Il Trattato che viene firmato oggi a Roma sancisce il diritto di chiunque risieda e si sposti legalmente all’interno dei confini dell’Unione di ricevere protezione sociale. Su questo tema riproponiamo una discussione tra Tito Boeri (a favore di questo principio) e Hans-Werner Sinn (contrario). Questa discussione telematica fra Hans-Werner Sinn, presidente del Cesifo Institute di Monaco, uno dei grandi centri di ricerca tedeschi, e Tito Boeri è avvenuta il 4 luglio 2003 sul portale del Cesifo. Riportiamo una sintesi in italiano dei tratti salienti del “forum” (per il testo completo si veda http://www.cesifo.de/CESifoPortal). Il moderatore del dibattito è Raji Jayaraman del Cesifo. Moderatore L’allargamento a Est dell’Unione Europea pone nuove sfide, ma anche grandi opportunità per gli attuali paesi membri della UE. Uno dei temi è l’immigrazione, che è diventato oggetto di particolare attenzione negli ultimi mesi quando l’allargamento a Est della UE è diventato una questione di “quando” e non più di “se”. Un punto centrale di preoccupazione è che la mobilità del lavoro che accompagnerà l’allargamento minaccia di distruggere il welfare state, una pietra miliare delle politiche socio-economiche di molti paesi occidentali. Questo timore ha indotto alcuni a chiedere restrizioni nell’accesso al welfare per gli immigrati nella UE. Sentiamo l’opinione dei nostri ospiti: gli immigrati nella UE dovrebbero avere pieno accesso al welfare? Tito Boeri: L’impatto dell’allargamento a Est sull’immigrazione non dovrebbe esser sovrastimato. La maggior parte degli studi concordano nel prevedere un flusso annuale di circa 300mila persone per la UE nel suo insieme. Molti di questi immigrati avranno livelli di istruzione relativamente alti: è perciò più probabile che contribuiscano al welfare piuttosto che ricavarne dei benefici. M. Così, la sua posizione è che dovrebbero partecipare pienamente al welfare? T.B. Sì, anche lasciando da parte le questioni di equità e rimanendo nell’ambito di un ragionamento prettamente economico, credo che limitare l’accesso al welfare non sia una buona idea per almeno tre ragioni: i) ci sono timori ingiustificati di una corsa al ribasso nell’offerta di servizi sociali in Europa, ii) queste restrizioni non sono applicabili e iii) riducono la mobilità della forza lavoro europea, di cui abbiamo invece assoluta necessità. M. Hans-Werner Sinn, qual è la sua posizione? Gli immigrati dovrebbero avere pieno accesso al welfare? Hans-Werner Sinn: Il problema non è il numero degli immigrati in quanto tale. Ma che, se il welfare dà regali oltre che salari, possano arrivare troppe persone e quelle sbagliate. M. Tito Boeri ha appena sostenuto che gli immigrati in procinto di arrivare nella UE dovrebbero avere un grado di qualificazione abbastanza elevato. Perché lo pensa, professor Boeri? T.B. Accadrà nel caso dell’allargamento a Est perché i divari retributivi fra lavoro qualificato e non sono e saranno (in virtù della specializzazione internazionale delle due regioni) più marcati da noi che nelle economie dell’Est europeo, che peraltro contano su di una manodopera relativamente istruita. Più in generale, i dati dello European Community Household Panel (ECHP) ci dicono che i migranti reagiscono a differenze nei tassi di disoccupazione e nei salari più che a differenze nei livelli di generosità del welfare. Non vedo motivi per restringerne l’accesso. M. Sinn, vuole rispondere? H.-W. S I dati del German Socio-Economic Panel (GSOEP) mostrano che gli immigrati hanno redditi inferiori alla media. Perciò sono stati percettori netti di risorse dello Stato. In media, durante i primi dieci anni di permanenza in Germania un immigrato ha ricevuto 2.300 euro all’anno in più di quanto ha versato in termini di tasse o contributi. Questo è stato un premio all’immigrazione che non ha nessuna giustificazione economica. T. B. Sono stati fatti molti altri calcoli che considerano gli effetti dell’immigrazione sulla finanza pubblica nel lungo periodo, com’è giusto che sia. Indicano che l’immigrazione dà un contributo netto alla finanza pubblica. Gli immigrati sono più giovani degli indigeni e spesso (come nel caso dell’allargamento a Est) più qualificati. All’inizio, arrivano senza famiglia e quindi non ricevono alcun assegno familiare. Più tardi diventano beneficiari netti, ma quando i loro figli crescono, tornano a essere di nuovo contribuenti netti. M. Il disaccordo tra voi due è dovuto a (i) analisi di lungo periodo contrapposte ad analisi di breve e/o (ii) all’impatto dell’immigrazione in Germania verso quello in Italia. Sinn? H.-W. S. Sono dati tedeschi e sono dati reali: Boeri può aver ragione solo se consideriamo i soli trasferimenti monetari. Dopotutto gli immigrati contribuiscono al sistema pensionistico e pagano le tasse. Tuttavia, migrano in Paesi dove esiste il welfare state e il welfare state redistribuisce da redditi al di sopra della media a redditi al di sotto della media. Forse i dati di Boeri si riferiscono agli Stati Uniti, io parlo di immigrazione europea e in particolare di immigrazione in Germania, per la quale abbiamo dati corretti. E vorrei aggiungere che i beni pubblici accessibili liberamente a tutti costituiscono la parte più importante di questa redistribuzione T.B. Anch’io parlo di Europa, basandomi su lavori sull’accesso al welfare in diversi paesi. Ma anche accettando, per amore di discussione, che gli immigrati siano beneficiari netti di trasferimenti pubblici, ciò non implica necessariamente che l’accesso ai benefici del welfare debba essere limitato. (
) H.-W. S. L’immigrazione è stato un problema per il welfare state negli Stati Uniti. New York è stata vicina alla bancarotta nei primi anni Settanta quando il sindaco Lindsay ha provato a instaurare una forma di welfare state. I poveri arrivavano in città da tutta l’America. Non si può avere un’unione formata da stati con sistemi diversi di welfare state, con immigrazione libera e pieno accesso ai servizi di welfare. T.B. In Europa abbiamo già una unione con sistemi di welfare molto diversi fra di loro. E non vedo nessuna di queste pressioni o rincorse al ribasso nell’offerta di servizi sociali. Le pressioni sui nostri sistemi derivano principalmente dall’invecchiamento della popolazione e gli immigrati sono più giovani dei residenti. H.-W. S. Le cose cambieranno quando entreranno nella UE i paesi dell’Est, perché le persone emigreranno per le enormi differenze salariali. Ma la loro scelta su dove andare all’interno della UE dipenderà molto da piccole differenze economiche, prime fra tutte le differenze tra i livelli di welfare nell’Europa occidentale. La soluzione prospettata di restringere le migrazioni nei primi sette anni dell’allargamento, non mi sembra soddisfacente. Una soluzione migliore consiste nel rinviare il pieno accesso al welfare state, e permettere la libera migrazione fin da subito. T.B. Invece io credo che sia più saggio introdurre qualche leggera (e transitoria) limitazione alle migrazioni e nessuna restrizione all’accesso al welfare. H.-W. S. Su questo non siamo d’accordo. Penso che dovremmo rispettare il Trattato di Roma e permettere l’immediata e piena libera circolazione. Ma il welfare state non dovrebbe fare regali: che sia il mercato a selezionare le persone e non i burocrati. M. Boeri, quali restrizioni metterebbe alla immigrazione? T.B. Sono favorevole a una quota (vicina alle stime di cui sopra) transitoriamente applicata a livello europeo. Potrà essere eliminata prima del tempo, se non riempita. Questo rassicurerebbe i cittadini della UE e ci permetterebbe di raccogliere maggiori informazioni sulle reali pressioni migratorie, sulle quali c’è molta incertezza. M. Sinn, che tipo di restrizioni al welfare raccomanderebbe? H.-W. S. Al di là dei problemi attuali, dobbiamo costruire un’effettiva unione europea con piena libertà per ciascuno. Limiterei l’accesso ai benefici finanziati con la fiscalità generale, come il diritto alla casa, in modo tale da tenere il bilancio in pareggio. Gli immigrati dovrebbero ricevere per quanto pagano. Il Consiglio degli economisti presso il ministero delle Finanze tedesco e l’Ifo Institute lo hanno chiamato il “principio dell’integrazione parzialmente ritardata”. (
) T.B. (in risposta a un lettore) La mobilità della forza lavoro in Europa è più bassa rispetto a quarant’anni fa perché gli europei sono molto più ricchi. E per replicare a Sinn, vorrei dire che il principio della integrazione ritardata ostacola questa mobilità, aumentando i costi della migrazione. Inoltre, non è applicabile. M. Sinn, cos’ha da dire sull’applicabilità della sua proposta di integrazione ritardata? H.-W. S. (in risposta a un lettore) Una immigrazione di questo tipo è benefica per l’Europa. In particolare, l’immigrazione dall’Est Europa. Una strategia razionale di transizione per gli europei dell’Est è inviare (in Occidente) lavoratori ospiti, che poi tornano (al loro Paese): noi dovremmo rendere possibile questa strategia. Rispondendo a Boeri: l’integrazione ritardata è senz’altro applicabile. Stiamo scrivendo la costituzione europea. La definizione della bozza di Costituzione è problematica proprio perché ammette l’accesso dell’immigrazione diretta al welfare state. In Germania, il sistema di welfare offre benefici pari a 1.500 euro a una famiglia di quattro persone. Il salario medio in Polonia è di 450 euro. Semplicemente, questa situazione non può funzionare. Siamo ancora in una fase pre-costituzionale, quando le regole del gioco possono essere scelte liberamente. M. Ancora tre minuti per la discussione. Vi invito ad arrivare alle conclusioni. T.B. Sinn non ha risposto sulla questione dell’applicabilità. Prendiamo per esempio l’esperimento PRWORA negli Stati Uniti: a livello federale hanno provato a ridurre l’accesso al welfare e i singoli stati hanno invece garantito lo stesso tipo di servizi sociali che esistevano prima che la norma fosse varata. Lo hanno fatto essenzialmente per due motivi: (i) pressioni della popolazione immigrata e ii) sentenze dei tribunali. La nostra Costituzione non ci permette discriminazioni in base alla nazionalità. Non vedo (né mi piacerebbe per la verità) una costituzione europea che calpesti questo principio. M. Sinn, può rispondere brevemente a Boeri e poi dobbiamo chiudere la discussione, dopo le vostre conclusioni. T.B. (conclusioni) Credo che dovremmo porre qualche restrizione realistica all’immigrazione e definire una politica europea comune su questo tema. Le pressioni sul nostro welfare non arrivano dalla parte del sistema non finanziata con contributi, ma dalle pensioni. E se non altro, gli immigrati ci possono aiutare a ridurre il peso delle pensioni sulle generazioni future. H.-W. S. Voglio un’Europa sociale, ma non con un pieno e immediato accesso degli immigrati al welfare perché innescherebbe una gara al ribasso nel welfare e costringerebbe la UE ad armonizzare i diversi sistemi per fermare i tagli. Ma, il welfare che funziona bene in Svezia è disastroso per Grecia, Spagna e Portogallo e i nuovi Paesi perché il welfare pone in essere un pavimento, un limite inferiore, ala contrattazione salariale. Ci saranno venti Mezzogiorno in Europa: ne abbiamo già due, uno è la Germania Est, che osservo da vicino. Possiamo ancora costruire l’Europa che vogliamo e possiamo scavalcare le sentenze della corte europea se riscriviamo la bozza di costituzione: questo è quello che dovremmo fare.
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p. sospiro
Proprio a questo proposito posso portare la mia testimonianza circa la ricerca che sto svolgendo per la mia tesi di dottorato. In realtà la mia tesi prendere in considerazione la possibilità degli immigrati di svolgere un ruolo attivo nel proprio paese di origine per mezzo delle rimesse. In particolare dei tunisini occupati nella pesca nel porto di Ancona (quindi una popolazione relativamente limitata ma importante perchè residente da lungo tempo). Tuttavia nel questionario avevo posto delle domande proprio sul welfare perchè a mio avviso non è tanto il differenziale salariale bensì quello di welfare e non solo ad attirare gli immigrati. Ebbene dai miei dati scaturisce che oltre il 28% ha ottenuto la casa popolare e oltre il 77% usufruisce degli assegni familiari, con una media di 320 euro circa. L’ottenimento della la casa è frutto della maggiore propensione ad avere figli ed alla possibilità di dichiarare un reddito più basso rispetto alla media. E gli stessi fattori agiscono per quanto riguarda gli assegni familiari. Infine, è ancora più interessante la risposta alla domanda del perchè diversi di loro si sono spostati da Mazara del Vallo ad Ancona, visto che gran parte di essi hanno come prima esperienza con l’Italia proprio Mazara. Ebbene la risposta è proprio la difficoltà di vivere in Sicilia e soprattutto la possibilità di poter ottenere la casa popolare e svolgere lavori meno pesanti. Ora personalmente credo sia necessario trovare un equilibrio tra immigrazione e welfare, proprio perchè come sostiene Sinn il welfare europeo e di alcuni paesi europei in particolare è diverso da quello americano.