Il lavoratore straniero regolarmente soggiornante viene discriminato rispetto a quello italiano sia perché si rende più onerosa la sua assunzione, sia perché il rinnovo del permesso di soggiorno è costellato di passaggi bizantini. Il mercato del lavoro richiede politiche migratorie strutturate in modo da poter reagire rapidamente ed efficacemente. Se ai lavoratori migranti si toglie la possibilità di rispondere a queste esigenze, inevitabilmente si infittiranno le fila degli irregolari.

Le modifiche intervenute in Italia in materia di migrazioni economiche risentono della generale filosofia della normativa di riforma, improntata ad una visione dell’immigrazione come fenomeno da disciplinare secondo la prospettiva dell’ordine pubblico, orientata al drastico restringimento dei canali di ingresso regolare e delle condizioni paritarie nello svolgimento del rapporto di lavoro, nonché alla precarizzazione del soggiorno.

Il contratto di soggiorno

Principio informatore della disciplina dell’immigrazione è che la permanenza dello straniero sul territorio italiano e la sua integrazione siano collegate all’effettivo svolgimento di un’attività lavorativa.
In questo ambito la riforma ha introdotto la figura del contratto di soggiorno per lavoro subordinato: i datori di lavoro interessati all’assunzione di stranieri devono assicurare, oltre a un contratto di lavoro, anche le somme per il biglietto di rimpatrio degli stranieri da loro chiamati in Italia, e un’adeguata sistemazione alloggiativa. (1)

Il contratto di soggiorno, oltre a regolare il rapporto tra datore di lavoro e lavoratore straniero, costituisce la causa per la quale viene rilasciato il permesso di soggiorno.
Ciò che si rivela incongruamente penalizzante per il lavoratore straniero è che per il rinnovo del permesso di soggiorno è necessaria la periodica verifica della sussistenza di un contratto di soggiorno per lavoro con tutto ciò che ne consegue in ordine alle garanzie (garanzia dell’alloggio e accollo delle spese di rientro).

Disparità di trattamento

Il lavoratore straniero regolarmente soggiornante viene così discriminato rispetto a quello italiano perché si rende più onerosa la sua assunzione e perché a ogni rinnovo del permesso di soggiorno deve sottoporsi a procedure gravose.
Si profila quindi una violazione del principio fondamentale di parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti dei lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti rispetto ai lavoratori italiani, di cui all’articolo 2, comma 3 del Testo unico (principio sancito dalla Convenzione Oil n. 143 del 1975, ratificata con legge n.158/81).

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Una simile diversità di trattamento può risultare ammissibile in relazione all’accesso degli stranieri nel territorio nazionale, esistendo in materia un’ampia discrezionalità legislativa, ma è incompatibile con il citato principio di parità, se imposta ai lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti.
Persiste poi una situazione di svantaggio nell’accesso agli alloggi che si riflette inevitabilmente sulle possibilità di instaurare un valido rapporto di lavoro. La legge 189/2002 richiede che il titolo di soggiorno abbia una durata almeno biennale per una completa parificazione degli stranieri ai cittadini italiani nell’accesso agli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Da questa possibilità sono comunque esclusi gli iscritti nelle liste di collocamento (articolo 40, comma 6 del Tu).

È palese l’incompatibilità con il principio di non discriminazione di cui all’articolo 3 della Costituzione e agli articoli 43 e seguenti del Tu.

Tempi lunghi per il rinnovo

Ai fattori di disuguaglianza, si aggiungono le lungaggini burocratiche che nella prassi accompagnano il rinnovo del titolo di soggiorno.
Di fatto, i tempi di rilascio o di rinnovo del permesso sono di gran lunga superiori ai venti giorni dalla richiesta previsti dalla legge (articolo 5, comma 9 Tu) perché la disposizione ha un carattere ordinatorio, non vincolante, e non sono previste sanzioni.
In questo lasso di tempo, il lavoratore straniero resta privo di un documento indispensabile per il godimento dei diritti associati alla titolarità del permesso di soggiorno: non può esercitare il diritto all’unità familiare, accendere un conto corrente bancario, convertire la patente.

È vero che la normativa di riforma ha chiarito con una modifica all’articolo 22 del Tu che è lecito occupare lavoratori stranieri titolari di un permesso di soggiorno che abiliti al lavoro, per il quale sia stato chiesto nei termini di legge il rinnovo. Tuttavia, è necessario che venga chiaramente affermato che i diritti e le facoltà associate alla titolarità del permesso valgono fino alla decisione dell’amministrazione sulla richiesta di rinnovo. Sarebbe sufficiente accordare la possibilità di utilizzare, a tutti gli effetti, la ricevuta della richiesta di rinnovo del permesso.
In vista dell’adozione dei regolamenti di attuazione della legge n.189/2002, si dovrebbe pensare a una semplificazione delle procedure di rinnovo. Soprattutto, “andrebbe valutata l’opportunità e l’efficacia di ricondurre ai servizi di anagrafe dei Comuni, con sportelli informaticamente integrati, l’acquisizione delle richieste e il rilascio dei rinnovi del permesso e della carta di soggiorno”. (2)

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Il mercato del lavoro richiede politiche migratorie strutturate in modo da poter reagire rapidamente ed efficacemente. Se ai lavoratori migranti si toglie la possibilità di rispondere a queste esigenze, imponendo loro restrizioni giuridiche e condizioni, inevitabilmente si infittiranno le fila degli irregolari.

(1) È inoltre prevista la procedura di verifica preventiva dell’indisponibilità di altri lavoratori italiani o cittadini dell’unione Europea o stranieri iscritti al collocamento a ricoprire i posti di lavoro vacanti.

(2) Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, assemblea 25 marzo 2004, Il documento programmatico triennale 2004/2006 sulla politica dell’immigrazione, Osservazioni e proposte, pag. 5.

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