Lavoce.info

L’Omc e la scommessa di Hong Kong

La posta in gioco alla Conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio non è tanto la conclusione del Doha Round, che in ogni caso richiederà ancora parecchi mesi, quanto la credibilità dell’organizzazione che ha già dovuto affrontare diversi momenti di crisi. Ma gli scenari di un commercio senza uno strumento di governance internazionale sono preoccupanti. I maggiori paesi industrializzati potrebbero sviluppare le proprie politiche commerciali a livello bilaterale facendo pesare maggiormente il loro peso politico ed economico.

Alla Conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc) che si apre il 13 dicembre ad Hong Kong si cercherà di evitare il ripetersi di un esito simile a quello maturato due anni fa a Cancun, quando la Conferenza si chiuse senza alcun accordo non solo sul merito delle questioni, ma anche sul prosieguo dei negoziati. Per questo, il direttore generale dell’Omc, Pascal Lamy, sembra orientato ad accontentarsi di un’intesa che fissi almeno il mandato e i tempi dei negoziati successivi.

Non c’è solo l’agricoltura

Il protrarsi delle trattative commerciali non è certamente una novità: si sono enormemente ampliati i temi in discussione e una pluralità di soggetti ha il potere di influire sull’esito finale del negoziato. Sembra però essere entrato in crisi il modello negoziale che aveva caratterizzato e assicurato il successo dei precedenti round. E la possibilità di concludere con un accordo questa tornata di trattative potrebbe risultare seriamente compromessa se si arrivasse al luglio 2007, quando scade il mandato negoziale del presidente americano Bush. (1)
Non è che negli ultimi quattro anni non si sia fatto nulla. L’agenda dei negoziati, ad esempio, è stata modificata, e temi importanti come gli investimenti esteri, le politiche a tutela della concorrenza e la trasparenza degli appalti pubblici non sono più oggetto di trattativa. (2)
Ciononostante, i negoziati procedono a rilento, anche se non è facile capire dove siano i veri ostacoli al raggiungimento di un accordo. Da più parti si continua ad attribuire la responsabilità principale all’agricoltura, e soprattutto alla posizione negoziale dell’Unione Europea. Queste accuse, anche se plausibili alla luce di quanto successe nell’Uruguay Round, si basano su argomentazioni non sempre convincenti. Il costo dei sussidi previsti dalla Politica agricola comune, ad esempio, continua a creare problemi al bilancio comunitario, ma tutti gli esercizi di simulazione evidenziano come i guadagni più elevati che si potranno avere dalla liberalizzazione del settore agricolo deriveranno dalla riduzione dei dazi piuttosto che dei sussidi. Il sospetto, quindi, è che il mancato accordo in agricoltura possa essere utilizzato come pretesto per mascherare una sostanziale indisponibilità a trattare sugli altri temi.

Cosa dicono le simulazioni

Ma quali sono i guadagni attesi da una conclusione positiva del Doha Round? Vari studi hanno ipotizzato i possibili termini di un accordo simulando scenari di liberalizzazione del mercato dei beni agricoli, industriali e dei servizi all’interno di modelli di equilibrio economico generale. I guadagni per il mondo nel suo complesso sono positivi, ma non molto elevati se espressi come percentuale del Pil: sono compresi tra lo 0,09 e lo 0,5 per cento. (3) L’impatto positivo della liberalizzazione risulta ridotto anche per l’Italia e l’Unione Europea (vedi tabella 1).
Le simulazioni, svolte dal DohaDevelopmentAgenda–ResearchNetwork riguardano due scenari estremi (di minima e di massima) di liberalizzazione parziale tali da fornire una indicazione dell’ordine di grandezza degli effetti di un eventuale accordo. I contenuti specifici dei due scenari sono ispirati alle proposte effettivamente presentate dai diversi paesi nel corso dei negoziati. (4)

Tabella 1: Crescita del reddito nazionale reale (% Pil)

Leggi anche:  Il "piano Milei" funziona

Scenario di minima

Scenario di massima

ITA

0,13

0,28

EU14

0,19

0,30

EU10

0,51

0,75

Entrambi gli scenari presentano effetti positivi sia per i vecchi che per i nuovi paesi membri dell’Unione (Eu10), anche se i valori percentuali (compresi tra 0,51 e 0,75 per cento) risultano più elevati per questi ultimi in quanto caratterizzati da livelli di reddito più bassi. L’economia italiana registra benefici in linea con quelli dei vecchi paesi membri dell’Unione (Eu14) nello scenario di massima con valori intorno allo 0,3 per cento, mentre i guadagni sono meno evidenti nel caso dello scenario di minima (0,13 per cento per l’Italia rispetto allo 0,19 per cento dell’Eu14).
La tabella 2 mostra il contributo dei singoli settori raggruppati in primario, secondario e terziario al guadagno totale dell’Unione Europea. Si evidenziano risultati marcatamente diversi a seconda dello scenario di liberalizzazione considerato, soprattutto per quanto riguarda il comparto del terziario. I servizi, infatti, risultano il settore meno importante nello scenario di minima (poco più di 4 miliardi di dollari per l’Unione Europea nel suo insieme), mentre registrano guadagni quasi comparabili (10 miliardi di dollari per l’intera Unione) a quelli del settore manifatturiero nello scenario di massima dove si prevede una significativa riduzione degli equivalenti tariffari rappresentativi delle barriere al commercio attualmente presenti. (5)
La distribuzione settoriale dei benefici derivanti dalla liberalizzazione commerciale riflette, evidentemente, i vantaggi comparati dei sistemi economici che fanno parte dell’Unione.
Così, nei nuovi paesi membri i benefici risultano concentrati soprattutto nel settore primario con benefici pari a 5 e 6,5 miliardi di dollari nei due scenari, mentre per i vecchi paesi membri la quota principale viene dall’industria manifatturiera che registra guadagni compresi tra 8 e 11 miliardi di dollari (queste cifre rappresentano la somma dei valori relativi a Italia e Ue14 nella tabella).
Ciò è vero anche per il nostro paese che sembra però meno attrezzato degli altri Stati dell’Unione per trarre vantaggio dalla liberalizzazione del settore terziario: nello scenario di minima, dove la protezione garantita ai servizi rimane inalterata, l’effetto di equilibrio generale indotto dalla riduzione della protezione nel settore primario e secondario finisce addirittura per aumentare l’impatto distorsivo delle barriere preesistenti (-52 milioni di dollari).

 

Tabella 2: Contributo dei diversi settori ai guadagni aggregati

Scenario di minima (milioni US$ 2001)

Scenario di massima (milioni US$ 2001)

PRIMARIO

SECONDARIO

TERZIARIO

PRIMARIO

SECONDARIO

TERZIARIO

Italia

427

1127

-52

764

1901

619

EU14

3250

6630

3579

4330

9378

8403

EU10

1168

196

631

1340

412

1100

EU25

4845

7953

4158

6434

11691

10122

 

Si tratta di risultati non esattamente entusiasmanti: se i guadagni di efficienza vengono messi in rapporto al Pil si ottengono percentuali così basse da far venire più di qualche dubbio sulla reale rilevanza della posta in gioco.
In realtà, ciò che è a rischio a Hong Kong non sono tanto i mancati guadagni, quanto le possibili perdite. Gli effetti derivanti dall’esistenza di uno strumento di governance internazionale come l’Omc non si misurano soltanto da ciò che verrà eventualmente scritto nell’accordo finale di questo round, ma anche e soprattutto nell’influenza che esercitano giorno per giorno sulle politiche degli Stati membri.
È vero che le proposte negoziali in materia di liberalizzazione in agricoltura presentate da Stati Uniti e Unione europea sono sostanzialmente compatibili con le politiche attuali, e quindi, come si vede anche dai risultati delle simulazioni, avrebbero un impatto tutto sommato limitato in termini di liberalizzazione. Ma non va dimenticato che sono state disegnate tenendo conto anche della necessità di renderle compatibili con gli impegni esistenti a livello multilaterale. Allo stesso modo, se pensiamo alla discussione che si è sviluppata in Europa e negli Usa, ma anche e soprattutto in Italia, a seguito dell’aumento delle importazioni di prodotti tessili dalla Cina, è evidente che i governi avrebbero maggiori difficoltà a resistere alle richieste di protezione in assenza di una credibile regolamentazione internazionale.
Infine, guardando alla proliferazione di accordi preferenziali, risulterebbe alquanto preoccupante, soprattutto dal punto di vista dei paesi in via di sviluppo più piccoli, uno scenario in cui i maggiori paesi industrializzati sviluppano le proprie politiche commerciali a livello bilaterale facendo pesare maggiormente il proprio peso politico ed economico, e aumentando i costi amministrativi derivanti dal rispetto delle “regole di origine”.
In definitiva, la posta in gioco ad Hong Kong non è la conclusione del Doha Round, che in ogni caso richiederà ancora parecchi mesi, quanto la credibilità di un’organizzazione internazionale che nei primi dieci anni di vita ha già dovuto affrontare diversi momenti di crisi. L’Omc sarà pure un’istituzione “primitiva”, ma un mondo senza Omc non sarebbe necessariamente un posto migliore.

(1) La fast-track negotiating authority concessa dal Congresso degli Stati Uniti al presidente fa sì che un eventuale accordo debba essere approvato o rifiutato dal Congresso “in blocco”. Se il presidente non dispone di tale delega, il Congresso è libero di accettare solo alcuni degli impegni sottoscritti, e ciò comprometterebbe la credibilità degli Stati Uniti al tavolo dei negoziati.

(2) Per un dettaglio sui temi oggetto di trattativa all’interno di questo round si veda nel sito del Omc la presentazione della Dichiarazione di Doha

(3) Questi sono gli intervalli derivanti da scenari di liberalizzazione parziale. Per una rassegna di alcuni risultati recenti si veda Ackerman F., “The Shrinking Gains from Trade: A Critical Assessment of Doha Round Projections”, GDAE Working Paper No. 05-01, October 2005.

(4) Il Dda-Rn raggruppa ricercatori di sei università italiane. Le simulazioni sono state condotte con un modello di equilibrio generale multiregionale adattato a partire dallo standard fornito dal Global Trade Analysis Project. Il settore agricolo è stato caratterizzato dalla presenza di concorrenza perfetta, mentre i servizi e l’industria hanno una struttura di mercato di concorrenza monopolistica. Maggiori informazioni sui risultati del programma di ricerca e sul negoziato multilaterale possono essere ottenuti dalla homepage del Dda-Rn.

(5) Si tenga conto che nello scenario di minima per i servizi si assume che ci si accordi per una riduzione del grado di restrizione consolidato fino a quello effettivo. Si tratta perciò di uno scenario “status quo”.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Harris-Trump: l'economia Usa nei prossimi quattro anni*

Precedente

Sommario 5 dicembre 2005

Successivo

Per chi vota il risparmiatore

  1. Anna Leo

    La conferenza di Honk Kong è sicuramente un punto cruciale nella storia dell’OMC, non tanto per i risultati che ne potranno derivare su di un piano sostanziale, quanto, proprio per sancire o meno il declino del “multilateralismo “.
    Un settore, in particolare, merita di essere considerato: la liberalizzazione dei servizi bancari. Se è vero che vi sono servizi, cosiddetti essenziali, che non possono per loro natura uscire al di fuori dell’alveo statale, nell’ambito dei servizi bancari, i traffici internazionali rendono l’approccio multilaterale necessario.
    La parola d’ordine oggi è internazionalizzazione delle imprese. Un’azienda, che si appresta ad effettuare un Investimento Diretto Estero in un paese emergente, ha bisogno di trovare qui un sistema finanziario stabile, in grado di rispondere alle sue particolari esigenze con adeguati servizi finanziari.
    A fronte di cio’, non possiamo negare che i sistemi bancari di molti paesi “obiettivo” per le nostre aziende, sono ad uno stadio primitivo: fortemente ancorati al settore pubblico, con conseguente distorsione nell’allocazione delle risorse, alti problemi di liquidita’, alto costo degli investimenti per le SMEs e, da ultimi, scarso Know How e assenza di personale manageriale competente.
    In questi casi specifici, un approccio multilaterale che ponga le basi per una liberalizzazione effettiva del sistema bancario, e solleciti la presenza diretta e indiretta di banche straniere, quali portatori di know how, non potrebbe’ che portare a benefici diffusi per tutti… (la stessa storia del nostro paese ci insegna cio’!)
    Un sistema bancario evoluto è, infatti, il presupposto per la crescita imprenditoriale di un paese. Questo è tanto piu’ vero, dal momento che lo sviluppo economico di un paese e il “suo stato di salute” si misurano oggi, soprattutto, dalla percentuale di IDE che lo stesso riesce ad attrarre.
    Ai posteri l’ardua sentenza.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén