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Il G-20, i tassisti cinesi e il prezzo del petrolio

Il G-20 si è impegnato ad adottare le politiche necessarie per fare fronte al caro-petrolio. Sono dichiarazioni di buona volontà destinate a rimanere tali. Il petrolio costa oggi come non mai soprattutto a causa dall’aumentata domanda cinese. Ma la domanda cinese di petrolio cresce anche perché il suo governo, per non aumentare i costi dei tassisti, impedisce al rincaro dei prezzi mondiali di trasmettersi sui prezzi interni dell’energia. Malgrado il G-20, continuerà a farlo. I paesi europei dovrebbero piuttosto persuadere l’Opec ad aumentare la produzione. E, nel frattempo, usare la leva fiscale per ridurre la bolletta petrolifera.

Il G-20, l’affollato club dei paesi più avanzati riunito a Pechino, si è impegnato ad adottare tutte le politiche necessarie per fare fronte al caro-petrolio. Ma rimarranno dichiarazioni di buona volontà. L’aumento del greggio è una spina nel fianco per quasi tutti i membri del G-20. Ma ce n’è almeno uno che contribuirà poco alla battaglia contro l’aumento del prezzo del petrolio: la Cina. Perché il governo cinese non vuole farsi nemici i tassisti di Pechino.

Perché il prezzo del petrolio è alto

Il prezzo del petrolio ha recentemente quasi raggiunto i suoi massimi livelli dal 1980. Quando si valuta l’andamento del prezzo del petrolio in termini reali (cioè relativamente al livello generale dei prezzi), si vede che i 60-70 dollari al barile dei mesi di agosto-settembre 2005 sono, più o meno, proprio gli stessi prezzi che prevalevano nel 1980, il massimo prezzo di sempre.

In buona parte, il fatto che il prezzo del petrolio sia alto dipende dal comportamento oligopolistico del cartello dei paesi dell’Opec e, in particolare, dalle sue decisioni di non espandere l’offerta. Solo di recente, infatti, in risposta agli elevati aumenti di prezzo, l’Opec ha portato la produzione giornaliera a 33 milioni di barili, superando per la prima volta dal 1980 la produzione giornaliera registrata allora. Per soddisfare la domanda mondiale, i paesi produttori non-Opec producono circa 50 milioni di barili al giorno, pur avendo riserve accertate molto inferiori rispetto a quelle dell’Opec. Nel 1980, sia Opec che non-Opec producevano invece circa 31 milioni di barili al giorno. Insomma, i dati dicono che l’Opec oggi riduce deliberatamente le sue possibilità di offerta al di sotto del potenziale e lo fa molto più degli altri produttori.
Se quindi l’offerta si adegua lentamente alla pressione della domanda (ed è perciò sostanzialmente data nel breve periodo), il prezzo del petrolio è determinato dalla domanda , in particolare dalla domanda di petrolio proveniente dai paesi del mondo che crescono più rapidamente.
E quando si parla di rapida crescita economica, viene subito in mente la Cina, il cui Pil nel 2005 crescerà – pare – “solamente” del 9 per cento, qualche decimo di punto in meno che negli ultimi cinque anni, ma sei-otto punti percentuali in più che negli Stati Uniti e nell’Unione Europea. Se si considera che la Cina è divenuta il secondo paese consumatore di petrolio dopo gli Stati Uniti, si può ben capire che il rapido incremento della domanda cinese sul mercato mondiale del petrolio negli ultimi due anni sia stato al centro dell’attenzione degli osservatori.

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Perché la domanda cinese di petrolio rimarrà alta

Se dunque il reddito dei cinesi continuerà ad aumentare rapidamente, ciò contribuirà a mantenere elevata la domanda di petrolio sul mercato mondiale anche negli anni a venire. Si potrebbe però sperare che, con il procedere dell’integrazione economica della Cina con il resto del mondo, l’aumento del prezzo mondiale del petrolio, una volta tradotto in più elevati costi del carburante, contribuisca a smorzare la domanda dei cinesi. Se aumentasse il prezzo della benzina, i cinesi, pur continuando ad arricchirsi rapidamente, potrebbero essere indotti a usarne un po’ meno.
Ma ciò non accadrà. Se infatti il Governo cinese, in risposta all’aumento di prezzo dei mercati mondiali, consentisse un aumento proporzionale del prezzo della benzina, ciò farebbe salire notevolmente i costi di produzione per i tassisti cinesi.
Un tassista di Pechino fa corse per circa 300 chilometri al giorno, il che lo porta a consumare quotidianamente circa venticinque litri di benzina. Il recente aumento del prezzo della benzina di 0,3 yuan (+6 per cento rispetto al prezzo precedente) aumenta dunque di 10 yuan (un euro) al giorno i costi di un tassista di Pechino. In un mese, il suo margine di guadagno è di circa duemila yuan e questa cifra serve a pagare anche le riparazioni periodiche e la licenza annuale di circa 4.500 yuan. Si capisce subito, dunque, che un aumento del prezzo della benzina in linea con quello che avviene sul mercato mondiale del petrolio sarebbe semplicemente letale per molti dei centomila tassisti pechinesi. Lo stesso vale per i tassisti delle tante altre popolose città della Cina.
Non casualmente, nello scorso agosto, il governo municipale di Shanghai, nel momento in cui faceva aumentare (di poco) il prezzo della benzina, ha riconosciuto in parallelo un trasferimento di 300 yuan mensili ai tassisti della città. Anche il governo di Pechino sta pensando di adottare un provvedimento simile.
Un’alternativa sarebbe quella di aumentare il prezzo della benzina e, allo stesso tempo, consentire ai tassisti di aumentare le tariffe (ora di 10 yuan quando il taxi si mette in movimento più 1,6 yuan al chilometro). Ma questo finirebbe per trasferire a valle l’aumento dei costi di produzione e trasformerebbe l’aumento del prezzo del petrolio in una tassa sui tanti uomini di affari che impiegano il taxi come strumento di lavoro per muoversi da un capo all’altro delle grandi città. L’introduzione di una simile tassa è quanto mai improbabile in un paese concentrato nel mantenere la crescita economica a tassi vicini al 10 per cento e, viceversa, poco sensibile alle esigenze ambientali che preoccupano gli occidentali.

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Intervenire sull’Opec e usare la leva fiscale

I tassisti cinesi sono tanti, guadagnano poco, ma rappresentano uno dei gangli vitali della vita economica della Cina di oggi. Il Governo non vorrà inimicarseli. Meglio dunque non contare su un raffreddamento della domanda di petrolio proveniente dalla Cina. I paesi europei dovrebbero concentrare i loro sforzi sui tentativi di persuadere l’Opec ad aumentare la produzione, il vero rimedio di lungo termine contro l’aumento del prezzo del petrolio. E, nel frattempo, usare la leva fiscale per ridurre la bolletta petrolifera.

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Sommario 13 ottobre 2005

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Una poltrona per due

13 commenti

  1. Massimo Giannini

    Il prezzo non aumenta per la forte domanda della Cina. Se da un lato l’elasticità della domanda al prezzo é rigida, ma il mercato sembra in equilibrio in termini di domanda e offerta, la Cina contribuisce solo per il 30% dell’incremento della domanda dal 2000 ad oggi (40% nell’ultimo anno) . La Cina come consumatore non é una novità. Inoltre sul totale mondiale delle importazioni di petrolio la Cina conta solo un 6.8% anche se é divenuto il secondo consumatore. L’aumento delle importazioni di petrolio cinese sarà nel 2005 di circa 6.5% da 122 a circa 130 m/ton. Simile il caso India, sesto consumatore mondiale. Inoltre la Cina importa petrolio ma esporta prodotti raffinati. Se da un lato é vero che il prezzo del petrolio appare alto in termini nominali non lo é in termini reali e a prezzi costanti 1970. Dunque si può’ dire che c’è un semplice recupero del prezzo verso un livello d’equilibrio. Il problema é verosimilmente la velocità dell’aggiustamento di questi due ultimi anni. E il prezzo é ora ben superiore alla media a prezzi costanti degli ultimi 20 anni. E’ stato frenato da un’offerta comunque abbondante (mancanza d’effetto scarsità paventato negli anni 70) e aumenti d’efficienza. La rivalutazione dell’Euro sul dollaro è una causa dell’aumento del prezzo del petrolio. I budget d’aziende e governi (esportatori di petrolio) sono in dollari ; se si vuole tenere come riserva o riferimento in valuta un ammontare equivalente in Euro alcuni avranno interesse a che il prezzo in dollari sia più alto per acquistare Euro (correlazione cambio Euro/$ e prezzo del petrolio). Si può forse dire che la speculazione é la causa principale e c’è un’importante componente d’aspettative autorealizzantesi. Non sembra un problema di domanda e offerta. La riprova é che nonostante gli uragani e altre situazioni, politiche e non, d’instabilità, il mercato, alla vigilia dell’inverno, non ha ritoccato i massimi. Lasciamo pur stare i tassisti cinesi, guardiamo ai consumatori americani.

    • La redazione

      grazie, è un commento pieno di spunti, molto denso e articolato. provo a rispondere ad alcune delle osservazioni.

      1) nel grafico del mio articolo (preso dall’EIA) mostro due curve, una in termini nominali e l’altra in termini reali. quindi quando dico che il prezzo del petrolio è alto come non mai non mi riferisco al prezzo nominale ma al prezzo di oggi diviso per il deflatore del PIL USA. come del resto indicato
      nell’articolo.
      2) se la cina ha contribuito per il 30-40% all’incremento della domanda mondiale, non arriverei alla conclusione che ha contribuito poco.
      3) E’ vero che la cina conta poco oggi sulle importazioni mondiali. ma – come anche suggerito nel suo commento – il mercato del petrolio ha una componente speculativa che sarà certamente influenzata dal fatto che il governo cinese
      mantiene un forte impegno politico a continuare a crescere a tassi del 10% l’anno. nessun altro govenro al mondo può fare impegni del genere.

      4) a mio avviso, non è importante che la Cina riesporti prodotti petroliferi raffinati. quello che conta è il potenziale impatto sul mercato interno cinese (sulla nascente industria automobilistica, per esempio) di un aumento del
      prezzo interno del petrolio. sarebbe una tassa sullo sviluppo e il governo cinese non vorrà imporla o la introdurrà molto gradualmente, compensando i perdenti come ha fatto il governo municipale di shanghai.

      5) guardare ai consumatori americani e alla loro smisurata fame di energia è certamente una buona idea, ma allora direi che anche questa non è certamente una novità. mi sfugge dunque come possa essere un’importante causa dell’aumento
      del prezzo che vediamo oggi.

  2. Giacomo Rondina

    Gentile Prof. Daveri,

    ho letto con interesse il Suo articolo, che ritengo ricco di spunti interessanti. Tuttavia, non sono d’accordo sul rimedio che Lei propone per contenere il prezzo del petrolio nel lungo periodo: premere sull’Opec affinche’ incrementi la produzione di greggio. Non penso di argomentare qualcosa di nuovo nell’affermare che un petrolio troppo caro aumenti l’incentivo ad investire in ricerca e sviluppo di risorse alternative. In questo senso, la soluzione e’ “agire” sulla domanda di petrolio, lasciando inalterata la domanda di energia. Svincolare, tramite l’innovazione, il sistema produttivo dal laccio dei paesi produttori di petrolio – un processo difficile e necessariemente di lunga durata – rimane, a mio avviso, l’unico vero rimedio di lungo termine.

    Cordiali Saluti.

    • La redazione

      E’ una questione di orizzonti temporali. la conclusione del mio articolo riguarda cosa, a mio avviso, possono fare i paesi non produttori da qui a – diciamo – cinque anni. lungo questo intervallo di tempo dubito che le cosiddette risorse alternative diventino disponibili a costi accessibili. tranne il nucleare, che comunque presenta altri problemi ed è una soluzione esclusa da un pronunciamento referendario di un po’ di anni fa.

  3. Massimo Giannini

    Provo di nuovo a spiegarmi. 1) Se a prezzi costanti il prezzo del petrolio era più alto in passato ed era “sostenibile”, non vedo dove sia il problema ora…lasciamolo aumentare, purché non lo sia per sola speculazione. 2) Esiste più di un 60% dell’incremento della domanda che non é viene dalla Cina e che quindi non giustifica gli aumenti recenti. Cosi’ come un 60% del petrolio non va nelle automobili 3) Sembra qui che la Cina sia colpevole di voler crescere o alimenta essa stessa la speculazione? 4) Il solo aumento del prezzo del petrolio, se del caso indurrà una diminuzione della domanda. Compensare i losers é una soluzione che molti governi hanno adottato o vogliono adottare anche in Europa…D’altra parte il 60-80% del prezzo della benzina sono tasse governative…La Cina dal 1 Luglio 2005 ha aumentato già molto le tasse su benzina e gas. La leva fiscale sulla benzina comunque non serve necessariamente per diminuire o riorentare i consumi, l’Europa ne é esempio, ma per aumentare l’entrate fiscali in modo sicuro. 5) Sicuramente prima di guardare ai Cinesi, guardiamo agli americani…Come cause dell’aumento del prezzo del petrolio vedrei: Speculazione e investimenti sui mercati future, semplice aggiustamento storico del prezzo, rivalutazione euro, mercato e offerta “controllati” instabilità in Iraq, Venezuela etc. Ma lasciamo stare i luoghi comuni sulla Cina.

    • La redazione

      Mi sembra che ognuno abbia diritto alle sue opinioni. le mie le ho maturate anche leggendo quanto pubblicato ull’argomento durante l’estate scorsa dai giornali cinesi in lingua inglese e dal Joint Economic Committee del Congresso degli Stati Uniti. Ritengo dunque di non meritare la sua scortesia.

  4. Luigi Sampaolo

    Gentile Francesco Daveri, riguardo ai consumi americani non ritiene che la novità (dell’ultimo decennio) sia l’inversione di tendenza nell’efficienza energetica dei veicoli (considerato che negli USA due terzi del petrolio consumato è destinato ai trasporti)?
    Per memoria generale ricordo che gli standard CAFE (Corporate Average Fuel Economy) introdotti nel 1975 prevedono un minimo di 27,5 miglia per gallone (11,6 km per litro) per le auto “per uso personale” e solo 20,6 mpg (8,7 km per litro) per i light truck (“camion leggeri”), che dovrebbero servire per lavorare e far crescere il paese (un po’ come per i tassisti cinesi). Gli standard CAFE fino alla metà degli anni ottanta hanno funzionato (hanno fatto risparmiare agli USA più di un miliardo di barili l’anno di consumi, più del 10% del totale) ma oggi non sono più trainanti (non sono stati più aggiornati) né efficaci (a causa dei SUV). Come è noto il problema è che tra i “camion leggeri” sono classificati anche i fuoristrada (pickup, SUV e mini-van), ovvero i macchinoni fuoristrada che la gente si compra per sfizio (i SUV sono usati più che altro in città, tanto che è pubblicizzata una bomboletta di finto fango per dare un tono selvatico alla macchina) e non per lavoro. La novità è che il numero dei fuoristrada negli ultimi anni è cresciuto in maniera abnorme (un po’ come se tutti i cinesi – non solo gli uomini di affari – pretendessero di andare in giro in taxi). Oggi una macchina su 2 venduta negli USA rientra in questa categoria. L’International Energy Agency paventa che simili trend si affermino anche in Europa(http://www.iea.org/textbase/papers/2004/transporthree.pdf). Nel momento in cui si ragiona su quali politiche dovrebbe adottare la Cina non sarebbe opportuno anche stigmatizzare le irresponsabilità delle comunità cui apparteniamo o che ci sono più vicine e pensare a qualche rimedio?
    Cordiali saluti

    • La redazione

      Concordo pienamente con le sue preoccupazioni. E’ però difficile intervenire con un accordo multilaterale sulle abitudini di consumo della gente.
      A un rimedio a dir la verità sta già un po’ pensando il mercato. ricordo di aver letto di un settembre nero per le vendite dei SUV soprattutto negli Stati Uniti, non solo attribuibile agli uragani Katrina e Rita.

  5. Massimo Giannini

    Con riferimento all’ultimo commento del Sig. L. Sanpaolo si puo’ dire che i cinesi sono anche più avanti degli americani e già pensano a tasse sulle automobili grandi come i SUV o camioncini, le cui vendite sono anche la già in calo..
    http://english.sina.com/business/1/2005/0928/47774.html
    http://www.businessweek.com/ap/financialnews/D8CT62K80.htm?campaign_id=apn_asia_up&chan=gb

  6. Andrea Riversi

    La sua tesi è davvero eterodossa, e come tale mi ha incuriosito. Facciamo un po’ di conti: 100.000 tassisti pechinesi consumano 25 litri di benzina al giorno ciascuno; fanno 2.500.000 litri di benzina al giorno, in totale, pari a circa 15.600 barili di petrolio, che a loro volta rappresentano meno dello 0,02% della produzione mondiale quotidiana. Non voglio sembrarle irriguardoso, ma mi sembra che dire che l’aumento del prezzo del petrolio sia dovuto alla domanda di benzina dei tassisti di Pechino equivalga più o meno a dire che l’alluvione di Firenze fu provocata dal rovesciamento accidentale di un bicchiere d’acqua.

    • La redazione

      Ha certamente ragione, la domanda dei tassisti cinesi è piccola. l’articolo perònon è veramente sui tassisti cinesi, ma usa l’esempio dei tassisti cinesi per riflettere sul ruolo potenziale della Cina sul mercato del petrolio mondiale e
      su come il governo cinese abbia uno scarso interesse a far percepire ai suoi concittadini (non solo ai tassisti) gli aumenti del prezzo del petrolio mondiale. ho preso il caso dei tassisti perchè era un esempio specifico su cui conoscevo qualche numero e perchè sono una minoranza organizzata che sa come farsentire la sua voce.
      Forse, sulla base dei miei ricordi del liceo, la si potrebbe chiamare una sineddoche: ci si riferisce a una parte (i tassisti cinesi), intendendo il tutto(i consumatori di petrolio in Cina – un gruppo di persone molto più vasto).
      D’altronde: avrebbe letto lo stesso un articolo con un titolo più preciso ma più noioso come: “la domanda di petrolio in Cina e il prezzo del petrolio mondiale”?

  7. v.muscatelli

    Il nodo principale trovare fonti alternative al petrolio e il più rapidamente possibile in funzione del velocità del tasso di sviluppo dei paesi non occidentali e del crescere dell’instabilita di molte zone ove sono allocate le riserve petrolifere.

  8. merc antony

    il prezzo eccessivo del petrolio è determinato non dalla domanda che logicamente dovrebbe presumere che più si produce una qualsiasi materia prima più si riescono ad abbattere i costi di gestione e quindi delle stessa produzione ma bensi dal progressivo esaurimento della stessa materia quindi i produttori stanno sfruttando al massimo ciò che gli rimane a disposizione e non avendo alrte risorse parallele,stanno facendo le scorte di denaro necessarie per poter determinare il prossimo monopolio energetico, che essendo una risorsa producibile ovunque, desta non poche preoccupazioni all’oligarchia del monopolio bellico petrolifero e perciò l’unico modo di determinare delle condizioni monopolistiche, è avere maggior potere economico in modo da imporre le proprie disposizioni in materia di raffinerie e di presenza delle stesse su territorio mondiale.Sanno quasi tutti che modificare una raffineria costa sicuramente meno rispetto alla costruzione di nuovi impianti di produzione di idro carburi di nuova concezione il problema è che le sette sorelle non permetteranno il libero monopolio dell’idrogeno se non sotto la loro egemonia.

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