Ormai vicina la ratifica russa, il Protocollo di Kyoto potrà finalmente entrare in vigore. E’ un fatto epocale, perché è uno dei pochi trattati internazionali che vincolano così tanti paesi e su una materia di grande rilievo come quella del clima, che tocca interessi economici rilevantissimi. E’ soprattutto un successo della parte ambientalista della burocrazia di Bruxelles. Pone le premesse per l’assunzione di più stringenti impegni nel futuro. E dunque sarà bene che anche in Italia si cominci a pensare seriamente a come rispettare gli impegni internazionali.

La ratifica russa del Protocollo di Kyoto sembra ormai scontata dopo la decisione del presidente Putin di inviare alla Duma per approvazione il relativo disegno di legge. Secondo le ultimissime notizie ciò potrebbe accadere il 22 ottobre e il Protocollo potrebbe così entrare in vigore già dalla seconda metà di gennaio del 2005.

La Russia e il Protocollo

Il disegno di legge è stato presentato dal ministro dell’Industria e dell’energia Viktor Khristenko e appoggiato dal vicepremier Aleksandr Zhukov. Dopo l’approvazione della Duma, la quota delle emissioni dei paesi che hanno firmato il Protocollo passerà dal 44,2 per cento al 61,6 per cento, quindi oltre la soglia richiesta del 55 per cento. Il Protocollo entrerà così in vigore in 125+1 Stati. Concretamente, significa che diverranno operativi i cosiddetti “meccanismi flessibili“: la compravendita dei permessi di emissione fra i paesi industrializzati (“emission trading”), la promozione di “joint ventures” finalizzate al trasferimento di tecnologie più pulite (“joint implementation”) ai paesi in via di sviluppo (“clean development mechanism”) con la relativa valutazione dei crediti di emissione.

La partecipazione di Mosca renderà disponibili per il sistema di “emission trading” i permessi di emissione russi. In seguito alla crisi dell’industria pesante, le emissioni di gas-serra russe sono precipitate di un quarto sotto i livelli del 1990 (il riferimento per gli impegni di riduzione di Kyoto). La Russia ha dunque molti “crediti” da immettere sul mercato dell’anidride carbonica, che non corrispondono a genuini sforzi di riduzione delle emissioni e sono perciò noti come “hot air”, aria calda. In linea di principio, l’abbondanza di offerta deprimerebbe i prezzi, con conseguenti minori introiti per i venditori di permessi. Una valutazione prudenziale che consideri un prezzo medio per tonnellata di 10 euro stima in 400 milioni di euro il valore dei crediti russi. Senonché gli analisti sono concordi nel ritenere che la Russia andrà ad affiancarsi a Ucraina e Bulgaria – due altri paesi ricchi di “hot air” – per esercitare il potere di mercato che detengono. Ciò porterà a una restrizione dell’offerta, strategia che gli analisti del sito specializzato Point Carbon stimano potrebbe fruttare fino a 10 miliardi di dollari americani.

La ratifica russa attribuisce un’altra valenza anche all’Eu-Ets – il mercato europeo dei permessi. L’Unione europea ha infatti approvato un sistema comunitario di “emission trading”, che verrà attuato indipendentemente dall’entrata in vigore di Kyoto: la compravendita delle emissioni comincerà comunque all’inizio di gennaio 2005. Tuttavia, le imprese coinvolte ora sanno che i limiti alle emissioni dei loro governi non possono essere rinegoziati e che quindi anche quelli previsti dal sistema europeo non potranno essere modificati.

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La Convenzione di Rio di nuovo in rotta

La ratifica russa ha il merito di aver rimesso in moto il processo cominciato con la Convenzione sui cambiamenti climatici, firmata a Rio de Janeiro nel 1992, continuato con l’approvazione del Protocollo di Kyoto nel 1997, e con le nove “Conferenze della parti” della Convenzione che si sono succedute da quell’anno. È un processo che stava ormai languendo, dopo l’esplicito rifiuto americano del 2001 e di fronte alle persistenti titubanze di Mosca. La decima Conferenza delle parti (Cop), prevista in dicembre a Buenos Aires, rischiava insomma di essere uno stanco happening, come quelli degli ultimi anni.
I tempi tecnici (1) non permetteranno di trasformare la riunione di Buenos Aires nel primo “Meeting delle Parti” (Mop) del Protocollo, cui partecipa con pieno diritto solo chi ha ratificato Kyoto e che dovrà decidere le sanzioni per chi non rispetta gli impegni vincolanti di riduzione delle emissioni.
Tuttavia, la prospettiva certa dell’entrata in vigore del Protocollo cambierà completamente l’atmosfera della Conferenza di dicembre, consentendo finalmente l’avvio, seppure informale, del negoziato sul “secondo periodo“, quello non coperto dalle attuali disposizioni di Kyoto. L’obiettivo è la riduzione del 5,2 per cento entro il 2008-2012 delle emissioni in una trentina di paesi industrializzati (paesi Annex B). Nel periodo successivo al 2012, le riduzioni dei gas-serra dovranno essere molto più drastiche e coinvolgere anche i paesi in via di sviluppo, a cominciare da Cina e India. Un tentativo dell’UE di avviare le discussioni con i paesi in via di sviluppo due anni fa, in India, si era rapidamente arenato.
A Buenos Aires, infine, si capirà se gli Stati Uniti, responsabili di un terzo delle emissioni di gas-serra, continueranno o meno a chiamarsi fuori dallo sforzo globale di Kyoto. Molto dipenderà dal fatto che vi sia a Washington una nuova amministrazione Kerry o una riconfermata presidenza Bush. Gli esperti d’oltreoceano sono concordi nel ritenere che anche un Kerry presidente non rivedrebbe la posizione Usa su Kyoto. Sicuramente, però, attuerebbe un qualche sistema domestico di limiti alle emissioni con mercato dei permessi – à la Lieberman-McCain. E ciò che più conta è gettare le premesse per un rinnovato sforzo congiunto nel periodo successivo. La stessa ratifica russa va vista anche come un vincolo all’assunzione di più stringenti impegni nel futuro.

Come valutare l’avvenimento?

L’avvio del Protocollo di Kyoto, reso possibile dalla tenacia europea e dalla disponibilità russa, è a nostro parere un fatto epocale. Non per il suo contenuto quantitativo – ben altri sforzi sarebbero e saranno necessari per stabilizzare il clima – ma per il suo significato. È uno dei pochi trattati internazionali che vincolano così tanti paesi e su una materia di così grande rilievo come quella del clima, che tocca interessi economici rilevantissimi. È un grande successo, va detto chiaramente, della eurocrazia di Bruxelles, o meglio della sua parte ambientalista.
La ratifica russa del Protocollo è anche un importante esempio di issue linkage: strategia ben nota agli esperti di teoria dei giochi, che consiste nel legare o collegare più accordi con oggetto differente al fine di indurre i singoli partecipanti ad aderire a un trattato internazionale, laddove l’adesione al singolo accordo non offre a un paese sufficienti incentivi. In questo caso, l’Europa ha “legato” l’adesione russa all’accordo sul clima al suo ingresso nel Wto, l’organizzazione mondiale del commercio. È un esempio da seguire pensando ai paesi in via di sviluppo e, in particolare, all’accoppiata clima-trasferimenti internazionali di tecnologia.

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E l’Italia?

È necessario distinguere le questioni relative al Protocollo da quelle legate all’emission trading europeo che prenderà il via il 1 gennaio 2005.
La Commissione ha gia approvato otto “piani nazionali di allocazione delle emissioni”, indispensabili per poter entrare nel sistema di compravendita dei permessi. Altri otto Nap saranno approvati fra breve, mentre per i piani di Italia, Spagna, Lituania e Polonia sono stati chiesti chiarimenti o modifiche. Cinque paesi (Grecia, Cipro, Malta, Ungheria e Repubblica Ceca) non hanno ancora presentato i loro piani, nonostante la scadenza fosse il 31 marzo per i vecchi Stati membri e il primo maggio per i nuovi.
Le imprese dei paesi inadempienti o ancora sotto esame rischiano di non poter partecipare fin dall’inizio al sistema di “emission trading”, con gravi conseguenze per quelle che hanno bisogno di comprare permessi di emissione per essere in regola con i piani nazionali di allocazione.
Se oggi il prezzo per il permesso di emettere una tonnellata di CO2 è intorno ai 10 euro, una volta che il sistema sarà in funzione si potrebbe dover pagare assai di più.
Due le conseguenze quindi per i paesi ritardatari: innanzitutto, le imprese nazionali, costrette a comprare permessi più cari, potrebbero chiedere i danni allo Stato (secondo quanto stabilito dalla giurisprudenza della Corte UE in caso di non applicazione del diritto comunitario). In secondo luogo, se non rispettano gli impegni nazionali di riduzione nel 2008, gli Stati membri dovranno pagare a Bruxelles multe salate, pari a 40 euro per tonnellata di CO2 “illegale”.

Si può dunque comprendere il disappunto con cui la notizia della ratifica russa del Protocollo è stata forse accolta in alcuni nostri ambienti governativi. Molti osservatori giudicano il nostro piano di allocazione eccessivamente generoso. Sarà dunque bene che si cominci a pensare seriamente a come rispettare gli impegni internazionali. Se non sono quelli del mercato europeo dei permessi, saranno comunque quelli del Protocollo di Kyoto che anche l’Italia, per mano di questo Governo, ha ratificato.


(1) Dopo la decisione della Duma, la Russia dovrà depositare gli strumenti della ratifica alle Nazioni Unite, e novanta giorni dopo entrerà in vigore il Protocollo di Kyoto.

 

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