Il disegno di legge del Governo sembra prevedere per i fondi pensione una vigilanza per tipologia di intermediari. Ma è una scelta dubbia. Sempre più il fondo pensione assume la veste di organizzazione istituzionale degli interessi dei propri aderenti. E dunque ha nelle banche e nelle assicurazioni una controparte. L’affidamento della tutela della sua stabilità patrimoniale allo stesso organismo che vigila su quella degli intermediari finanziari produrrebbe un singolare conflitto di interessi.

Negli ultimi anni si sono succeduti numerosi progetti legislativi volti a riconfigurare l’assetto istituzionale della vigilanza sul risparmio gestito e sugli intermediari bancari, finanziari e assicurativi. La finalità di tutti è una migliore tutela degli interessi dei risparmiatori.
Il tema della vigilanza sui fondi pensione, però, è stato spesso esaminato utilizzando chiavi di lettura e schemi interpretativi estranei alla natura e alle caratteristiche di questa particolare categoria di investitori istituzionali.

La vigilanza per finalità e il disegno di legge del Governo

Quasi tutte le soluzioni sin qui delineate hanno riproposto il definitivo superamento della vigilanza per categoria di intermediari e il rafforzamento dell’attuale modello di vigilanza per finalità. Ogni Autorità esercita così il controllo su tutte le categorie di intermediari, ma in relazione a competenze esattamente individuate: la tutela della stabilità patrimoniale degli intermediari e del contenimento del rischio alla Banca d’Italia, quella della correttezza e della trasparenza dei comportamenti degli operatori alla Consob e la salvaguardia della concorrenza fra gli intermediari (talora comprendendovi anche le banche) all’Antitrust.

Il disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri del 3 febbraio lascia intravedere una soluzione che rafforzerebbe la vigilanza per finalità nei settori bancario e finanziario e manterrebbe una sostanziale salvaguardia della vigilanza per tipologia di intermediari in quelli assicurativo e dei fondi pensione.
Pensando anche all’iter parlamentare del progetto, appare opportuno interrogarsi su quale sia il più efficace assetto della vigilanza sui fondi pensione.

L’esperienza inglese

Nei paesi in cui i fondi pensione sono una realtà importante, si rileva in genere la presenza di specifici organismi preposti alla vigilanza sul settore.
Emblematico il caso della Gran Bretagna. Nonostante si sia introdotto un modello di vigilanza sugli intermediari finanziari e assicurativi fortemente accentrato e basato su una sola Autorità (la Financial Service Authority), nel settore dei fondi pensione operano tre diversi organismi:

· la Occupational Pension Regulatory Authority (Opra). Esercita la vigilanza sugli schemi pensionistici collettivi, con compiti che vanno dal controllo del rispetto degli obblighi contributivi a carico dei datori di lavoro, alla vigilanza sull’adeguatezza delle politiche di investimento delle risorse finanziarie, all’accertamento del rispetto dei prescritti profili di trasparenza nei rapporti con gli associati.

· il Pension Ombudsman. Svolge indagini su presunte lesioni dei diritti degli aderenti ai fondi, con il potere di assumere decisioni sulle controversie insorte fra il fondo e il datore di lavoro tenuto alla contribuzione.

· il Pension Compensation Board. Gestisce un apposito fondo di garanzia destinato a risarcire gli iscritti che abbiano subito perdite patrimoniali derivanti da condotte illegali di terzi non ripianabili dal datore di lavoro.

Le specificità della previdenza complementare

La finalità ultima di un apparato di norme e strutture di vigilanza sul settore della previdenza complementare è quello di tutelare la promessa di prestazioni pensionistiche del sistema. In questa prospettiva, i tradizionali strumenti che sorreggono il complesso degli interventi su cui si fonda la vigilanza per finalità costituiscono soltanto uno dei tasselli di un mosaico di dispositivi.
L’assetto della vigilanza sui fondi pensione deve infatti risultare idoneo a stimolare:

a) l’affermazione di regole che favoriscano la partecipazione dei lavoratori e delle imprese alla gestione e alla governance dei fondi pensione (già oggi gli organi di amministrazione e controllo dei fondi negoziali sono nominati dall’organo assembleare, a sua volta eletto da tutti i lavoratori aderenti);
b) la crescita di competenze e atteggiamenti idonei a interpretare le esigenze di copertura pensionistica dei propri aderenti, soprattutto alla luce dei mutamenti del mercato del lavoro e del sistema pensionistico obbligatorio;
c) lo sviluppo di professionalità in grado di costruire strategie di investimento coerenti con le esigenze dei propri aderenti, soprattutto con riguardo al relativo grado di avversione al rischio;
d) l’adozione di metodologie idonee a selezionare per la gestione del patrimonio finanziario gli intermediari più capaci sotto il profilo operativo, più competitivi sul piano dei costi e, soprattutto, in grado di offrire le combinazioni di rischio e rendimento più in linea con le strategie di investimento del fondo;
e) la diffusione di meccanismi di solidarietà e mutualità volti, ad esempio, a favorire la stabilizzazione del valore delle posizioni assicurative nel tempo e l’adozione di eguali regole per il calcolo della pensione complementare fra individui di diverso sesso;
f) l’affermazione di strumenti di controllo e repressione delle diffuse aree di evasione contributiva, analoghi a quelli esistenti nell’ambito della previdenza obbligatoria, finalizzati a salvaguardare il rispetto degli obblighi contributivi a carico delle imprese.

Il rischio di conflitti di interessi istituzionali

Accomunare gli intermediari bancari, finanziari e assicurativi a investitori istituzionali quali i fondi pensione costituisce, sul piano dell’assetto istituzionale della vigilanza, un’improprietà foriera di formidabili contraddizioni.
Gli intermediari finanziari e assicurativi rappresentano una delle principali controparti dei fondi pensione.
La stessa storia degli interventi di vigilanza posti in essere dalla Covip all’avvio delle prime esperienze dimostra come la tutela del settore passi attraverso lo sviluppo di condizioni che permettano agli amministratori dei fondi pensione di affermare gli interessi dei lavoratori iscritti, anche a scapito degli interessi degli intermediari finanziari. Basti pensare all’aumento della trasparenza ottenuto con il cosiddetto regime della commissione di gestione onnicomprensiva, in base al quale gli amministratori dei fondi devono pretendere che i costi di gestione del patrimonio non siano articolati in mille componenti, di difficile quantificazione, bensì individuati in un’unica misura.
Se il fondo pensione assume la veste di organizzazione istituzionale degli interessi dei propri aderenti, l’affidamento della tutela della stabilità patrimoniale degli intermediari finanziari e dei fondi pensione a un medesimo organismo produrrebbe, sul piano istituzionale, un singolare conflitto di interessi.
In conclusione, appare auspicabile che le riflessioni sull’assetto della vigilanza sui fondi pensione non risultino condizionate da analisi basate su schemi interpretativi validi per i settori della finanza e delle assicurazioni.
Dovrebbero bensì trarre spunto dalle modalità che contribuiscono ad accrescere sul piano concreto il livello di certezza delle prestazioni pensionistiche complementari.
È una realtà che già oggi riguarda più di due milioni e mezzo di lavoratori, per un patrimonio di 35 miliardi di euro. Ed è stata costruita anche attraverso l’impegno delle più importanti organizzazioni sindacali dei lavoratori e delle imprese, che sulle sorti di questi organismi previdenziali hanno “investito” un pezzo importante della propria reputazione.

 

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