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Conflitti istituzionali a Bruxelles

Nell’impossibilità di sfiduciare il singolo commissario, il Parlamento europeo minaccia la censura dell’intera Commissione. Non disponendo dei voti per ottenere la fiducia, Barroso ha chiesto
un rinvio del voto. Tutto questo poteva essere evitato accettando la proposta della Convenzione di una rosa di nomi nella designazione dei Commissari.

Mentre il braccio di ferro tra il presidente designato della Commissione europea José Manuel Durao Barroso e il Parlamento europeo sulla conferma dell’onorevole Rocco Bottiglione continua approfittando della pausa che le due parti si sono concesse, mi sembra utile spendere qualche parola sulla natura del conflitto emerso, che è di natura sia politica sia istituzionale.

L’aspetto politico

L’aspetto politico è presto detto: la Commissione è la depositaria del potere di iniziativa, senza la sua iniziativa nulla si muove a livello europeo, né sul piano legislativo né su quello degli atti e delle decisioni di policy. Di fatto, all’interno della Commissione l’iniziativa dipende soprattutto o esclusivamente dal singolo commissario, del quale il collegio perlopiù conferma, magari con qualche correzione, le proposte. Per le decisioni sui casi individuali – come ad esempio la decisione di adire la Corte di giustizia per violazione del Trattato da parte di un paese membro – il ruolo dei singoli commissari è determinante.
Nel caso specifico, la questione è resa esplosiva dal fatto che ormai abbiamo “comunitarizzato” aspetti rilevanti delle politiche di asilo, immigrazione e non discriminazione: materie che fino a ieri appartenevano strettamente alla sfera politica nazionale e, in effetti, alle tematiche tipiche di legittima divergenza tra i diversi schieramenti politici.

La Commissione, però, non può “fare politica” nello stesso senso in cui la fanno i governi nazionali. Essa è il garante – neutrale e indipendente – dell’applicazione del Trattato e del diritto comunitario. La valutazione di discrezionalità inevitabilmente coinvolta nella decisione di agire o non agire attiene esclusivamente alla valutazione dell’interesse comunitario e della sua efficace realizzazione.
Con il voto contrario sulla sua designazione, la commissione del Parlamento europeo ha indicato la sua sfiducia rispetto alla volontà o capacità del commissario di dare efficace realizzazione alle politiche europee e al diritto comunitario. Non ha espresso, a me sembra, alcuna valutazione anticristiana o pregiudizialmente contraria al governo italiano. Come conferma l’opportuna lettera di scuse inviata dall’aspirante commissario al Parlamento europeo.

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L’aspetto istituzionale

L’aspetto istituzionale riguarda i poteri del Parlamento europeo. Questi non approva il programma di azione politica dell’Unione, che è deciso dal Consiglio europeo; non decide la dimensione del bilancio complessivo, i modi del suo finanziamento e, dal lato delle spese, la parte relativa alla politica agricola comune, che pure rappresenta quasi la metà delle spese totali.
Tuttavia, ha il potere di rigettare l’intera Commissione, al termine di audizioni individuali del presidente e dei singoli commissari; può rifiutare l’approvazione del bilancio annuale e può chiedere variazioni nei capitoli annuali di spesa decisi con il suo concorso; legifera nelle materie indicate dal Trattato insieme al Consiglio dei ministri (“codecisione”) ed esercita il controllo sull’azione della Commissione.

Il potere di leva del Parlamento europeo

Questa struttura dei poteri produce conseguenze importanti: non disponendo dei poteri di iniziativa dei parlamenti nazionali, il Parlamento europeo usa i suoi poteri di approvazione e censura per promuovere attraverso la Commissione le decisioni politiche, economiche e finanziarie che non è in grado di deliberare autonomamente.
Un caso esemplare è costituito dalle condizioni poste dal Parlamento per dare via libera alle nuove procedure decisionali in materia di servizi finanziari – le cosiddette procedure “Lamfalussy” – decise dal Consiglio europeo nel 2001. Tali procedure prevedono che le direttive si limitino a indicare le linee generali della normativa, lasciando a un comitato del Consiglio dei ministri – il Comitato europeo per gli strumenti finanziari – l’emanazione delle norme di dettaglio (implementing measures). Le decisioni dei comitati del Consiglio, però, sfuggono al controllo parlamentare: ragione questa di controversie antiche tra Parlamento, Commissione e Consiglio.
Attraverso la minaccia di bloccare le direttive sui servizi finanziari, il Parlamento alla fine ha ottenuto non solo poteri estesi di controllo sull’attività del comitato, ma anche la previsione di una clausola di decadenza automatica (sunset clause) delle procedure Lamfalussy, dopo quattro anni dall’introduzione. In tale modo, il suo potere di leva sull’applicazione di tali procedure è diventato fortissimo. Inoltre, il precedente ha ampliato di fatto i suoi poteri di scrutinio sull’attività di tutti i comitati del Consiglio.

Il bilancio della Comunità è il terreno tipico per l’esercizio di questo potere di leva. Non portando la responsabilità né dell’onere totale per i contribuenti, né della sua composizione per grandi capitoli, il Parlamento ha utilizzato il potere di approvazione del bilancio per ottenere interventi e programmi cari al cuore dei singoli parlamentari, anche se non necessariamente coerenti con le politiche generali della Comunità.
Soprattutto, ha tenuto sotto scacco la Commissione, negando in due occasioni l’approvazione del bilancio annuale (nel 1979 e nel 1994). Il rifiuto di approvare il bilancio relativo al 1996 condusse al principio del 1999 alle dimissioni della Commissione Santer, sotto minaccia di una mozione generale di censura che aveva buone possibilità di ottenere la maggioranza del Parlamento.

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Il problema istituzionale più rilevante

Quell’episodio ci riporta al problema istituzionale più rilevante, di nuovo sollevato dalla bocciatura in commissione Giustizia della candidatura Buttiglione. Ora, come nel 1999, nell’impossibilità di sfiduciare il singolo commissario, il Parlamento alza la posta e minaccia la sfiducia dell’intera Commissione; la contropartita politica diventa la “sottomissione” del presidente della Commissione, che per questo rischia di perdere il sostegno del Consiglio.
Ora, come allora, il problema potrebbe essere risolto dalla rinuncia del singolo commissario, se questo non creasse uno stigma politico inaccettabile anche per il paese che lo ha designato: conseguenza, questa, inevitabile di una procedura di designazione che affida ai paesi membri l’indicazione del commissario nazionale, che il presidente della Commissione deve accettare.

In questo senso, la controversia politica nasconde un duro braccio di ferro istituzionale tra il Consiglio e il Parlamento europeo.
Per mitigare il problema, la Convenzione aveva proposto che i paesi membri indicassero una rosa di nomi, e non un nome solo, al presidente designato della Commissione; ma la proposta non è stata accolta dalla Conferenza intergovernativa. Dunque, il problema resta irrisolto e continuerà a produrre gravi danni politici alla costruzione europea.



Link alla Costituzione Europea: http://www.governo.it/costituzione_europea/index_costituzione.html

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