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Tre punti critici e un Ddl

Anche se i suoi sostenitori sembrano diminuire di giorno in giorno, il disegno di legge per la tutela del risparmio resta necessario e urgente e deve affrontare correttamente tre questioni per raggiungere i suoi obiettivi: equilibrio negli interventi per rimediare ai fallimenti del sistema dei controlli, riordino delle funzioni di vigilanza sui mercati per linee funzionali, indipendenza delle autorità preposte ai controlli. Un comitato ristretto per redigere rapidamente una versione finale sarebbe garanzia di solidità e qualità giuridica in materie così delicate

L’esame del disegno di legge per la tutela del risparmio inciampa di nuovo, con le dimissioni del relatore di maggioranza, in un clima rarefatto nel quale le truppe dei sostenitori sembrano ogni giorno assottigliarsi.
Eppure, il provvedimento resta necessario e urgente. Sul fronte internazionale, perché l’immagine del mercato finanziario è stata seriamente ferita, e il danno deve essere riparato. Sul fronte interno, perché l’incapacità di dotarci di regole e strumenti di vigilanza adeguati a prevenire nuovi scandali come Cirio e Parmalat aprirebbe ancora una volta la strada alle soluzioni giudiziarie, con gravi danni per l’ordinato funzionamento del sistema finanziario.
Tre sono le questioni che il disegno di legge, a mio avviso, deve affrontare correttamente per raggiungere i suoi scopi.

Il fallimento dei controlli

La prima questione riguarda l’equilibrio degli interventi nel rimediare ai fallimenti emersi nel sistema dei controlli. Tali fallimenti interessano due aspetti: i controlli interni ed esterni degli emittenti e il rispetto dei doveri fiduciari degli intermediari e delle reti di collocamento di prodotti finanziari nei confronti dei risparmiatori.

Sul primo aspetto, il disegno di legge, almeno nel suo testo attuale, interviene persino in modo troppo drastico: impone per legge la separazione delle persone del presidente del consiglio di amministrazione e dell’amministratore delegato (articolo 1), attribuisce al collegio sindacale effettivi poteri di revoca degli amministratori (articolo 3), affida ai pubblici poteri la sorveglianza sull’attuazione del Codice di autodisciplina e ne sanziona penalmente le “false dichiarazioni”. Tali previsioni non hanno parallelo negli ordinamento stranieri più rigorosi.

In questo ambito, il recepimento della direttiva europea sugli abusi di mercato (articolo 13) e i nuovi poteri dell’autorità di vigilanza sui mercati (Amef) – purché effettivamente esercitati – già garantiscono un adeguato rafforzamento del sistema.

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Invece, il provvedimento potrebbe essere reso più incisivo negli interventi a diretta tutela dei risparmiatori: non solo escludendo la possibilità del collocamento ai privati di titoli riservati all’emissione agli investitori istituzionali per un periodo di almeno dodici mesi, ma introducendo esplicite previsioni sul rispetto dei doveri fiduciari verso i clienti da parte di chiunque distribuisca prodotti finanziari al pubblico. Sulla scorta dell’esperienza inglese, questa previsione è ora inclusa nella nuova direttiva europea sui servizi di investimento, che comunque dovrà essere trasposta nell’ordinamento italiano. Faremmo bene ad anticiparne l’applicazione a tutti gli intermediari e le reti di distribuzione dei prodotti finanziari .

Le funzioni di vigilanza

La seconda questione riguarda il riordino delle funzioni di vigilanza sui mercati per linee funzionali, attribuendo ad autorità separate i controlli di trasparenza sugli emittenti e il mercato, i controlli prudenziali e quelli di concorrenza.

In nessun paese europeo la banca centrale esercita anche i controlli di concorrenza. Quanto ai controlli di trasparenza, l’esclusione dei prodotti finanziari e assicurativi dall’obbligo di prospetto porta non poche responsabilità dei danni inflitti ai risparmiatori. Inoltre, il nostro sistema di vigilanza specializzata per intermediari è esposto a rischi rilevanti di “cattura” dell’ente vigilante da parte dei soggetti vigilati, come del resto è confermato dalla strenua difesa del sistema attuale di vigilanza per settore da parte delle banche e delle società di assicurazione.

Qui il fuoco di sbarramento nelle ultime settimane è divenuto molto intenso. I target principali sono gli articoli del disegno di legge che attribuiscono all’autorità antitrust i poteri di concorrenza sul sistema bancario (articolo 59) e applicano alla banca centrale i principi generali sulla motivazione dei provvedimenti amministrativi (articolo 22 e 23). L’obiettivo è evidente: si vuol salvaguardare la possibilità di continuare a usare la “moral suasion” nel governare la struttura proprietaria e i processi di concentrazione nel sistema bancario, in contrasto con i principi europei sulla mobilità dei capitali.

L’indipendenza delle autorità di controllo

La terza questione, infine, riguarda l’indipendenza delle autorità preposte alla vigilanza sui mercati. Al riguardo, si profilano due pericoli di segno opposto. Da un lato, le procedure di nomina e revoca dei commissari negli organi collegiali di vigilanza rischiano di comprometterne l’indipendenza. In particolare, la previsione di una maggioranza super-qualificata – due terzi della Commissione parlamentare di sorveglianza, articolo 24 – per la conferma parlamentare del governatore della Banca d’Italia e del presidente dell’Amef, è suscettibile di determinare impropri scambi politici nella scelta del candidato e degli altri membri del collegio. Le norme sulla revoca dei commissari della istituenda Amef assomigliano pericolosamente a quelle del Consiglio della Rai, laddove è prevista la decadenza del collegio in caso di dimissioni o revoca della maggioranza dei commissari (articolo 33).

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Dall’altro lato, andrebbero respinte anche le pretese di coloro che si oppongono all’introduzione di appropriate procedure di responsabilità – accountability – delle autorità indipendenti nei confronti del Parlamento. Da questo punto di vista, non basta l’indicazione nella legge degli obiettivi dell’autorità nella legge. L’autorità deve anche essere chiamata a spiegare come ha usato i propri poteri per realizzare tali obiettivi, sottoponendosi al giudizio del Parlamento e dell’opinione pubblica. La formulazione attuale del disegno di legge qui appare soddisfacente; ma l’assalto di chi vuole un potere amministrativo autonomo, sottratto allo scrutinio del Parlamento, è vigoroso.

Il testo preparato dai relatori del provvedimento davanti alle commissioni della Camera costituisce una eccellente base di lavoro, ma richiede di essere “ripulito” da molte formulazioni imprecise e ridondanti e, in qualche caso, di cedimenti populistici dei quali non v’è bisogno.
Un comitato ristretto incaricato di redigere rapidamente una versione finale per l’approvazione delle commissioni e, poi, dell’assemblea, sarebbe garanzia di solidità e qualità giuridica in materie tanto tecniche quanto delicate.

 

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  1. Luca Pieroni

    Trovo limitativo, ed in parte fuorviante, concentrare il problema della tutela del risparmio sostanzialmente su due elementi: controlli ed esclusione della possibilita’ di collocare alcuni prodotti al retail.
    Uno dei limiti principali alla “pulizia” del mercato e’ dato dalla selettivita’ concessa prevalentemente allo sportello e, secondariamente al promotore “monomandatario”.
    Oggi, il signor Mario che va in banca puo’ disporre solo di una parte, spesso molto ristretta e rigorosamente “captive” di prodotti del mercato.
    Se va alla Popolare “X” potra’ avere solo fondi Arca ed eventualmente pochi altri prodotti gestiti; se va da Unicredito avra’ i Pioneer e altri pochi collegati. Spesso (quasi sempre) non puo’ accedere a prodotti ottimizzanti come gli ETF. Il suo “consulente bancario” di fatto ha un range limitato di prodotti (oltre a vincoli di stimolo interno). Alla fine il rischio di andare a pescare bond o titoli poco adatti ad un investimento diretto e contenuto e’ elevato.
    Se il Sig. Mario, dopo aver studiato le classifiche e i rating dei prodotti gestiti, volesse farsi un “giardinetto” con i migliori fondi per comparto, bilanciati da un paio di ETF, cosa realizzabile anche con 30-50.000 euro (cifra che pero non consente di accedere ai servizi di una SIM), dovrebbe fare il giro delle sette chiese, aprire un numero smodato di rapporti, avere difficolta’ per bilanciare e ottimizzare il portafoglio: secondo voi e’ plausibile ? No. Alternativamente, ma ancora meno plausibilmente dovrebbe cambiare banca, con tutto cio’ che comporta.
    Sostanzialmente stesso problema riguarda i “promotori”: sono o non sono professionisti abilitati da un esame ? Allora perche’ devono essere monomandatari ? Se devono consigliare il cliente come possono farlo non avendo a disposizione il mercato ?
    Il piccolo e medio risparmiatore in questa situazione non avra’ mai un “giardinetto” equilibrato, performante, diversificato e a rischio controllato. Avra’ quello che trova nella propria banca o dal proprio promotore.
    In compenso alcune Sgr decisamente “scadenti” avranno una raccolta garantita dai propri canali a prescindere dalla qualita’ dei propri prodotti e continueranno a stare sul mercato e rosicchiare commissioni (da cui la “notizia”: <>), a scapito del Signor Mario e dei suoi simili.
    Quale soluzione ? Semplice: vuoi vendere fondi ? Li devi vendere tutti, ma proprio tutti (ETF inclusi), caricando ordinarie commissioni di negoziazione standard (per i tuoi e per quelli degli altri, ferme le commissioni del fondo) come per titoli azionari o i bond, con tutti i warning del caso prodotto per prodotto. Cominciamo a lavorare sull’ampiezza delle alternative di investimento, soprattutto quelle “fatte per il retail”.
    In un simile sistema anche il processo di controllo sarebbe piu’ agevole, la difesa delle banche contro accuse di “cattivi consigli” piu’ difficile, e l’esclusione di prodotti rischiosi dal retail piu’ praticabile.
    Temo pero’ che una simile apertura vada a danneggiare il sistema delle banche che, attraverso le proprie SGR contituano a “piazzare” prodotti non efficienti ottenendo comunque risultati.

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