionco

    Come farà mai il Giappone ad avere da 4 anni un deficit/PIL del 9%
    (http://www.tradingeconomics.com/japan/government-budget) e ad avere un PIL in crescita
    (http://www.tradingeconomics.com/japan/gdp-growth-annual)? Cominciamo a calcolare i bilanci non in denaro, ma in termini di beni/servizi prodotti e di una loro equa distribuzione. Consiglierei di rileggersi a fondo Keynes, per evitare di fare ulteriori danni all’economia italiana.

    • Maurizio Cocucci

      Il debito pubblico giapponese è finanziato da banche, fondi pensione e assicurazioni giapponesi oltre che dalla Bank of Japan, in questo modo i tassi possono rimanere bassi. Noi quando le banche italiane hanno acquistato i nostri BTP facendo scendere i tassi abbiamo urlato allo scandalo. Dovremmo essere quindi più coerenti invece di invocare una soluzione per poi condannarla quando la pratichiamo. L’economia giapponese cresce non tanto per effetto della politica monetaria (semmai è sostenuta da questa) ma da una economia privata altamente competitiva. La spesa pubblica giapponese è decisamente meglio utilizzata rispetto alla nostra. Se avessimo una classe dirigente, in particolare politica, come quella loro sarei favorevole ad avere una politica monetaria simile e ad avere un deficit anche del 9%.

      • Piero

        In Giappone in passato gli scandali sono stati maggiori che in Italia, non penso che sia da invidiare: loro a differenza di noi sono liberi, noi al contrario in Europa negli ultimi 20 anni ci siamo venduti ai tedeschi. Dopo l’era Craxi ( anche se non ne sono stato un tifoso) l’Italia in Europa ha contato sempre meno.

        • Maurizio Cocucci

          Mi piacerebbe sapere quand’è che la finiremo di considerarci un popolo di interdetti, le cui scelte non le farebbe di propria volontà ma perché ‘costretti’ da altri. Cosa significa “venduti ai tedeschi”? O agli americani, o agli inglesi o a chi sa quale nazione straniera? Finiamola con questo atteggiamento immaturo, noi le scelte le abbiamo prese consapevoli di quanto si faceva e delle conseguenze. Gli italiani (i cittadini) votarono in larga misura a favore dell’Europa in occasione del referendum consuntivo del 1989 e chi è stato al governo ha sempre condiviso le politiche che oggi qui qualcuno insinua siano state imposte. Se oggi si vuole cambiare percorso ci sta, ma per piacere facciamolo da adulti assumendoci le nostre responsabilità e i nostri impegni.
          In merito al confronto tra Italia e Giappone riguardo agli scandali nel mondo della politica lasci perdere, è una difesa che non regge e non aiuta per nulla il Paese che ha bisogno invece di una presa di coscienza piena delle sue mancanze. Nonostante le difficoltà e la perdita di competitività delle nostre imprese l’export italiano ha continuato a crescere e forse le sfugge che il tasso di crescita da quando abbiamo adottato l’euro è secondo solo alla Germania. Se non fosse infatti per le nostre esportazioni la nostra economia sarebbe in ginocchio. Il nostro problema è la domanda interna e la moneta, le politiche comunitarie o i vincoli di bilancio non hanno alcuna responsabilità in questo, men che meno la Germania. Se ne faccia una ragione.

          • Piero

            Ormai i cittadini hanno aperto gli occhi, non sono interdetti, come Lei afferma, e non verranno più ingannati sull’Europa da questi politici attuali che hanno fatto tutto meno che gli interessi degli italiani, casomai saranno loro da interdire: la fortuna dell’Italia sarebbe questa. Ritornando sull’argomento dell’articolo la regola del 3% sarebbe da abolire e non da sforare ma la politica monetaria non deve essere più al servizio della Merkel che a questo punto non è amica solo di Prodi, Letta, Napolitano, etc, ma anche del Sig. Cocucci.

  10. Piero

    La regola del 3% non serve a nulla e s’è visto: si pensava che sarebbe stata sufficiente per tenere in piedi l’unione monetaria, ad essa non è stata aggiunta anche quella del pareggio della bilancia dei pagamenti nei rapporti tra i paesi euro perché si pensava che con l’euro i movimenti dei capitali tra i paesi fossero fluidi e i paesi in deficit avrebbero ricevuto i soldi dai paesi in surplus. Nell’agosto 2011 tutt’ad un tratto ciò non è più avvenuto, la Germania ha lasciato il destino della Grecia a se stessa, i mercati finanziari hanno letto questo messaggio come se non tutti i titoli dei paesi euro fossero sicuri, è “nato” lo spread e di seguito tutto quello che si conosce. Comprendiamo quindi che è tutto da riscrivere, la regola del 3% non c’entra. In attesa che si cambi il trattato sull’unione monetaria, la Bce deve agire con forza e con indipendenza per salvare l’area euro, con una vera politica monetaria espansiva, acquisti massicci proquota dei debiti statali sul secondario, deve essere fatto immediatamente.

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