La Banca mondiale deve diventare più trasparente e assumersi la responsabilità delle sue attività. Servono dunque meccanismi per misurare sistematicamente i risultati e valutare l’impatto reale di programmi e operazioni. Soprattutto, però, devono contare di più i paesi in via di sviluppo, accettando la loro richiesta di maggiore partecipazione al capitale. Ciò aumenterebbe i controlli interni e metterebbe la Banca mondiale nelle condizioni di promuovere meglio la riduzione della povertà e la stabilità economica internazionale.

La Banca mondiale non è una banca. È una agenzia specializzata delle Nazioni Unite, creata nel 1944 a Bretton Woods, con il mandato di prevenire crisi economiche e di favorire lo sviluppo.

I proprietari

Il Gruppo della Banca mondiale (World Bank Group) è di proprietà dei governi dei paesi membri. (1) A ogni paese tocca un numero di azioni che deriva dal capitale versato, che a sua volta dipende da considerazioni geopolitiche e dalle dimensioni della sua economia. Il potere di voto è legato alle azioni possedute. Gli Stati Uniti, con il 16,41 per cento dei voti, sono l’azionista di maggioranza relativa, seguiti da Giappone (7,87 percento), Germania (4,49 percento), Regno Unito (4,31 percento), e Francia (4,31 percento). Il resto dei voti è diviso tra gli altri Stati membri. I governi azionisti sono responsabili del finanziamento e dell’allocazione delle risorse, e delegano la gestione dell’ordinaria amministrazione ai direttori esecutivi, di stanza a Washington, che compongono il consiglio d’amministrazione (Board of Directors). I cinque azionisti più grandi (il G-5) nominano ciascuno un direttore esecutivo, mentre gli altri paesi membri (più di 160) ne eleggono diciannove.

La missione

Una delle più importanti fonti di assistenza allo sviluppo, la Banca mondiale cerca di trasformare le risorse delle nazioni ricche in crescita dei paesi poveri, cui offre assistenza tecnica e risorse (più o meno, 20 miliardi di dollari l’anno) altrimenti inaccessibili o troppo care. Per esempio, è il maggior finanziatore internazionale d’educazione (a oggi, ha allocato circa 33 miliardi di dollari e finanzia 157 progetti in 83 paesi). Dal 1996 con il Fondo monetario internazionale, si adopera per la cancellazione di due terzi del debito esterno dei paesi poveri e più indebitati (Highly Indebted Poor Countries Iniziative, Hipc). (2)
Se è vero che negli ultimi anni la povertà è diminuita, soprattutto in India e in Cina, rimane il fatto che la lotta alla povertà non è vinta e lo sviluppo dei paesi poveri è ancora in alto mare. Per esempio, il 92 per cento dell’Africa è al buio, privo di elettricità. E il futuro preoccupa, perché la bomba demografica è innescata: nei prossimi venticinque anni nasceranno, per lo più nei paesi poveri, altri due miliardi di persone. La sfida per ridurre la povertà, e gli squilibri da essa creati, è enorme. La Banca mondiale è deputata a provarci.

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Una riforma che s’ha da fare

Per poter raccogliere tale sfida, l’istituzione deve cambiare governance. Su questo sono d’accordo le posizioni estreme dei neo liberal e no global e quelle moderate dei governi dei paesi proprietari. (3)
La Banca mondiale deve essere più libera dalle pressioni politiche del G-5, le decisioni devono essere più democratiche e trasparenti e le sue operazioni più efficaci. I primi a beneficiarne sarebbero i paesi in via di sviluppo.
L’istituzione è spesso influenzata dagli obiettivi politici dei suoi azionisti di maggioranza. Ed è normale: una banca non può essere gestita dai debitori. Tuttavia, nel contesto precipuo dello sviluppo internazionale, ciò crea distorsioni: oggi, la Banca rende conto più ai paesi industrializzati che a quelli in via di sviluppo. Gli esempi abbondano: sin dagli inizi, il presidente è un cittadino americano nominato dagli Stati Uniti. In anni recenti, la Russia ha beneficiato di prestiti troppo generosi.
Perché ciò succeda meno (posto che la regola è chiara: “decide chi paga”), i paesi in via di sviluppo devono poter “pagare”, e ottenere così più voce in capitolo. Brasile in testa, tali paesi hanno espresso più volte il desiderio di poter versare più capitale (facoltà di fatto concessa ai soli paesi industrializzati), e dunque ottenere più azioni e un maggiore potere di voto. Ciò creerebbe maggiori controlli interni e metterebbe la Banca mondiale nelle condizioni di promuovere meglio la riduzione della povertà e la stabilità economica internazionale. La Germania ha parzialmente accolto tale richiesta e proposto di aumentare il potere di voto relativo dei paesi in via di sviluppo dal 40 al 43 per cento. (4)
In passato piuttosto “opaca”, la Banca mondiale ha fatto passi avanti nella diffusione dell’informazione, ma molto rimane da fare. L’istituzione deve rinunciare alla segretezza delle sue decisioni, e rendere pubblici gli atti e le riunioni del consiglio d’amministrazione e i documenti a sostegno del rilascio di ogni credito. Una maggiore trasparenza aumenterebbe anche la capacità dell’istituzione di dar conto del proprio operato. La Banca mondiale deve assumersi la responsabilità delle sue attività, specialmente di quelle di prestito. Il che implica stabilire meccanismi per misurare sistematicamente i risultati, e valutare l’impatto reale di programmi e operazioni, prima e dopo la loro realizzazione.

Per saperne di più

Bretton Woods Agreements, 1944. United Nations Monetary and Financial Conference at Bretton Woods. Summary of Agreements. July 22, 1944.
Edward S. Mason and Robert E. Asher: The World Bank Since Bretton Woods, Brookings, 1973.
http://www.attac.org/
http://www.worldbank.org/
http://www.imf.org/external/np/exr/facts/hipc.htm

(1) Il Gruppo Banca mondiale (World Bank Group) consiste di cinque istituzioni con ruolo diverso ma strettamente associate, tutte di proprietà dei paesi membri. Sono: la Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (International Bank for Reconstruction and Development – Ibrd), la Associazione internazionale per lo sviluppo (International Development Association – Ida), la Società internazionale per il finanziamento (International Finance Corporation – Ifc), la Agenzia multilaterale per le garanzie all’investimento (Multilateral Investment Guarantee Agency – Miga), e il Centro internazionale per la risoluzione di dispute d’investimento (the International Centre for the Settlement of Investment Disputes – Icsid). Ibrd ha 184 Stati membri, quasi tutti i paesi del mondo; Ida ne ha 164, Ifc 176, Miga 164 e Icsid 140. Il termine “Gruppo Banca mondiale” indica il coacervo delle cinque istituzioni. Il termine “Banca mondiale” si riferisce specificamente a Ibrd e Ida, che provvedono prestiti a basso tasso d’interesse, credito gratuito (senza iteresse) e grants ai paesi in via di sviluppo.

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(2) Ad aprile 2004, trentotto paesi avevano titolo all’assistenza Hipc. Ventisette di questi hanno ottenuto la riduzione irrevocabile del debito, con un risparmio di circa 50 miliardi di dollari (13 dei quali erano dovuti alla Banca mondiale). Condizioni per beneficiare dell’iniziativa sono: 1) la presentazione alla comunità internazionale di una strategia di lotta alla povertà (Poverty Reduction Strategy Paper) preparato grazie a un’estesa partecipazione democratica; e 2) l’effettivo utilizzo in programmi anti-povertà (educazione, sanità, edilizia popolare e programmi welfare) delle risorse liberate dal servizio del debito.

(3) Sul tema si veda il secondo White Paper on International Development lanciato dal primo ministro britannico Tony Blair e intitolato “Eliminating World Poverty: Making Globalisation Work for the Poor“. http://www.globalisation.gov.uk/index.htm.

(4) Alla riunione annuale della Banca mondiale e del Fondo monetario a Dubai nel settembre 2003, il ministro tedesco dello Sviluppo, Heidemarie Wieczorek-Zeul, ha proposto la riforma dei meccanismi di voto e della struttura decisionale della Banca. Vedi Magazine for Development and Cooperation (2003), http://www.inwent.org/E+Z/content/archive-eng/11-2003/fact_art1.html. Per il network anti-globalizzazione Attac, la proposta è insufficiente: un aumento del 3 per cento dei voti dei paesi in via di sviluppo non cambierà di molto il fatto che Fmi e Bm sono istituzioni “profondamente non democratiche”.

* Questo contributo rispecchia unicamente le opinioni personali dell’autore.

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